Scuola Calcio: dalla parte dei bambini
Emanuele BRUZZONE
La contrapposizione tra una didattica fondata
sull’impiego massiccio di mezzi analitici ed un’
altra invece maggiormente orientata alla
somministrazione di esercitazioni ludico –
situazionali costituisce, ancora, un difficile
motivo di discussione, durante le appassionate
riunioni tecniche organizzate dalle diverse scuole
di calcio.
Certo è che l’argomento, in un programma dedicato
all’avviamento sportivo, rappresenta un aspetto
rilevante e merita di essere analizzato a fondo.
Esiste a supporto una corposa bibliografia,
qualificata, dalla quale è possibile ricavare
numerose indicazioni di riferimento affinché la
scelta degli obiettivi di programma e dei
conseguenti mezzi da proporre possa essere sorretta
anche da un giudizio convalidato nell’ambito
pedagogico e scientifico.
Il
movimento costituisce il denominatore comune per
ogni attività fisica ed appare come la staminale
dalla quale deriverà successivamente ogni forma di
orientamento specialistico.
Così come imparare a leggere ed a far di conto
rappresentano le fondamenta cognitive, dalle quali
ognuno attingerà, per approfondire lo studio delle
varie materie scolastiche e dopo ancora per
orientarsi verso una propria scelta di
perfezionamento, anche l’apprendimento motorio deve
sottostare a questi basilari principi di sviluppo
...
L’attività sportiva di specializzazione potrà
manifestarsi al meglio se nel periodo preparatorio
avremo dedicato ampio spazio agli aspetti generali e
di base della motricità, attraverso l’utilizzo di
una grande varietà di mezzi, con l’obiettivo
primario di accrescere il vissuto motorio dei
piccoli atleti.
Se volessimo rappresentare graficamente l’esempio
descritto, potremmo immaginare un triangolo, il cui
lato di base rappresenta l’avvio del percorso
formativo e privilegia la trasversalità delle
proposte, mentre il vertice alto individua
ovviamente il momento della ricerca della massima
prestazione e converge tutti gli sforzi verso
obiettivi specifici e di specializzazione.
In una teorica
transizione video “a dissolvenza”, il principio
della variabilità ed aspecificità del carico
scompare gradualmente e lascia il passo ad una
altrettanto graduale entrata in scena del lavoro
strettamente disciplinare.
A
sostegno di questi importanti cenni di teoria
dell’allenamento sportivo, che durante il suo
pluriennale svolgimento dovrebbe incontrare fasi di
attività complementari, ricorderei alcune accese, ma
convincenti considerazioni del Prof. V. Pincolini,
comparse in una serie di articoli pubblicati dalla
rivista “Il nuovo calcio”:
“…Da qualche
mese abbiamo cercato di riportare la palla al centro in merito alla
specializzazione precoce; soprattutto considerando i programmi delle
Scuole Calcio che si occupano di bimbi di 5,6 e 7 anni e sono quindi
impegnate in un importante compito educativo. In tale contesto, il
calcio deve essere un pretesto per lavorare correttamente nell’indirizzo
dell’avviamento allo sport. Abbiamo detto tante volte che riteniamo che
molti problemi dello sport italiano (per una volta siamo presuntuosi e
pensiamo in grande) e quindi anche del calcio, dipendano
dall’impostazione troppo settoriale e specializzata che caratterizza
l’attività giovanile in ogni disciplina.”
Ed ancora:“…
Fino a 25 o 30 anni fa le società sportive iniziavano a insegnare i vari
sport a 10/12 anni e prima erano gli oratori, le strade e i cortili a
"formare" il bagaglio motorio dei giovani.
La scuola
iniziava l’educazione fisica alle Medie ed era quella l’età in cui
prendeva il via l’attività agonistica, seppur in forma blanda. In
pratica, l’organizzazione della vita di ogni giorno lasciava bambini e
ragazzi molto più liberi.
