Preparazione Portieri

 

 Il self-talk nei portieri di calcio: uno studio sperimentale

Introduzione

L’obiettivo di questo studio è valutare l’efficacia del self-talk (ciò che diciamo a noi stessi) sulle prestazioni dei portieri di calcio. In particolare, si pone l’attenzione su due differenti aspetti del self-talk, analizzando la sua funzione istruttiva e quella motivazionale e valutandone le implicazioni su due differenti prestazioni: la parate e il rinvio.

Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questa tematica hanno duplice natura; la passione innata verso il ruolo del portiere, che ho perseguito nel corso degli anni prima come giocatore poi nell’ultima stagione come allenatore, e l’interesse verso gli aspetti psicologici che coinvolgono gli atleti, maturato durante alcune letture e nel corso di Psicologia dello Sport.

Personalmente ho sempre pensato che l’aspetto psicologico abbia una grande importanza nella pratica di ciascun sport, in misura ancora maggiore nel ruolo del portiere.

In particolare, la mia attenzione si è diretta sulla tecnica del self-talk e le sue sfaccettature.

Analizzando studi condotti a riguardo ho potuto notare come non vi fosse riferimento a l’utilizzo di questa tecnica con i portieri di calcio.

L’analisi di numerosi studi condotti sul self-talk utilizzato in atleti di vari sport quali calcio, tennis, basket, atletica, pallanuoto, hockey e altri ha rappresentato la base su cui ho fondato la mia ricerca.

È stato condotto un esperimento con un campione di giovani portieri a cui sono stati assegnati due compiti sul campo e dei questionari.

Lo scopo ultimo è stato quello di valutare i cambiamenti nell’esecuzione dei compiti e attraverso i questionari l’effetto che la tecnica del self-talk ha avuto sui pensieri dei portieri durante le prestazioni e le considerazioni personali in merito ad essa.

La tesi è articolata in tre capitoli: nel primo capitolo viene preso in considerazione il ruolo del portiere nel calcio.

Il primo paragrafo è una riflessione prettamente personale su quella che è la figura del portiere sotto vari aspetti. Il secondo paragrafo rappresenta un excursus storico sul ruolo e la sua evoluzione negli anni.

Il terzo e quarto paragrafo si concentrano sul ruolo dal punto di vista motorio analizzandone il modello prestativo e gli aspetti tecnico tattici. Il secondo capitolo si distacca dal ruolo del portiere per andare a concentrarsi sulla psicologia dello sport e si divide in due paragrafi.

Il primo è una breve introduzione all’allenamento delle abilità mentali.

Nel secondo paragrafo viene invece presentata la tecnica self-talk, la sua funzione, dove e come è stata usata finora nello sport, con particolare riguardo per la funzione istruttiva e motivazionale.

Nel terzo capitolo infine vi è la descrizione dell’esperimento, in questo capitolo sono descritte in maniera minuziosa tutte le fasi che hanno caratterizzato lo studio a partire dai partecipanti, gli strumenti, i tempi e il metodo.

Infine, vengono commentati i risultati ottenuti dall’analisi dell’elaborazione dei dati, esponendo gli elementi più rilevanti dello studio condotto.

Risultati che nel complesso possiamo considerare positivi, e che suggeriscono che l’effetto dell’utilizzo della strategia self-talk può essere evidente nel miglioramento delle prestazioni (es. rinvio) e in misura minore nel controllo dei pensieri interferenti.

Per quanto riguarda le prestazioni nel compito di parata non è emersa a livello di gruppo nessuna differenza tra pre e post test.

Ciò può essere dovuto ad un effetto tetto, dato dal fatto che tutti i portieri partono da un punteggio nella parata già abbastanza alto.

 

Capitolo 1.

Il ruolo del Portiere

1.1 -  La figura del Portiere

A chiunque si avvicini per la prima volta al mondo del calcio, anche in modo casuale e con scarso interesse, o chi in età ancora molto giovane, nei primi anni dell’infanzia viene a contato col mondo del pallone, anche solo vedendo una partita in televisione appare subito evidente la figura del portiere all’interno di una squadra di calcio.

La prima impressione infatti è spesso dettata dalla differenza che contraddistingue questo ruolo con il resto della squadra e degli altri giocatori.

Il portiere si caratterizza subito rispetto ai suoi compagni come una figura diversa e speciale.

Questa diseguaglianza è fortemente caratterizzata dall’abbigliamento diverso da quello degli altri giocatori; spesso cosi particolare ed appariscente da destare interesse e curiosità, quasi come voler attirare l’attenzione su di sé.

Il portiere ha infatti una divisa tutta sua, in passato queste erano spesso monocromatiche; in Italia predominava il nero (fatto salvo per la nazionale dove si è spesso usato il grigio), mentre in altri paesi come in spagna e Inghilterra si preferivano colori sgargianti come il giallo e il verde.

Vi erano anche delle eccezioni ma erano rare e di solito ci si atteneva alle consuetudini.

In Italia si è dovuto attendere agli anni ‘90 per vedere le prime maglie colorate, uno dei primi a lanciare questa tendenza fu il Milan con la maglia giallo canarino Adidas di Enrico Albertosi.

Dieci anni più tardi ci fu invece l’introduzione di un’altra caratteristica che assieme al colore permetteva di rendere ancor più particolari le divise da portiere, ovvero le imbottiture che inizialmente erano presenti solo sui gomiti poi furono applicate anche su fianchi e petto in modo da attutire maggiormente il contatto col terreno e con la palla.

Proprio le imbottiture nella maglia e talvolta anche nei pantaloni lunghi andavano a comporre una divisa simile ad un’armatura che ancor più attirava l’attenzione verso il portiere.

