Chi è il giocatore?
Sono dei bimbi, ovvero persone che hanno un’età che va dai 7 agli 8 anni. Sono esseri umani che
attraversano un periodo fatto di egocentrismo, litigiosità,voglia di affetto e di apprezzamento, voglia di
mettersi alla prova e di fare quello che a loro piace. Non sopportano aspettare, fare cose noiose e
ripetitive; non provano attenzione per il linguaggio fatto di termini poco concreti e canonici in quanto
non capaci di pensiero astratto. Possiamo capire che avere di fronte bimbi con queste peculiarità possa
mettere in difficoltà una qualsiasi persona adulta abituata a fare ed essere tutto quello che loro non
sono e non capiscono.
A questa età quindi il bambino considera in modo naturale e sano che la realtà sia
centrata su di sé, e non perché viziato o educato male. Egli gioca in modo emotivo e impulsivo, vuole la
palla per sé e pretende la massima attenzione dall’allenatore.
Il bimbo ha fantasia e capacità di simbolizzare ovvero capacità e bisogno di costruirsi mondi fantastici
fatti di personaggi, sogni, racconti.
Il suo corpo rispecchia lo stato d’animo in cui vive: struttura ossea e muscolare molto plastica e
adattabile ma fragile e incompatibile alla sopportazione di carichi.
Le dimensioni mentale e corporea del bambino sono infatti talmente unite tra loro da diventare un
tutt’uno, la stessa cosa. Il movimento non diventa altro che il suo modo di esprimersi e comunicare col
mondo. Bambini timidi, coraggiosi, tristi, entusiasti, impauriti, gregari, leader, emotivi, strategici, ansiosi,
sereni, saggi, spontanei manifestano nei giochi e nei gesti motori l’immagine che hanno di sé che si
perfeziona e modella in ogni fase della vita, allenamento compreso! Anzi, essendo l’allenamento e uno
dei momenti più attesi dai bimbi (in cima a tutto c’è la partita ovviamente) nel quale mettere tutto loro
stessi, diventa grande il potere che abbiamo noi addetti ai lavori di potenziare (o indebolire!) le loro
capacità.
Cosa allenare?
Dopo queste 2 prime premesse dobbiamo affrontare il problema principale. Cosa alleniamo del nostro
bimbo? La scelta dell’1contro 0 e 1 contro 1 col tema di guida e difesa della palla è rispettosa del
atteggiamento egocentrico e di scoperta spazio-temporale che il bambino ha in questo momento di vita.
Il bambino vuole la sua palla con la quale comunica durante tutto l’allenamento. Con essa il bambino
ama sfidarsi nel colpire bersagli o compagni, fare gol, calciare forte-alto-lungo, saltare oggetti,
avversari…tutto in funzione del rapporto che si instaura tra la palla, il bimbo e l’ambiente esterno.
Il bambino sappiamo che apprende facendo e imitando con una peculiarità che è propria dell’essere
umano: il piacere. Nel bambino è moltiplicato all’ennesima potenza. Egli ha bisogno di immaginare,
emozionarsi e divertirsi per imparare. Autorità, noia, paura, sfiducia, critiche non fanno altro che
chiudersi, non accettare la novità, il mettersi in gioco, il cambiamento. Noi dobbiamo essere consapevoli
che siamo allenatori non solo di tecnica , tattica, coordinazione ma anche di emozioni.
Come allenare? I ritmi del cambiamento
Multilateralità, globalità e progressione didattica sono caratteristiche che ormai da anni sono state
assorbite dagli allenatori nel loro operare. Quello che ci si può chiedere sul campo è cosa correggiamo e
come correggiamo? Bisogna porre fine all’idea che il bambino sia un omino al quale bisogna insegnare
tutto. Il bambino ha bisogno del suo tempo per conoscersi e scoprirsi e nell’allenamento possiamo
creare un ambiente ideale perché il bambino possa esprimere se stesso e i suoi bisogni.
Come allenatori spesso ci sentiamo in dovere di trasferire tutto il nostro sapere e le nostre osservazioni
al bambino nell’immediato tramite la parola. Così gli diciamo come camminare, come correre, come
giocare. Spesso e volentieri queste parole sono buttate al vento sia perché il bambino come in questo
caso apprende facendo, imitando e immaginando e non tramite la riflessione e il dialogo astratto. Per
questo ci riallacciamo al discorso fatto in precedenza sull’immagine che il bambino ha di sé.
Questa
influenza il modo di essere, di vivere il gioco e di rapportarsi con a palla non è modificabile con la forza
di volontà ma tramite il vissuto , le emozioni e le esperienze.
Per cui l’incremento della capacità tecnica e tattica in un gioco, in questo caso di calcio, sono
strettamente legate alle caratteristiche coordinative e psichiche del giocatore, in questo caso il bimbo,
che nascono dall’immagine che il bimbo ha di sé.
Dobbiamo sapere e vedere queste sfumature per non sopravvalutare o sottovalutare i nostri interventi
sul campo. Credere che solo con i richiami, le sgridate o semplicemente i suggerimenti si possa cambiare
una postura scorretta nel gesto tecnico o un atteggiamento tattico non efficace. Così vediamo un bimbo
che corre male e diciamo”ma alza quelle ginocchia” come se quell’andatura fosse indice di poco
entusiasmo o poco rispetto; oppure “piega quel busto , non vedi come ti si alza sempre la palla quando
tiri, chiudi bene” o ancora peggio “come corre male ” oppure “devi passarla” Si deve sapere che la
postura di un essere umano è il risultato di anni nei quali i muscoli non solo superficiali come possono
essere adduttori/addominali, lombari, flessori dell’anca ma profondi si sono adattati a situazioni.