Per strada
c’erano meno macchine soprattutto meno pericoli e questo permetteva di
lasciar crescere i ragazzi in libertà, affrontando tutte le esperienze
motorie possibili, tutti gli sport accessibili.
L’impegno
era alto ma con una partecipazione fattiva che dipendeva dall’approccio
di ognuno, sempre libero e mai imposto. Quante ore di attività fisica si
facevano? Tante. Dal primo pomeriggio, dopo la scuola, a quando c’era
luce. In estate, anche di mattina e pomeriggio.
Quanta
attività fisica, quanti sport… e senza l’assillo di campionati e
specializzazioni. Si giocava a calcio, a basket con canestri
improbabili, a tutti i giochi possibili con la palla. Si scalavano
alberi, si giocava lungo i fiumi, dove si andava di nascosto, e si
affrontavano situazioni di equilibrio che adesso noi definiremmo
"pericoli impossibili". Tutto era normale e nessuno pensava nemmeno
lontanamente che quelle attività potessero far male.”
Il messaggio
appare perentorio: pianificare un’ attività dedicata all’avviamento
sportivo richiede competenze specifiche.
Il bambino non
è un adulto in miniatura e, nell’avvicinarsi allo sport, ripone
aspettative proprie, ben diverse da quelle dei grandi. Come altrettanto
differenti sono le necessità psico – fisiche da incrementare:
• le capacità
coordinative di base;
• la
multilateralità e la polisportività;.
•
la polivalenza ed il gioco libero,
all’interno del quale trovano le migliori condizioni
di progresso qualità come l’autonomia nei modi di
agire, il desiderio di sperimentare ambiti del
movimento sconosciuti attraverso iniziative
personali, la possibilità di sbagliare un gesto o un
comportamento senza il timore di scatenare giudizi
negativi di ritorno, spesso mal comunicati e di
probabile interferenza sui tentativi futuri.
Non si discosta di molto un’ altra
interessante interpretazione, reperita sulla guida tecnica FIGC, per le
scuole di calcio: “… L’istruttore dal punto di vista metodologico più
che dirigere e impartire ordini, dovrà osservare per modificare
eventualmente metodo e contenuto; suo compito sarà quello di creare un
ambiente ricco di motivazioni, suscitando nei bambini interesse e
piacere nell’allenamento.
Non dovrà utilizzare nella correzione
degli errori reiterati comportamenti disapprovativi, questi producono
ansia, sfiducia e disattivano ogni spinta che nel bambino è naturalmente
presente a migliorarsi.
Viceversa nella correzione degli errori,
deve valorizzare la parte fatta bene e poi spostare il suo intervento
per correggere la parte fatta male. Inoltre non dobbiamo considerarlo un
adulto in miniatura e coerentemente a quanto viene proposto durante
l’allenamento, anche il modello di gioco (dal 5c5 al 9c9) si struttura
su spazi e numero di giocatori ridotti, “come un vestito che cresce
insieme a chi lo indossa ” anche la struttura del gioco cambia
coerentemente alle disponibilità psico-fisiche del bambino.
Uno spazio e numero di giocatori
adeguato consente un loro maggior coinvolgimento, un più elevato numero
di contatti col pallone, un maggior dinamismo tra fase di possesso e non
possesso, un maggior numero di conclusioni a rete”.
Nell’ultima parte del brano s’introducono
pure interessanti indicazioni didattico – metodologiche, laddove una
semplificazione (partita a numero ridotto di giocatori) della proposta
realizza una congruo adeguamento agli strumenti cognitivi dei bambini e
nel contempo permette di partecipare attivamente al gioco con maggiore
continuità; anche per i meno abituati alle iniziative personali.
Si arriva frequentemente nelle zone topiche
del campo e questo accresce ulteriormente l’entusiasmo e la motivazione
facilitando di conseguenza l’apprendimento.
Sul binomio motivazione – apprendimento
viene peraltro individuata la grande traccia per ogni forma
d’insegnamento.