Negli anni a seguire ci furono parecchie innovazioni che portarono ad un boom di creatività e fantasie cromatiche che non potevano non dare nell’occhio, basti pensare alla divisa di Jorge Campos che all’inizio degli anni 90 con la nazionale Messicana raggiunse una fama planetaria non solo per le sue gesta sul campo ma anche per le sgargianti divise che lui stesso si disegnava e che sfoggiava in ogni competizione.

Al giorno d’oggi i portieri, tranne qualche nostalgico, hanno ritrovato divise spesso monocromatiche e tendenzialmente più sobrie e molto simili a quelle degli altri calciatori.

Stravaganza che si è comunque mantenuta nei bambini dove l’abbigliamento del portiere si mantiene spesso originale e personalizzato.

Se alle già citate divise da gioco così diverse ci aggiungiamo anche dei guantoni e qualche volta anche un berretto, viene spontaneo un atteggiamento di curiosità verso questo ruolo cosi atipico nello sport più popolare del mondo.

Attraverso un’analisi leggermente più approfondita di una qualsiasi partita di calcio, oltre alla differenza cromatica dettata dall’abbigliamento, risulta altrettanto evidente che anche i suoi gesti tecnici e atletici sono diversi da quelli degli altri giocatori.

Infatti, come molti ben sanno il portiere è l’unico giocatore della squadra a poter toccare il pallone con le mani, purché questo avvenga all’interno della “sua casa” ovvero l’area di rigore.

Oltre a questo il portiere si è sempre contraddistinto per il tuffo, proiettare il proprio corpo in volo per respingere quel pallone che sta per attraversare la linea di porta.

Questo gesto così spettacolare è spesso apprezzato quanto un gol e guardato con un certo grado di ammirazione e curiosità ma anche spesso per i meno esperti con un po' di preoccupazione.

Quante volte sentiamo dire: “Ma non si sarà fatto male?” o ancora “E’ matto a buttarsi cosi” e questo avviene per via dello stupore che in tanti esprimono quando vedono una partita di calcio di fronte a questi gesti cosi acrobatici.

Dall’insieme di queste particolarità che unite tra loro plasmano la figura del portiere, viene fuori un giocatore insolito e curioso, e talvolta definito “strano”. “È un solitario.

Condannato a guardare la partita da lontano.

Senza muoversi dalla porta, attende in solitudine, fra i tre pali, la sua fucilazione.

Prima vestiva di nero come l’arbitro.

Ora l’arbitro non è più mascherato da corvo e il portiere consola la sua solitudine con la fantasia dei colori.” (Eduardo Galeano, “Splendori e miserie del gioco del calcio”.)

È proprio con questa citazione di Eduardo Galeano, l’accostamento tra la particolarità della divisa e la sensazione di solitudine insita nel ruolo che non posso non citare “La solitudine dei numeri primi” il titolo del romanzo di Paolo Giordano del 2008, che poi pochi anni dopo diede origine anche all’omonimo film, e che nel nostro caso potrebbe essere definita come “La solitudine dei numeri 1”.

Perché proprio dall’interazione di questi due titoli che mescolati tra loro si completano poiché il portiere proprio con quel 1 sulla schiena è il primo uomo della propria squadra.

Il primo e l’ultimo, la sottile linea tra il gol subito e la porta inviolata, colui che più di tutti ha sulle spalle il peso del risultato.

Il portiere è solo o meglio solitario, se ne sta spesso lontano da compagni ed avversari ad aspettare il momento giusto, quei pochi secondi in cui entrerà in azione.

La “solitudine” è forse la terza caratteristica che più colpisce agli occhi chi portiere non è.

Perché mentre la divisa da gioco, i guantoni e anche i suoi gesti cosi acrobatici posso incuriosire chi ha un approccio piuttosto superficiale col calcio ma che rientrano nell’ordinario per chi questo sport lo pratica, lo segue o per gli addetti ai lavori, e proprio la solitudine a colpire e destare perplessità in tutti quanti.

Il portiere è solo sempre, quando para, quando esulta e anche quando sbaglia.

È infatti questo suo approccio cosi distaccato dal resto della squadra a renderlo per così dire uno sport individuale all’interno di uno sport di squadra.

Già un ruolo che per caratteristiche psicologiche, fisiologiche e tecniche richiama alcune specialità sportive individuali.

Caratteristica che si rispecchia anche nella preparazione alle partite, infatti se si assiste ad un allenamento di calcio è probabile che il portiere non si trovi aggregato alla squadra, ma si alleni in solitaria, in un angolino nel campo con i suoi colleghi (gli altri portieri della squadra) e talvolta col suo preparatore specifico, distaccato da tutto e da tutti con affianco quelli che come lui si giocano il posto tra i pali la domenica, o che avendolo fatto in passato ora si dedicano alla cura di un ruolo così delicato, e sempre come lui, condividono le stesse sensazioni e le emozioni.

Questa condizione di individualità talvolta viene meno improvvisamente, come un lampo, durante la gara dove tempistiche e modalità di intervento si interfacciano spesso con i compagni di squadra e gli avversari.

Questo oscillare tra la solitudine data dall’individualità e il coinvolgimento improvviso all’interno del gioco è spesso fattore di stress psicologico, che rende più fragile il portiere rispetto a chi pratica uno sport individuale, come per esempio, un tennista o un ginnasta.

Il portiere è più aperto al condividere con gli altri le proprie prestazioni, visto che fa parte di una squadra, ma a differenza degli altri giocatori guarda tutti giocare come fosse uno spettatore, aspettando il suo turno, dove magicamente tutto si capovolge ed egli diventa protagonista nella sfida con l’avversario che ha scoccato il tiro o che è lanciato a rete e tutti gli altri diventano spettatori come in uno sport individuale.

