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---------------------------------------------- Quando ho cominciato a pensare all’argomento da dover trattare nella tesi da presentare al settore tecnico la volontà era quella di condividere delle mie idee e esperienze maturate nelle avventure che ho passato da giocatore e da allenatore. Dentro la programmazione di allenamenti che ho sviluppato nelle squadre che ho condotto fino ad ora sono incluse delle sedute da svolgere su una superficie sabbiosa. Già da diverso tempo sono state inserite sedute, o parte di esse, su superfici sabbiose nelle programmazioni di alcuni staff ma, da quanto ho potuto constatare, queste hanno un utilizzo abbastanza marginale o sono utilizzate solamente in periodi non agonistici, come ritiri di pre-campionato o nelle pause invernali. Attualmente lavori su superfici sabbiose vengono inserite anche in programmi riabilitativi. Nella mia ricerca di informazioni sull’utilizzo di questa superficie ho trovato pochi scritti su esperienze e considerazioni riguardo a questo argomento e non ho trovato altre situazioni dove viene utilizzata con i principi e la costanza con cui viene proposta nel mio metodo di allenamento. Per questo motivo ci tenevo a condividere il mio pensiero e il mio lavoro con la speranza di poter ricevere dei feed-back da chi avrà voglia di confrontare sue idee e considerazioni riguardo a questo aspetto. Nella trattazione di questo argomento cercherò di analizzare gli aspetti di metodologia, medicina, psicologia e di comunicazione che vengono maggiormente implicati utilizzando questa forma di allenamento che ha come scopo primario il miglioramento delle basi di tecnica e tattica individuale oltre che sviluppare capacità condizionali e capacità coordinative non che avere un ruolo chiave nella prevenzione degli infortuni.
“Daaiiiii... Campedelli... salltaaa... la foorza dov’è??... tuuu non sei atleta...”
Tutto iniziò così, durante il test di forza che prevedeva balzi di tutti i generi (a piedi uniti, alternati, singoli o molteplici ecc..) da effettuare in avanzamento cercando di coprire la distanza più lunga... io lottavo per non aggiudicarmi l’ultimo posto...con scarsi risultati... Chi faceva svolgere questi test era uno dei più grandi innovatori del calcio che risponde al nome di Zeman. Sono suoi anche gli ” incoraggiamenti” di inizio capitolo che ho cercato di riprodurre in “zemaniano” (gli spazi vuoti tra una parola e l’altra rappresentano le sue proverbiali pause). Per mia fortuna il “Boemo” faceva svolgere anche un test che premiava chi era più veloce a terminare un percorso comprendente svariati cambi di direzione e cambi di senso! E la fortuna era che in quel test riuscivo a primeggiare... Col massimo del rispetto ma con grande orgoglio mi sono avvicinato al mister dicendogli: mister è vero non avrò la forza per l’atletica, ma quella che serve per giocare a calcio non è poi così male...!!! ...lui non rispose con le parole ma mi fece uno dei suoi impercettibili sorrisi che mi portarono a pensare che forse non avevo poi detto chissà quale cavolata... Proseguendo nel tempo mi è capitato spesso di effettuare test di forza attraverso valutazioni con pedana di bosco o in palestra tramite rilevamenti dopo lavori con macchinari vari (leg-press ,leg –extension, ecc). Anche in queste valutazioni figuravo tra i meno forti della squadra. Al contrario chi mi descriveva guardandomi mentre giocavo riferiva la mia propensione nell’ esprimere buone capacità di forza... Allora mi chiedevo il perché di queste due apparenti evidenze che sembravano contraddirsi. Alla fine di questa introduzione proverò a spiegare le mie considerazioni in merito. Tornando all’argomento che sto trattando in questa tesi è opportuno precisare che ho conosciuto la sabbia mentre ero ancora in attività come giocatore. Mi trovavo in un centro riabilitativo per curarmi da un infortunio ad una caviglia. Con lo scopo di rinforzarla e allo stesso tempo accrescere la condizione fisica prima di poter riaggregarmi alla squadra, mi fu proposto di effettuare alcune sessioni di allenamento in sabbia. Fui subito incredibilmente CONQUISTATO dal lavoro che si poteva svolgere sul quella superfice e dalle sensazioni positive che mi lasciava. Una volta ritornato con la squadra ci misi poco a trovare una buona condizione e ad essere pronto per giocare. Ho avuto modo di lavorare ancora su questa superfice nuovamente in quel centro riabilitativo mentre cercavo di superare un infortunio BASTARDO. L’aggettivo bastardo deriva dal fatto che non solo mi ha portato a dovermi sottoporre a quattro operazioni che ho ribattezzato “alla cieca”, essendo l’infortunio talmente raro da non contemplare casistica. Mi