Nel pezzo che segue, sempre ricavato dalla
guida tecnica FIGC per le scuole di calcio, si incoraggia un’
impostazione didattica costruita attraverso l’utilizzo di proposte
ludico - situazionali anche per gli obiettivi correlati alla tecnica di
base:
“Le chiavi comportamentali tecniche, disponibili a creare adattamenti
efficaci, non saranno poste come avveniva anni fa’ su un versante
esclusivamente di natura biomeccanico, ma dovranno risultare funzionali,
in una dialettica dove qualità del gesto e applicabilità dello stesso
interagiscono e si integrano.
Questo sta a significare che pur
predisponendo nella didattica momenti nei quali l’allievo dovrà mostrare
attenzione sul come eseguire un fondamentale tecnico, sarà prevalente
nell’insegnamento un’attività spiccatamente situazionale.”
Si rafforza
la tesi secondo la quale, nel suo percorso
di maturazione, la formazione sportiva debba
riscoprire sulle fasce “di entrata” un
insegnamento fondato su mezzi di tipo
globale ed una metodologia che destini ampio
spazio alla sperimentazione ed alla libera
esplorazione, troppo spesso disattese
.
Le capacità senso – percettive, attraverso
situazioni di gioco (non prive, volendo, di
temi specifici e finalizzati ad un obiettivo
particolare ovvero ad una facilitazione
iniziale), incontrano naturali momenti di
forte assimilazione, aumentando
progressivamente la dimestichezza con
l’ambito di gara ed accorciando a mano a
mano i tempi di latenza nella determinazione
corretta delle azioni.
Assolutamente da
condividere una sequenza di riflessioni
estratta da un articolo di V. Prunelli
“Cosa è rimasto dei primi calci”, nel quale
l’autore ricorda i presupposti con cui era
sorta l’attività di base, ai tempi del
Torino di S. Vatta: “ …non dobbiamo pensare
a stimoli e sollecitazioni, ma a condizioni
di libertà, di iniziativa e di creatività da
esercitare dentro poche, ma chiare regole …
Il bambino ha bisogno di imparare a creare
da solo senza qualcuno che gli dia le
soluzioni o gli precluda la possibilità di
sperimentarsi, di sbagliare per imparare a
correggersi…Il bambino ha un suo modo di
capire ed imparare, e strutture biochimiche
e nervose diverse da quelle dell’adulto.
L’adulto dispone della logica e del pensiero
astratto e usa quasi solo la logica verbale,
che è lenta analitica e ripetitiva…(il
bambino) reagisce solo a ciò che è reale,
presente e concreto ed appaga subito …Trova
stimolo nel piacere, nella verifica delle
proprie abilità, nel sentirsi più adeguato e
quindi impara soltanto attraverso il gioco e
l’interesse immediato.”
Il limite di
demarcazione, dal quale potrebbe essere
giustificato l’avvio di una scelta didattica
maggiormente orientata a forme
d’insegnamento analitico – addestrative, si
colloca in prossimità della maturazione
puberale (peraltro del tutto soggettiva e
non certo individuabile attraverso una data
di nascita), laddove l’accrescimento
staturale quasi definitivo e la comparsa
graduale del pensiero logico – deduttivo
consentirebbero all’atleta di apprezzare
l’efficacia indiretta del lavoro con la
palla, anche se privo di elementi di gioco
ed unicamente rivolto al miglioramento
tecnico - coordinativo nel rapporto con
l’attrezzo:
“Una
maggiore “fertilità” nell’apprendimento
delle tecniche sportive si avverte in
coincidenza con lo sviluppo delle capacità
coordinative ma con un leggero ritardo su di
esse.