“Il portiere è solo, gioca con mille responsabilità sulle spalle, deve stare attento agli attaccanti avversari e ai propri difensori.

Si anche ai propri difensori, perché ci può essere una deviazione, un errore, uno scivolone involontario.

Come quando guidi la macchina, non solo non devi commettere infrazioni o imprudenze ma devi stare attento anche a quelle degli altri.

E quando prendi gol ci sarà sempre qualcuno che ti rimprovera qualcosa.”

(Stefano Sorrentino, “Gli occhi della tigre”)

Da un errore del portiere, spesso, non c’è possibilità di scampo.

Se un attaccante sbaglia per l’intera partita, ha sempre la possibilità di riscattarsi anche allo scadere dei 90 minuti e diventare l’eroe della giornata.

Se il portiere sbaglia pagano tutti, e se la squadra perde ci si dimentica presto delle parate degli interventi e di tutto quello che di buono è stato fatto.

Questo succede a tutte le età per questo chi si approccia a questo ruolo deve avere una grande forza mentale, un gran cuore ed una grandissima passione.

Un ruolo fortemente introspettivo che insegna a conoscere sé stessi al meglio e che fortifica anche il rapporto con gli altri, che ti insegna a convivere con l’incertezza, con le paure, con l’attesa e con la responsabilità.

Caratteristiche quest’ultime che si trasformano presto in uno stile di vita; per questo chi sceglie la maglia numero uno sa che, per quanto possa essere duratura la sua esperienza da portiere, lo condizionerà in campo cosi come nella vita.

Spesso nelle scuole calcio in porta ci finisce il più “scarso con i piedi” o il più robusto; oppure succede che un bambino alla domanda “Chi vuole fare il portiere?” alzi la mano e decida di indossare i guanti per scelta, attratto dalla magia del ruolo.

In tutte e tre i casi non siamo ancora in presenza di un portiere, perché un bambino avverte spesso la necessità di poter cambiare, di provare tutti i ruoli, ma non è detto che chi sia stato messo in porta per la mancanza di bravura con i piedi o la poca agilità data dal fisico robusto non trovi nei guanti la possibilità di riscattarsi e nasca in lui la voglia di proseguire e il desiderio di migliorarsi nel ruolo che gli ha permesso di inserirsi al meglio in un gruppo e all’interno di una squadra.

La curiosità diventa maggiore per chi questo ruolo lo sceglie e se lo sente suo, chi già da bambino sente il bisogno di diversificarsi e di ricoprire una figura così delicata, forse mosso dal desiderio di imitare i portieri più grandi, non per forza professionisti o visti in tv, ma magari nel campo dietro casa o addirittura al parco.

Quelle figure cosi bizzarre che esultano dopo una parata e che non hanno paura di volare. In entrambi i casi vi è un passaggio dato dalla consapevolezza di stare al posto giusto; è lì che si compie la scelta, quando l’incoscienza cambia in coscienza, della propria scelta di essere portiere, di sentirsi il ruolo dentro al petto, non più solo attraverso maglia e guanti.

Quando avere un completo personalizzato e l’esigenza di diversificarsi dagli altri diventano motivo d’orgoglio; è lì che la maglia numero uno rimane per sempre, nel campo come nella vita di tutti i giorni. Il portiere è tutto questo e altro ancora, un ruolo incompreso del calcio ma più in generale dello sport, una figura romantica e poetica allo stesso tempo, logorante e a tratti masochista per chi fa del proprio sport e della propria passione una continua lotta contro il tempo, condannato ad attendere il proprio turno.

Per questo, come per molti altri, sono dell’idea che portiere si nasca, poi c’è chi decide nel proprio percorso di diventare numero 1.

 

1.2 ORIGINI ED EVOLUZIONE, DA YASHIN A EDERSON )

Il calcio ha origini lontane, già dall’antica Grecia dove era conosciuto con il termine "episkyros", successivamente, fu tramandato ai romani con la denominazione di "harpastum"; questi termini descrivevano uno sport a metà tra il rugby e il calcio. Intorno al ‘400 in Italia si sviluppo il “calcio fiorentino”, una manifestazione che si pensa abbia origine dall’harpastum; il gioco era formato con due squadre che si sfidavano in una piazza con l’obiettivo di spedire la palla oltre un traguardo.

Non vi erano regole.

Questi sport erano caratterizzati da una forte componente di violenza e non era raro che si sviluppassero durante la gara risse tra i giocatori.

Molti anni dopo, superata la metà dell’800 in Inghilterra si sviluppò quello che venne chiamato football (piede-palla), si andarono a formare le prime regole in cui si separarono quelle comuni del rugby da quelle del calcio.

Attraverso un regolamento vennero, cosi definite, le dimensioni del campo, il numero di giocatori, e altre regole che ancora ritroviamo nel calcio di oggi.

In molti però non sanno che le prime partite di calcio si giocarono senza portiere.

Dato che il regolamento prevedeva l’interdizione a tutti i giocatori dell’uso delle mani, nessun calciatore poteva utilizzarle per impedire che il pallone oltrepassasse la linea di porta, che tra l’altro non prevedeva la traversa ma solo i due pali.

Il gol quindi si poteva realizzare senza limiti di altezza. Successivamente visti i problemi evidenti nella difesa della porta si decise che solo un giocatore avrebbe potuto usare le mani durante il match; questo calciatore poteva utilizzare le mani fino alla metà campo, era pertanto ancora un ibrido tra il calciatore e il rugbista; si era di fronte ad un normale giocatore che in più poteva usare le mani.

Era il 1871.

