Rinus Michels, il Kant del calcio
A cura di Gabriele PORRI
La storia del generale e
dei suoi grandi successi in panchina, dall’Ajax al
Barcellona, fino alla conquista di Euro 88 con la
nazionale olandese. Ricordo il grande Silvano, mio
mitico prof. di filosofia del liceo, sostenere, a
ragione, che la storia del pensiero filosofico poteva
essere divisa in due grandi ere: quella avanti Kant e
quella dopo Kant.
Proprio oggi, mentre
pensavo a cosa scrivere in questo post su Rinus
Michels, ho concluso che Marinus Jacobus Henfrikus
Michels è, per il calcio, quello che il grande
filosofo angloprussiano è per la filosofia:un genio.
La storia di Marinus
comincia da lontano, da Amsterdam, e se è vero che il
destino lascia dei segni sulla propria strada, il
primo che si manifesta nella vita di Rinus è datato 9
febbraio 1936, il giorno del suo nono compleanno: al
piccolo vengono regalati degli scarpini da calcio e un
pallone con lo stemma dell’Ajax; per il bimbo il
calcio è già una passione, gioca con gli amici e si
“allena” con suo padre.
Un osservatore dell’Ajax
lo nota e nel 1940, a 12 anni, entra a far parte delle
giovanili dell’Aiace.
L’Europa è già in guerra,
le truppe del Terzo Reich invadono l’Olanda, per gli
olandesi ma soprattutto per l’Ajax sono tempi duri, il
club è storicamente legato alla comunità ebraica e
vive momenti difficili con tutta la dirigenza rimossa.
Per Marinus sono gli anni
dell’adolescenza, la sua carriera rimane bloccata,
difficoltà materiali lo bloccano e problemi
burocratici impediscono il suo ingaggio da parte dei
francesi del Lille.
Quando la guerra finisce
Rinus ha 17 anni e l’anno dopo poco più che
diciottenne debutta nella prima squadra che milita in
Serie B. Si gioca il 9 giugno contro l’ADO, l’Ajax
stravince e il ragazzo segna 5 gol, nell’8 a 3 finale.
La squadra viene così
promossa in Prima divisione. L’anno dopo i Lancieri
vincono il campionato e Michels si ritaglia uno spazio
sempre più ampio nell’organico del club: tra il 1946 e
il 1958 giocherà più di 250 partite segnando 122 gol.
Non è un giocatore
fenomenale ma è una persona seria, si allena con
costanza, cerca sempre di migliorarsi nonostante non
abbia qualità fisiche o tecniche eccelse, è un
professionista che assapora anche il gusto della
nazionale Orange, dove debutta nel 1950 contro la
Svezia e dove collezionerà solo 6 presenze, con un
record poco invidiabile di 6 sconfitte.
La carriera da calciatore
finisce nel 1958, a soli trent’anni, a causa di un
infortunio alla schiena.
È giovane per smettere ma
il ritiro dal calcio giocato non è che il preludio
della sua epopea; per un periodo fa l’insegnante di
educazione fisica sfruttando il suo diploma, insegna
per un po’ in una scuola per bambini audiolesi poi nel
1965 quando l’Ajax chiama, lui risponde, ed è l’inizio
di una sfida e di una rivoluzione.
Rinus ha solo 37 anni e il
club di Amsterdam è ancora una squadra “normale”, sarà
questo uomo simpatico e perfezionista a costruire il
mito.
Guida il team alla
vittoria di quattro campionati olandesi tra il 1966 e
il 1970 (solo nel 1969 vincerà il Feyenoord, futuro
Campione d’Europa) e a una triplice affermazione in
Coppa d’Olanda.
Michels comincia a
costruire un meccanismo perfetto, una squadra che
gioca a memoria, i cui giocatori non si limitano a
interpretare il loro “compitino” ma che giocano in
funzione della situazione di gioco che gli si
presenta.
È nato il calcio totale,
terzini che spingono e crossano, punte che fanno i
registi, pressing alto e asfissiante, trappola del
fuorigioco a volte esasperata ma un gioco arioso,
bello forse troppo, caratterizzato da un mix di
strapotere fisico (le sedute atletiche del Generale
Rinus sono leggendarie) e una grande abilità tecnica
da parte di tutti gli elementi della rosa, portiere
compreso (Jongbloed preso dal NAC Breda era un ottimo
regista arretrato).