ha portato anche a due anni di riabilitazione e di tentativi di rientrare in campo. Infine, e purtroppo non di meno importanza, mi ha costretto a dover smettere di giocare a calcio considerando che tali operazioni non solo non avevano sistemato la mia situazione ma erano riuscite a peggiorarla degenerando la struttura del piede lesionato. Nel periodo dell’infortunio più mi allenavo su superfici dure (campi da calcio, palestre) più si alimentava l’infiammazione e di conseguenza il dolore. Effettuando allenamenti in sabbia invece riuscivo a spingere di più e per più tempo dandomi la possibilità di maturare una condizione che mi permettesse di giocare, anche se poi il dolore alla lunga prendeva il sopravvento. Anche in questa esperienza ho potuto apprezzare l’efficacia che si produce allenandosi su questa superficie. Smesso di giocare a calcio ho ricevuto una proposta da una squadra di eccellenza che mi proponeva il ruolo di allenatore responsabile della prima squadra. Ho accettato con grande entusiasmo e mi sono messo subito al lavoro per organizzare la programmazione degli allenamenti. Ho da subito pensato di inserire allenamenti su sabbia da far svolgere ai miei giocatori. Mi sono consultato con miei ex preparatori che avevo avuto quando giocavo e ho introdotto alcune sessioni sperimentali di allenamento su sabbia con la collaborazione di qualche amico giocatore in attività che usavo come “cavia”...
Queste prove sono state svolte nel centro riabilitativo dove avevo effettuato il lavoro in sabbia, approfittando anche del parere di chi gestiva quei locali, dal momento che avevano maturato esperienze con i clienti in cura da loro. Da quel momento ad oggi sono passati 4 anni nei quali è stata registrata un’evoluzione dei lavori proposti: tempi di lavoro, pause tra essi, esercitazioni ecc.. .Un’altra variante: prima il gruppo partecipava al completo alle sessioni, ora invece viene diviso in due parti. I vari cambiamenti effettuati negli anni puntavano a ottimizzare il lavoro e nascevano da confronti tra i componenti degli staff che ho avuto il piacere di “guidare” e dai vari feed-back ricevuti dagli atleti che di anno in anno lavoravano con noi. Il tipo di sabbia e il suo giorno di utilizzo non sono invece mai variati in questi anni e ora esporrò il motivo di tale continuità. Dopo l’esordio nel Cesenatico in eccellenza (culminato tra l’altro con la promozione in serie D) ho passato due anni alla guida del Bellaria in seconda divisione (con due belle salvezze e con il gusto di lavorare con una squadra molto giovane), ho infine passato due mesi a Cesena in serie B prima che si chiudesse il rapporto dopo tre partite perse. A parte elencare le mie esperienze lavorative, ciò che volevo far notare è che ho allenato sempre vicino alla struttura che ospita i due campi in sabbia utilizzati nelle sessioni proposte, il quale si trova nei pressi di Cesena. Granulometria, composizione e umidità sono le caratteristiche principali che differenziano i vari tipi di sabbia facendola risultare più o meno DISPERSIVA. La superficie da noi utilizzata risulta altamente dispersiva e oltre che permettere di affondare e faticare maggiormente, non si compatta evitando così di trovare un fondo duro. Questo comporta una scarsa traumaticità che porta sicuramente vantaggi nella prevenzione della patologia da sovraccarico funzionale che è causa di tanti infortuni.
Considerando anche questi aspetti il giorno della settimana che ho scelto per svolgere questa seduta coincide con la ripresa degli allenamenti, per esempio il martedì se si gioca di domenica.
Risulta un allenamento intenso dal punto di vista fisico ma con un carico leggero a livello mentale che sommato ad un lavoro finale decisamente ludico ricerca come obiettivo il favorire l’eliminazione delle tensioni prodotte nella partita precedente.
Sulle tematiche trattate nel corso master è emerso che la media stagionale degli infortuni muscolari si aggira intorno ai 15-18 casi.
L’incidenza riscontrata con la nostra metodologia nei confronti di questo tipo di infortuni non ha mai superato i tre casi a stagione da quando ho iniziato a fare l’allenatore. Quindi un calo dell’80% sugli infortuni muscolari; pertanto sono convinto che su questo ottimo risultato il lavoro proposto sulla sabbia abbia influito molto.
Da sottolineare anche il limitato numero di infortuni a livello articolare non traumatici sia a carico della caviglia che del ginocchio, un dato che può essere stato ottenuto sfruttando il notevole lavoro specifico a livello propioccettivo
che viene svolto naturalmente nelle sedute in sabbia
Nicola CAMPEDELLI,
Allenatore Professionista Prima Categoria
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