Bisogna attendere il 1912 quando una successiva modifica del regolamento stabilì che un solo giocatore potesse toccare la palla con le mani solo all’interno della sua area di rigore, si diede cosi vita al ruolo del portiere che iniziò a specializzarsi nell’uso delle mani e nelle abilità acrobatiche per difendere la porta. Da quel momento in poi il ruolo ha cosi iniziato a perfezionarsi, subendo una grande evoluzione sia regolamentare, sia tecnica ed infine tattica.

Per andare a scovare il primo portiere della storia del calcio, si deve tornare indietro nel tempo.

Era il lontano 1872 quando Robert Gardner scrisse per sempre la storia del calcio.

Proprio in quel anno nello Queen’s Park di Glasgow si giocò la prima partita di calcio a livello internazionale, Inghilterra-Scozia.

Le due squadre si erano già sfidate in altre 5 occasioni ma per la prima volta questa partita era ufficialmente riconosciuta dalla FIFA, anzi questa era la prima partita ufficiale di sempre.

La partita finì 0 a 0 e Robert Grader era il portiere e il capitano della Scozia, che nell’occasione fu assoluto protagonista non solo tra i pali ma anche nei panni di stratega effettuando una mossa che tuttora viene considerata la prima intuizione tattica nel calcio, ovvero, l’arretramento di due uomini dalla linea d’attacco a quelle di centrocampo e difesa, trasformando cosi il consueto 1-1-8 in un 2-2-6.

Grader inizialmente era un attaccante, caratterizzato da un fisico possente accompagnato da spalle larghe e mani abbastanza grandi, caratteristiche che presto lo portarono a fare il portiere.

Ma Robert fu molto più che un semplice calciatore, egli infatti organizzò gran parte degli incontri in terra scozzese e fu sempre lui a rivestire i panni di selezionatore per i suoi compagni di squadra.

Robert inoltre rispetto a gli altri portieri del periodo fu il primo a intuire che spostandosi in base a dove stava arrivando l’attacco si poteva coprire maggiormente lo “specchio” della porta, mentre i suoi colleghi erano soliti rimanere ben piantati nella linea di porta.

Un gesto che per il periodo fu considerato rivoluzionario agli occhi di tutti, che ben presto lo considerarono il miglior portiere del mondo.

Quello che oggi ci rimane di lui è il mito di un uomo che non solo inventò il ruolo del portiere, ma fu il primo “tattico” di questo sport e colui che per primo guidò da capitano la scozia.

Per conoscere un'altra figura che subito dopo Grader segnò il ruolo del portiere dobbiamo spostarci in Irlanda, dove qualche decennio più tardi William McCrum entrò per sempre nella legenda del calcio.

McCrum era il portiere del Milford Everton, squadra che prese parte al primo campionato irlandese di sempre nel 1890/1891, ma non fu una stagione positiva.

McCrum e compagni infatti terminarono il campionato all’ultimo posto senza totalizzare un solo punto.

In 14 gare McCrum subì 62 reti.

Questa stagione buia e opaca e quel poco che resta delle cronache calcistiche di quest’uomo che entrò nella storia non per le sue gesta in campo ma per la sua grande invenzione, il calcio di rigore.

McCrum si rese conto che il contatto tra i giocatori stava diventando sempre più duro.

Secondo la sua visione il calcio in quel periodo stava perdendo il suo lato sportivo e i calciatori, sempre a suo modo di vedere, pur di mettersi in mostra per diventare professionisti erano diventati duri e sleali.

Proprio per amore per il suo sport McCrum partorì l’idea del calcio di rigore, idea che giunse fino al quartier generale della Football Association.

Anche se all’inizio non ebbe vita facile essa divenne realtà, in un combattutissimo turno di FA Cup tra Stoke City e Notts Country.

Mentre la sua proposta divenne una regola, tuttora utilizzata, da quel lontano 14 settembre 1891, giorno in cui Billy Heath del Wolverhampton realizzò il primo rigore di sempre assegnato in campionato, McCrum non ebbe una sorte altrettanto fortunata, mori solo e povero per via dei debiti d’azzardo dimenticato dal mondo del calcio per tanti anni.

“Yashin era un gigante nero: lo guardai cercando di capire dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra: potevo tirare dall'altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin.”

(Sandro Mazzola) [commentando il rigore paratogli da Yashin in Italia-Urss del 10 novembre 1963]

È questa la fotografia forse più bella e spontanea per descrivere “Il ragno nero”, parole di stima con la quale Sandro Mazzola dipinse Lev Yashin.

Un gigante alto 189 cm, nato a Mosca e cresciuto calcisticamente nella Dinamo Mosca dove militò per 22 stagioni.

La sua esperienza nel calcio iniziò tardissimo, a 25 anni, negli anni precedenti Yashin aveva lavorato in fabbrica dove si dice che i colleghi gli lanciassero per gioco dei bulloni che Lev parava, altri dicono invece che sia stato il padre ad allenarlo in questo modo.

Iniziò a giocare nella Dinamo Mosca, la squadra della sua città, ma inizialmente si trovò chiuso dal titolare inamovibile Khomic; cosi venne arruolato come portiere nella squadra di hockey con la quale vinse il titolo sovietico nel 1953, mostrando doti straordinarie.

L’anno successivo, complice l’infortunio di Khomic, iniziò l’esperienza di Lev tra i pali della Dinamo; tant’è che presto “la tigre” Khomic finì nel dimenticatoio per via delle prestazioni strepitose di Yashin.

Da quel momento la carriera di Yashin è una continua ascesa: vinse tantissimi titoli con la squadra di Mosca che mai abbandonò e tantissimi riconoscimenti personali che portarono il portierone russo ad essere conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.