Parliamo di muscoli profondi vertebrali, masticatori, respiratori che condizionano l’andamento della
colonna, l’asse degli arti inferiori, l’ampiezza dell’arco plantare, l’atteggiamento delle spalle. Postura,
atteggiamento sul gesto tecnico, capacità di contrasto sono derivate dall’organizzazione di questi
muscoli. Ugualmente profonda è la correzione di un comportamento relativo ad una situazione di gioco
o ad un calcolo della traiettoria della palla dove vengono messe in gioco capacità come controllo
cinestesico del proprio corpo, percezione della paura e del pericolo. Così per Pirlo, Gattuso, Kakà che per i nostri bambini.
Come si può pretendere che un bambino con la sola forza di volontà dopo un nostro richiamo oppure
osservazione riesca a correggere immediatamente un suo vizio postura o di gioco. Non si tratta sempre
di svogliatezza, poco impegno, poca attenzione, poca furbizia come spesso si crede ma di un sentire se
stesso e il mondo circostante in un determinato modo. Correggere un atteggiamento tecnico nella
posizione del corpo durante un tiro oppure cambiare un comportamento di gioco in una situazione di 1
contro 1 prevede un mutamento nel ragazzo. Abbiamo detto che una persona gioca come è. Mutare,
cambiare un comportamento o una postura nel gioco, significa trasformare la persona e quindi
l’immagine che la persona ha di sé.
Per i bimbi piccoli, più questa immagine è autonoma e indipendente dai pensieri e dalle critiche delle
persone e più essa ha possibilità di strutturarsi. Urla minacce e critiche sistematiche servono a creare
ragazzi che giocano senza scoperta, autonomia e strategia ma con la sola paura dell’autorità. Il
cambiamento dei nostri bimbi non possiamo averlo se non con la perdita della paura.
Lo stato d'animo del Mister
Quando l’errore viene trasformato in orrore.
Dobbiamo essere consapevoli delle aspettative che noi mister abbiamo rispetto alla risposta che i bimbi
hanno al suo allenamento. Se le aspettative superano le reali capacità dei bimbi si perde concretezza,
pazienza e voce.
Questo succede quando si crede che i bimbi siano pronti ad fare cose che invece non riescono a fare.
L’errore maggiore è non capire i modi e i tempi dell’apprendimento del bambino non sono così diretti e
brevi come si crede.
La fretta mette fretta, e al bambino non si da il tempo di capire, sentire situazioni ed emozioni sue, che
gli consentano di superare paure ed errori col giusto tempo. Così il mister diventa un ulteriore motivo di
ansia e fretta per il bimbo e si può facilmente intuire che con allenatori ansiosi il bambino impara a non
innervosire il mister assecondando i suoi voleri invece che giocare.
Così come abbiamo diversi tipi di
giocatori, abbiamo diversi tipi di allenatori:
il frenetico emotivo che fa fare mille esperienze diverse ai bimbi dimenticandosi dei ritmi di attenzione e
recupero dei suoi giocatori; il freddo metodico che è più interessato alla buona riuscita delle attività
proposte che al rapporto o al dialogo con i bambini; l’insoddisfatto depresso che voleva fare il calciatore
ma non ci è riuscito e che non vede nessun bambino con quella voglia che aveva invece lui da piccolo; lo
stratega pragmatico che fa lo stesso allenamento da adulti anche per bimbi di 8 anni spiegando la
posizione giusta del corpo, come fare fallo, lo schema su calcio d’angolo e tanti altri i trucchi del
mestiere; l’ultra-informato con la testa per aria che legge mille riviste del settore riproponendo
l’esercitazione sul castello vista all’ultimo convegno a dei minipulcini durante un diluvio; il patetico paterno che per la paura di far soffrire i bimbi dice che va tutto bene col tono consolatore e caritatevole;
l’energico con la paura della confusione che creano i bambini, che perde la voce a farli stare in fila e fare
quello che dice lui. Noi allenatori abbiamo nei nostri allenamenti atteggiamenti simili un po’ all’uno o
all’altro di questi mister descritti sopra. Ognuno di noi ha il suo metodo più meno efficace.
Le parole
giuste nei momenti giusti non possono essere contenute in manuali e possono benissimo nascere da
chiunque, indifferentemente dalla squadra allenata o dalla qualifica acquisita. Sicuramente sapere
quanto sono affascinanti e complesse le dinamiche dell’apprendimento del bambino permettono
all’allenatore di vedere i suoi giocatori ed i loro difetti in modo diverso, cercando nel cambiamento del
bambino anche un cambiamento del proprio allenare e quindi.. di se stesso.
L’obbiettivo non è quindi
correggere il bambino e cercare di togliere tutti i difetti (ammesso che siano difetti, ammesso che il
mister corregga la cosa giusta, ammesso che la cosa corretta possa essere correggibile per l’età e per le
sue potenzialità) ma far sì che il bambino abbia a disposizione un ambiente nel quale si possa strutturare
un’immagine di sé che possa dare autonomia di scelta e autostima per scacciare le paure di mettersi
alla prova