La rivoluzione non
sconvolge solo l’Olanda ma l’Europa intera, il
Totalvoetbal di Michels si diffonde come la “buona
novella” del calcio, anche se la prima grande recita
della compagine di Michels si rivela un flop. Si gioca
a Madrid, è la finale della Coppa Campioni 1969, i
Lancieri affrontano il Milan di Rocco e ne prendono
quattro con tre gol di Piero Prati e un Gianni Rivera
autore di una prestazione di grandissimo spessore.
Sbagliando s’impara, si dice, e il Generale Rinus si
presenta con le sue truppe due anni dopo, stessa
occasione, l’ avversario è il Panathinaikos allenato
da Ferenc Puskas e questa volta si gioca nel tempio di
Wembley, il 2 giugno.
E’ un match senza storia
fin dall’inizio, i greci e il loro allenatore ci
capiscono poco, pochissimo, al 5’ l’Ajax è già in
vantaggio, segna Van Dijk, poi gli olandesi
irretiscono gli avversari con il loro moto perpetuo e
armonico, creano sette, otto occasioni da gol,
soffrendo ben poco in difesa, all’85’ arriva il 2 a 0,
è finita, mamma butta la pasta, l’Ajax è campione
d’Europa.
Vinta la Coppa, Rinus
decide di lasciare, le basi della rivoluzione sono
lanciate, i Lancieri vengono affidati a Stefan Kovacs,
ex allenatore della Steaua di Bucarest che porta
avanti la filosofia di gioco del trainer olandese e
olia la macchina da guerra costruita dal Generale
vincendo altre due Coppe Campioni, una Coppa
Intercontinentale (1972) e la prima Supercoppa Europea
(1973), e dando prove di calcio memorabili come la
finale di Coppa Campioni 1972 -dove Cruijff fa
letteralmente ammattire un giovanissimo Oriali- o il 6
a 0 al Milan nella Supercoppa europea 1973.
Il Generale va al
Barcellona: è il 1971, il franchismo è al tramonto, il
dominio calcistico delle squadre madrilene no, Rinus
esporta in Catalogna il suo modo di intendere il
fútbol e i risultati alla lunga si vedono.
Ci vorranno due anni e
l’arrivo di Cruijff , ma poi sarà grande spettacolo,
con una data simbolo, 17 febbraio 1974. Real Madrid 0
Barcelona 5 con un Santiago Bernabeu ammutolito e un
gol spettacolare di Crujiff.
La metà degli anni
Settanta sono forse il culmine della carriera da
manager di Rinus, nel 1975 tornerà all’Ajax per una
sola stagione, nel 1976 ritornerà sulla panchina
blaugrana per due annate nelle quali vincerà una Copa
del Rey (1978); l’anno seguente se ne andrà nella
NASL, l’antenata della MLS, anche in quell’occasione
per una sola stagione.
Nel 1980 il Generale torna
in Europa, al Colonia, quattro stagioni e una Coppa di
Germania, dopo quell’esperienza ce ne solo un’altra in
un club, la stagione 1988-1989 sempre in Germania, al
Bayer Leverkusen anche qui senza lasciare il segno.
L’altro grande amore della
carriera calcistica di Michels è stata la nazionale
olandese.
Il Generale l’ha guidata a
più riprese, tra il 1974 e il 1992; la prima volta è
stata alla vigilia dei Mondiali di Germania del 1974,
la Federazione olandese lo ingaggiò nel marzo di
quell’anno, a qualificazione già ottenuta. Per
l’Olanda è la seconda partecipazione e francamente non
è tra le favorite, ma i ragazzi guidati da Rinus
avanzano abbastanza agevolmente, 2 a 0 con l’Uruguay
(doppio Rep), 0 a 0 con la Svezia e poi 4 a 1 con la
Bulgaria con Johan Neeskens in cattedra.
Il secondo girone pare il
posto dove i sogni arancione si debbano infrangere, ma
la nazionale guidata dal Generale affonda prima la
corazzata argentina per 4 a 0 (grandi Crujff e
Neeskens), poi la piccola DDR ( 2 a 0) e infine il
Brasile di Pelè annichilito da un gioco improponibile
per la cultura e la tradizione calcistica dei
verdeoro, abituati a correre poco e a far correre
molto la palla: l’Olanda è in finale.
La squadra è costruita a
immagine e somiglianza dell’Ajax totale, la filosofia
è la stessa, un 4-3-3 molto duttile, un gioco dai
ritmi forsennati e fondato sulla versatilità dei suoi
interpreti, che è la quintessenza del calcio offensivo
ma che garantisce anche grande copertura difensiva
dovuta all’eccezionale preparazione fisica dei
giocatori.