Le leggende attorno a lui si sprecano: curioso fu l’episodio in cui Yashin giocò un match del mondiale cileno del 1962 con un occhio bendato a causa di una violenta contusione.

Fu l’anno successivo quello in cui Yashin divenne per sempre leggenda vincendo il premio a cui qualsiasi giocatore in ogni angolo del mondo tuttora ambisce, il pallone d’oro.

A 34 anni si piazzò nella classifica al premio davanti a Rivera, Greaves, Law, Eusebio, Schnellinger, Seeler, Suarez, Trapattoni e Bobby Charlton, la top ten dei migliori calciatori del mondo del 1963.

Finora Yashin è stato l’unico portiere a vincere questo premio, ma 13 anni dopo la vittoria del Russo, un altro estremo difensore sfiorò il pallone d’oro.

Dino Zoff andò vicinissimo al bersaglio nel 1973, dopo la sua prima strepitosa stagione alla Juventus conclusa con lo scudetto e 903’ minuti di imbattibilità, arrendendosi al mito Johan Cruyff del Ajax.

Purtroppo, per lui, non riuscì a vincere nemmeno dopo il trionfo con la Nazionale italiana nel 82’ dove il portierone italiano a 40 anni fu protagonista assoluto.

Pallone d’Oro che fu assegnato ad un altro italiano, Paolo Rossi.

Negli ultimi 30 anni il ruolo ha subito ulteriori modifiche, in primis quella in cui il portiere non può più prendere la palla con le mani su retropassaggio, pena un calcio di punizione indiretto per la squadra avversaria, nel punto in cui è avvenuta l’infrazione (era il 1992).

“Per me è stato un passaggio traumatico.

Quella nuova regola, non solo ha cambiato l’interpretazione del ruolo, ma anche gli allenamenti. Il portiere era coinvolto nel gioco della squadra e le sedute erano diverse: dovevamo fare esercitazioni nuove e, se aggiungevi qualcosa da una parte, dovevi toglierne da un’altra.

Io non avevo predisposizione a giocare con i piedi, come invece sapeva fare Pagliuca, con quel sinistro da 50 metri. Spesso non calciavo nemmeno i rinvii.

Nel Torino li battevano Annoni e Cravero.” (Luca Marcheggiani)

Questo costrinse i numeri uno ad utilizzare i piedi per liberarsi dell’azione, cambiò quindi il modo di approcciarsi al ruolo. Inizialmente i portieri non possedevano una grande tecnica podalica, per via della trascuratezza di questo aspetto negli anni precedenti alla regola; erano infatti pochi i numeri uno che potevano vantare un’ottima tecnica nel gioco coi piedi.

Higuita, Rogerio Ceni, Taffarel, Chilavert erano alcune delle eccezioni, tutti sudamericani.

In Europa e soprattutto in Italia, questa regola fu un trauma per gli estremi difensori.

Ancora oggi non vi sono portieri in grado di giocare la palla con i piedi al pari di un giocatore di movimento.

Neppure Gianluigi Buffon, da molti considerato il migliore di sempre (anche Buffon più volte vicinissimo al pallone d’oro) nonostante abbia subito un’evoluzione tecnica costante negli anni, non fa dei piedi la sua arma migliore.

Negli ultimi anni si è comunque assistito ad un’evoluzione non solo tecnica ma anche tattica del ruolo che è diventato sempre più parte integrante del fraseggio della squadra, passando ad essere a tutti gli effetti un elemento attivo sia in fase difensiva sia offensiva.

Già con Manuel Neuer (portierone tedesco) qualche anno fa il portiere passava da essere utilizzato solo in casi estremi e in alcune occasioni se quest’ultimo possedeva una buona tecnica (Victor Valdes, Julio Cesar per esempio) veniva cercato in fase di disimpegno, ad essere parte attiva del gioco della squadra trasformandosi in una sorta di registra arretrato, il primo della squadra.

Nel l’ultima stagione tutto ciò è stato estremizzato da un personaggio, Pep Guardiola, ed il suo portiere, Ederson Moares. Che Guardiola preferisse un portiere in grado di impostare l’azione era già risaputo dai tempi del suo tiki-taka al Barcellona, ma ora, grazie alle capacità tecniche e tattiche del numero 1 brasiliano Guardiola ha ideato un 3-5-3, che all’occorrenza diventa un 5-3-3 aggiungendo un uomo in campo rispetto ai 10 solitamente presenti, e quest’uomo è proprio il suo portiere.

1.3 IL MODELLO PRESTATIVO DEL PORTIERE, DATI E NUMERI

Parlando di modello prestativo parliamo di prestazione.

È importante in quest’ottica analizzare quindi le prestazioni in gara dei portieri e tenere conto dei fattori che influenzano la prestazione stessa. Infatti, lo studio del modello prestativo si basa sulla gara.

Dai dati emersi dal campionato primavera 2015-2016 (studio sui portieri del Empoli F.C.) troviamo il portiere quasi paradossalmente impiegato per il 64% nella gestione podalica, il 14% sono uscite, l’8% parate alla figura, ancora 8% parate in tuffo e 4% avvio con le mani.

Approfondendo: la gestione podalica (64%) viene divisa per il 54% in trasmissione corta sia a gioco attivo che su rimessa dal fondo, per il 10% in trasmissione lunga.

Le uscite a difesa dello spazio, si dividono in uscite in presa 9% e uscite in deviazione/respinta 5%.

Le parate che rappresentano solo una piccola parte di gara, si dividono in parate alla figura (senza utilizzo del tuffo) 8%, parate in tuffo in presa 3% e parate in tuffo ma con deviazione/respinta 5%.

Come si può ben notare, risulta palese che il portiere passa 2/3 di gare a giocare con i piedi.

Un altro paradosso se si immagina al portiere pensando che il suo compito principale sia quello di evitare i gol.

I portieri sono più impiegati in azioni offensive per via del totale coinvolgimento che questo ruolo sta subendo negli schemi tattici di squadra.

Dando un’occhiata alle statistiche di serie A, in riferimento alla prima parte di campionato 2017/2018, secondo Whoscored.com il brasiliano Alisson ha la media più alta di passaggi riusciti (81%) e gioca 27.8 palloni a partita.

Handanovic (Inter) e Reina (Napoli) seguono rispettivamente con 80.5% e 79.8% ma vantano “solo” 23.7 passaggi a partita lo sloveno e 26.3 lo spagnolo.

A livello quantitativo i portieri di squadre di media/bassa classifica effettuano un numero di passaggi ancora maggiore; Mirante del Bologna 34.2, Brignoli del Benevento 33.3, Viviano della Sampdoria 31, Sirigu del Torino 30.6 e Perin del Genoa 30.2.

Questo avviene per via di un possesso palla maggiormente difensivo che gli costringe ad un gran numero di giocate ma con percentuali di riuscita più basse (intorno al 60/62%).

Il portiere dal punto di vista tecnico deve quindi, oltre a difendere i pali e lo spazio (attraverso le uscite), saper compiere una serie di gesti tecnici come la trasmissione della palla anche con i piedi sotto forma di rilanci su varie distanze.

Mentre si sa molto sui giocatori di movimento, quello del portiere è un ruolo finora meno studiato, soprattutto dal punto di vista fisiologico.

Dal punto di vista prestativo è importante conoscere l’impegno metabolico del portiere e il conseguente meccanismo energetico.

Il meccanismo energetico rappresenta il sistema metabolico attraverso cui il muscolo ricava energia per compiere movimento.

Il corpo umano infatti possiede diversi sistemi per produrre energia e ogni sport si distingue anche in base al meccanismo di produzione di energia privilegiato.

In modo molto schematico possiamo riassumere i principali meccanismi di produzione di energia nel corpo umano. Il metabolismo anaerobico alattacido; in cui si produce energia in assenza di ossigeno, utilizza processi molto rapidi ma che non durano a lungo (pochi secondi).

Il metabolismo aerobico; in cui viene utilizzato ossigeno per produrre energia.

Può essere lipidico, glucidico o proteico, infatti a seconda dell’intensità dello sforzo vengono consumate in diverse percentuali grassi, carboidrati o proteine.

Il metabolismo anaerobico lattacido: anche questo sistema non utilizza ossigeno per produrre energia e il glucosio nel citoplasma della cellula viene trasformato in acido lattico.

Per poter comprendere quale sia il metabolismo utilizzato dal portiere in gara è necessaria un’ulteriore analisi prestativa.

Vanno valutati in primis due aspetti; i km che il portiere percorre in gara e la durata dei suoi interventi. Un portiere di alto livello percorre circa 4 km a partita (Stolen et. Al. 2005).

Altri studi indicano 5 km (Filippi E DE Bellis 2008).

La media metri percorsi a partita ai campionati del mondo FIFA 2014 è stata di 4067.

Uno studio molto accurato, svolto analizzando circa 40 partite di tutti gli estremi difensori del campionato del Qatar attraverso il software Prozone System ci indica che in media il portiere per il 71%-73% del tempo cammina.

In 97 minuti di partita resta fermo o si muove leggermente per ‘17’34’’, cammina per 71’30’’, esegue una corsa leggera per 7’32, corre per 38’’, corre velocemente per 15’’ ed esegue sprint di 3’’.

Un altro dato fornito da questo studio indica che il portiere ha in media il possesso palla per 22’37’’ (Brambilla, 2012).

Per quanto riguarda la durata di un intervento tecnico, essa è molto breve e dura massimo 3” (Filippi, 2002), ma spesso anche molto meno.

Tuffo in presa o deviazione 1,9’ Uscita alta in presa 2,4’ Uscita bassa in presa 1,7’ Uscita frontale 1,8’ Uscita fuori area 2,7’

Nel corso di queste brevi azioni da gioco, il portiere sollecita prevalentemente il meccanismo anaerobico alattacido, visto che gli interventi sono di breve durata ed altissima intensità ma l’intervallo di tempo tra gli interventi risulta abbastanza ampio da permettere un recupero solitamente completo.

Al pari dell’area fisiologica, rivestono notevole importanza l’area antropometrica e quella tecnica.

L’evoluzione della tecnologia e della medicina è andata di pari passo allo sport e ha portato al calcio una velocità sempre maggiore che, basti pensare a pochi decenni fa nessuno si sarebbe aspettato.

Contemporaneamente il gioco ha subito un’evoluzione tattica che ha portato ad una maggiore ricerca dell’ampiezza nel campo di gioco ed è stata chiara la riscoperta delle fasce laterali, con una diminuzione sensibile delle palle giocate nel corridoio centrale (Bacconi, et al 2001).

Di conseguenza in gara si è riscontrato un aumento dei cross su azione, dei palloni vaganti in area e dei contrasti aerei.

Questo ha portato anche a delle modificazioni antropometriche degli interpreti che scendono in campo.

La nuova generazione di portieri trova sicuramente nell’altezza la sua caratteristica fisica principale; i dati registrati al mondiale del 2014 hanno mostrato una struttura fisica media che si avvicina sempre di più al metro e novanta (187.68 cm).

In uno studio ho analizzato l’altezza media dei portieri in serie A nel campionato 2017/2018 che risulta essere 1.90 cm se si prendono in considerazione i 40 portieri (20 titolari e 20 riserve).