Gli interpreti singoli
sono di classe mondiale, Cruijff, Neeskens, Rep e
Rensenbrinck sono tra i migliori giocatori dell’epoca
che uniscono alle doti fisiche quelle abilità tecniche
necessarie per il tipo di gioco della squadra.
Nonostante le grandi
potenzialità gli Orange non vincono. La finale
all’Olympiastadion di Monaco comincia bene, al 3’
Vogts atterra Cruijff, è rigore, i tedeschi non hanno
praticamente toccato pall., Crujff trasforma, è 1 a 0;
paradossalmente è l’inizio della fine, gli olandesi
man mano calano, l’arbitro Taylor da un rigore per la
Germania Ovest, Breitner trasforma, è 1 a 1, siamo al
25’, poi al 43’ Gerd Muller raddoppia e gli Orange
spariscono dal campo, il Generale ha perso.
Con la sconfitta Michels
lascia la guida della nazionale, la ritroverà dieci
anni dopo, nel 1984 per un solo anno, poi per un
biennio tra il 1986 e il 1988; sarà un’altra grande
avventura, un’avventura che porterà Rinus al primo ( e
unico) successo con gli arancioni, in Germania al
Campionato Europeo.
Non è più il calcio totale
ma il gruppo su cui l’allenatore può contare è
eccelso, il trio olandese del Milan (Gullit, Van
Basten e Rijkaard) costruisce l’ossatura di quella
rosa, completata da ottimi elementi come Ronald
Koeman, Wouters, Van’t Schip e da un buon portiere
come Van Breukelen.
Il cammino verso la
vittoria è tortuoso e l’Olanda, giunta seconda nel
girone, deve incontrare in semifinale i padroni di
casa. E’ una partita equilibrata, segna Matthaeus al
10’ della ripresa, Koeman pareggia al 27’ poi Van
Basten risolve a due minuti dalla fine: è il suo
quarto gol della manifestazione, l’antipasto della
finale.
Sì, la finale, si gioca
contro i sovietici che hanno strappato proprio agli
Orange il primo posto del girone eliminatorio e che in
semifinale hanno liquidato in quattro minuti l’Italia
di Vicini.
La finale è a senso unico,
i russi hanno un ottimo gruppo (Mikhailichenko,
Protassov, Dasaev) ma gli Orange sono superiori a
livello tecnico e tattico ma soprattutto la nazionale
olandese hain Van Basten un giocatore unico,
fenomenale, che in quella finale segnerà un gol di
rara bellezza. Un tiro al volo sul cross dalla
sinistra, una parabola bellissima, dipinta in modo
tale che Dasaev non si rende conto della gran legnata.
E’ 2 a 0, aveva segnato
Gullit poco prima ma quel gol non se lo ricorda
nessuno. Come suo solito Michels lascia dopo una
grande manifestazione, tornerà alla guida della sua
nazionale nel 1990 dopo il Mondiale conducendo il
gruppo fino a Svezia 1992. Lì l’Olanda è tra le
favorite insieme ai tedeschi, il girone un po’ li
aiuta, la Scozia non è temibile, la CSI che
sostituisce l’URRS non è all’altezza della
rappresentativa di quattro anni prima.
Risultato: Germania e
Olanda in semifinale, con Svezia e Danimarca, ci si
rivede in finale si pensa. La semifinale contro i
danesi per il tecnico olandese è una partita a scacchi
con l’altro allenatore, Richard Moller Nielsen.
È una patta, si va ai
rigori. Segnano tutti, sbaglia invece chi generalmente
non sbaglia mai, Marco Van Basten. Gli Orange escono e
il Generale si ritira.
L’allenatore di Amsterdam
non accetterà più nessun incarico, non se la sente, ha
già avuto un infarto nel 1986 e non vuole rischiare;
nonostante sia a riposo De General rimane un
opinionista ascoltato, poco invadente ma con battute
fulminanti come quella volta che ritirando un premio
disse “sono così contento che se fossi un cane
scodinzolerei” o come quanto disse che il “calcio è
una guerra”.
Una guerra da cui il
Generale si è congedato a 77 anni, nel 2005, con i
gradi di Allenatore del Secolo e di Cavaliere della
Federazione olandese.
Info
Fonte:
La Grande Storia del
Calcio
Autore:
Gabriele PORRI
Categoria:
Profili
Sito web:
L'Autore
-
Attualmente è redattore di
Fabbricainter.com di cui è
l'esperto di storia interista e
collabora con il mensile
«Calcio2000». Con Mursia ha
pubblicato, insieme al Collettivo
Baüscia, Manuale di «Prostituzione
intellectuale» (2009) e Triplete.
Ovvero la prostituzione
intellectuale non si ferma mai
(2010).
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