Soltanto due portieri scendono sotto 1.85 cm (Alessio Cragno e Gianluca Pegolo) mentre quasi il 50% (19 portieri) superano il metro e novanta.

 Numeri impensabili in passato, dove i portieri molto alti venivano spesso ritenuti lenti, macchinosi e goffi, i portieri di oggi risultano invece essere molto alti e anche più pesanti, con tendenza ad avvicinarsi ai 90km.

Un altro dato da non sottovalutare è la propensione al gioco aereo, attraverso uscite in presa alta e respinte di pugno (284 sempre in riferimento al mondiale del 2014).

Questo va ad avvalorare la necessità di una tipologia di portiere sempre più alto e strutturato.

Altro dato importante; il gran numero di deviazioni in tuffo, che sono spesso preferite alla presa. 159 gli interventi in deviazione al mondiale 2014 (tenendo conto anche degli interventi in presa difettosa).

La deviazione è in costante aumento ed è spesso preferita alla presa, che risulta sempre più difficile per via della velocità e leggerezza del pallone.

Attraverso i dati precedentemente analizzati emerge la figura del portiere come atleta completo dal punto di vista fisico.

Questo ruolo poi si conferma sempre più completo dal punto di vista tecnico-tattico e sempre più specializzato non solo nel parare ed evitare di subire il gol ma anche in una serie di gesti che risultano fondamentali per la costruzione della manovra offensiva della propria squadra.

1.4 TECNICA E TATTICA

Per tecnica sportiva si intende una procedura che, generalmente, si è sviluppata nella pratica dei vari sport e che permette di risolvere un determinato problema di movimento nel modo più razionale ed economico possibile.

La tecnica di una disciplina sportiva, quindi, corrisponde a quello che si potrebbe definire il tipo ideale di movimento che, però, mantenendo le caratteristiche tipiche del movimento stesso, può essere soggetto a modificazioni adattate alle particolarità individuali di chi lo esegue, che sono quelle che identificano il cosiddetto stile personale.

Troppo spesso questi due aspetti (tecnica e stile) son confusi tra i meno esperti soprattutto quando si parla di portieri.

Un portiere con buona tecnica deve possedere una serie di abilità che gli permettano di risolvere un determinato problema nel modo più razionale ed economico possibile.

Per questo è fondamentale che il portiere venga addestrato a eseguire gesti tecnici in maniera corretta ed efficace.

Ogni gesto tecnico però, in uno sport “Open Skills” come il calcio, dev’essere fortemente adattato al contesto oltre che alla situazione; le abilità tecniche risultano molto legate alle abilità cognitive.

La tecnica è poi fortemente connessa alla tattica. Per dare una definizione di tattica dobbiamo differenziarla dal concetto di strategia.

Per Rossi, Nougier (1996) la “tattica” è quell’insieme di comportamenti (azioni, operazioni) individuali e/o collettivi, che tenendo conto della situazione attuale, produce condizioni che possono essere utilizzate a proprio vantaggio durante l’incontro.

Sempre gli stessi autori formulano il concetto di “strategia” come la pianificazione mentale che, tenendo conto delle regole dell’attività sportiva, delle caratteristiche proprie e dell’avversario, anticipa e prestabilisce nelle loro line generali le decisioni relative al comportamento di gara.

Tenendo conto della moltitudine di gesti tecnici che ogni estremo difensore si trova a compiere dal momento in cui indossa i guanti, proporre un elenco minuzioso ed esaudiente di ciascuno di essi risulterebbe interminabile.

Mi limiterò a dividere i gesti tecnici in: presa, deviazioni e respinte, il tuffo, la difesa dello spazio e i rilanci con arti superiori e inferiori.

La presa è da sempre considerata un aspetto fondamentale del portiere, consiste in un gesto tecnico che il numero uno effettua al fine di interrompere la traiettoria della sfera fermandola.

Già a partire dagli inizi si era soliti giudicare un buon portiere in base al fatto che riuscisse a bloccare anche i tiri più forti.

I materiali utilizzati nei palloni di oggi ne aumentano notevolmente la difficolta sia per la velocità, sia per la traiettoria che spesso assumono tendendo a rendere sempre più difficile l’esecuzione di questo gesto.

Nella presa mani e braccia svolgono il ruolo principale ma in realtà è tutto il corpo che si occupa di bloccare la sfera, e a seconda della traiettoria della stessa il portiere dovrà adattare il proprio corpo appunto, attraverso la tecnica corretta, al fine di compiere la parata in presa.

La classificazione tecnica prevede principalmente due modi per effettuare la presa.

Essi sono profondamente differenti dal punto di vista tecnico.

Il primo è la presa a pollici convergenti orientati verso l’interno, con pronazione delle mani.

È utilizzata per tiri con traiettoria medio alta, dall’altezza del tronco fino a sopra la testa, oppure su una palla battente con traiettoria a salire.

Il secondo è la presa a pollici divergenti orientati verso l’esterno con supinazione delle mani.

È utilizzata per traiettorie medio basse o rimbalzanti che giungono nella zona sottostante al tronco.

In questo gesto non sono solo le mani che bloccano il pallone ma tronco, braccia e mani vanno ad avvolgere il pallone.

“Vi sono portieri di alto livello che desiderano eseguire quotidianamente esercizi per la presa, perché il bloccaggio del pallone rappresenta una forma di espressione della loro forza, oltre che di sicurezza e con questa aumenta la loro autoefficacia.” (Filippi, 2007)

In alcune situazioni risulta impossibile bloccare il pallone o è il portiere stesso che per evitare di incorrere in una presa difettosa in situazioni di pericolo preferisca intervenire attraverso una deviazione o una respinta.

La respinta si differenza dalla deviazione in quanto per deviazione intendiamo quel “fondamentale tecnico difensivo teso ad allungare, prolungare la traiettoria della palla senza modificarne la direzione.

” Respinta è quel “fondamentale tecnico difensivo che, a differenza della deviazione, cambia sostanzialmente la direzione della palla.”

Proprio nelle respinte e nelle deviazioni, assumono particolare importanza quelle di pugno, utilizzate solitamente in situazioni di disequilibrio, di contatto con l’avversario o in caso di pallone “viscido” e bagnato ma anche nel caso di una deviazione, per allungare la traiettoria di un cross.

Il portiere che effettua la respinta, deve tentare di indirizzare la sfera verso l’alto.

Questa particolarità tecnica presenta due motivi: il primo è evitare che la palla possa essere intercettata facilmente da un avversario, il secondo è per avere il tempo necessario di riprendere una posizione ottimale tra i pali.

Un’alta percentuale di interventi che il portiere é costretto a svolgere, implica un contatto con il suolo.

Nei tuffi sono svariate le componenti necessarie a determinare un gesto tecnico di buon livello.

La coordinazione è forse l’elemento di maggior rilievo.

Coordinazione che deve coinvolgere i vari segmenti corporei (arti inferiori, arti superiori, tronco).

La parata in volo è solitamente utilizzata dal portiere per intercettare quei tiri in cui non si ha il tempo di intervenire in condizioni di equilibrio.

Per proiettare il corpo in volo è necessario infatti perdere volontariamente l’equilibrio, la coordinazione in fase di atterraggio è fondamentale, la ricaduta infatti dev’essere una sequenza ordinata di punti che vanno incontro all’impatto col terreno, al fine di evitare traumi derivanti dal contatto col terreno stesso. Volendo analizzare in maniera specifica il tuffo e la sua dinamica, potremmo dire che esso avviene passando da una fase di equilibrio statico a una di equilibrio dinamico.

Più precisamente possiamo definirlo “di volo” in cui vi è una continua ricerca di un equilibrato controllo posturale nella fase aerea e viene continuamente sollecitata la propriocezione dei propri segmenti corporei per via delle modificazioni generate dalla mancanza di appoggio.

Il passaggio da una fase all’altra è determinato dalla fuoriuscita del proprio baricentro con conseguente spostamento del tronco dall’asse verticale; in più per la spinta generata dagli arti inferiori.

Come già detto, nel calcio moderno è impensabile immaginare un portiere giocare in prossimità della linea di porta, il ruolo tattico del portiere si divide in due fasi fondamentali, la fase di difesa e quella di attacco.

Al giorno d’oggi si richiede sempre più ai portieri di giocare “alto”, i portieri devono perciò essere sempre più abili nella difesa dello spazio oltre che della porta.

Le uscite rappresentano per il portiere l’intervento più complesso e stressante, di qualsiasi tipologia esse siano, necessitano di una serie di fattori: coordinativi, psicologici e fisici che devono essere migliorati con l’esperienza oltre che con l’allenamento specifico.

La capacità coordinativa che maggiormente influisce sulle uscite è quella di differenziazione spazio-temporale, oltre che l’equilibrio.

L’atto motorio dell’uscita, che essa sia bassa o alta, è fortemente determinato da questa capacità. quindi dalla capacità del portiere di organizzare, con un ordine sequenziale cronologico-spaziale, movimenti parziali, fino a farli diventare un atto motorio unitario e finalizzato I rilanci, assumono notevole importanza in chiave tattica.

La prima distinzione che si potrebbe fare e quella tra; rilanci con le mani e rilanci con i piedi.

Nonostante più del 43% delle azioni offensive del portiere siano compiute con i piedi e solitamente solo il 15.3% con le mani (Arcelli e Borri, 2009) entrambi risultano di fondamentale importanza.

Il gesto del rilancio, sia con i piedi che con le mani presuppone dei requisiti importanti come la destrezza fine, la coordinazione ideo-motoria (infatti è necessario immaginare la parabola del pallone prima di lanciarlo), la coordinazione oculo-manuale (sia nei rilanci con le mani, sia in quelli effettuati con i piedi al volo), la coordinazione spazio-temporale (per valutare i tempi di lancio), la capacità di combinazione e infine l’equilibro.

L'Autore

 Nobile del Calcio
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    Fabio PRINZIS

    Laureato in Scienze delle Attività Motorie e Sportive con la tesi: “Il self-talk nei portieri di calcio: uno studio sperimentale” all’ Università degli Studi di Cagliari. Voto finale 110 con Lode. Ha frequentato il 1° anno del corso di Laurea Magistrale “Scienze e Tecniche dello Sport” presso L’università degli Studi di Genova. Attualmente studente al 2° anno del corso di Laurea Magistrale “Attività Motoria Preventiva e Adattata” presso L’università degli Studi di Cagliari. Abilitazione Allenatore Portieri Dilettanti e Settore Giovanile. Tesi dal titolo: Transizione positiva, lettura delle situazioni e trasmissione palla. Pubblicazioni, Relazioni e Collaborazioni Vincitore premio Apport – Miglior proposta tecnica, Apport Garda 2018. Autore di numerosi articoli, in siti specializzati di calcio, relativi alla formazione del portiere di calcio. Relatore all’Università degli Studi di Cagliari, facoltà di Psicologia e Scienze Motorie. Relazione sul self-talk nei portieri di calcio. Collaborazione nel libro “Papere e Miracoli – allenare i portieri usando il cervello” di Antonello Brambilla, con un capitolo dal titolo “Self-talking – parlare a se stessi”.

     

     

       


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