Questa
fase si può collocare fra gli 8-10 anni per
le femmine e 11- 12 anni per i maschi. Una
successiva spinta di sviluppo, che può
essere definita anche fase di consolidamento
tecnico, si nota intorno ai 14-15 anni dopo
aver superato il periodo critico della
pubertà che provoca modificazioni della
statura, della massa e delle proporzioni
corporee, e dei rapporti forza-peso e
forza-leve che ne derivano.”
(guida
tecnica per le scuole di calcio, FIGC).
(...Con
tutte le perplessità che deve comunque
destare una didattica così poco attenta alle
componenti senso – percettive, diciamo
ambientali, dell’apprendimento.
Come
asserisce un mio amico, quando vai a
prendere la patente di guida non è che ti
facciano girare il volante 10 volte e dopo
schiacciare il pedale dell’acceleratore
altre 10, e così via con tutto il resto; ti
fanno salire in macchina e ti dicono di
guidare.
Magari le
prime volte aiutato dal doppio comando, per
evidenti problemi di sicurezza, ma tuttavia
immerso completamente nel traffico -
l’intensità di questo potrebbe essere
ridotta, quindi facilitata, ma non
presentata a fette - e con tutti i pedali ed
il resto a disposizione, da utilizzare
convenientemente ed in modo funzionale !! )
Nel sostenere un percorso di acquisizione generato
attraverso la contemporanea partecipazione di un
insieme di condizioni, il Prof. R. Capanna, scrive
quanto segue: “ ...questo comportamento motorio
viene invece interpretato come l’espressione di un
certo modo di utilizzare le opportunità ambientali,
da parte di un soggetto, attraverso lo sfruttamento
di una predisposizione genetica, che un tirocinio di
tentativi e correzioni stabilizza su standard sempre
più elevati”
(Difficile, ma non impossibile – R. Capanna).
Il concetto si riferisce, nello specifico, alla
capacità “di fintare”, ma è del tutto estendibile ad
ogni forma di competenza motoria ispirata da
necessità di natura tattico - strategiche.
La “predisposizione genetica” si manifesta anche
tramite l’attitudine al movimento ed al movimento
proprio di una disciplina.
Nei giochi sportivi non è possibile misurarla
oggettivamente, con metri o cronometri, ma solo
giudicarla attraverso l’osservazione e la
valutazione soggettiva.
Siamo certi che l’aver alimentato il desiderio di
provare azioni nuove e sempre variate durante il
periodo dell’avviamento costituisca per il bambino
la miglior prerogativa propedeutica affinché ogni
“potenzialità genetica” possa incontrare le migliori
condizioni per manifestarsi pienamente; laddove, nel
calcio, la funzionalità di un gesto dipende alquanto
dalla “intelligenza artistica” che questo riesce ad
esprimere e non solo dalla biomeccanica dello
stesso.
Gli inevitabili adattamenti a cui il giovane dovrà
ricorrere per compensare il repentino incremento
staturale, spesso ragguardevole, nel periodo della
“proceritas puberale”, rende poco significativa
un’attività di avviamento sportivo organizzata su un
insistito addestramento dedito all’analisi
frammentata e reiterata del gesto tecnico.
Realizzando frequentemente presupposti di
saturazione ed abbandono verso la pratica sportiva
per la monotonia degli allenamenti, ripetitivi e
poco divertenti.
A cui sovente, tipicamente, si accompagna una
impostazione anticipatamente troppo rivolta alla
ricerca della massima prestazione.
I ridotti tempi a disposizione (vedi 2 allenamenti
settimanali di 60 – 70 minuti reali, normalmente
stabiliti per i “pulcini” ed i “piccoli amici”) e le
numerose priorità specifiche (una doverosa
attenzione verso le capacità coordinative senza
palla, assolutamente di aiuto in ogni atteggiamento
specialistico successivo) riducono i margini di
applicazione pratica per tali esercizi.
Si potrebbero inserire, preferibilmente sotto forma
di gara, nei vari momenti di passaggio tra le
diverse proposte della seduta.
Repetita iuvant: Il modello specialistico “dei
grandi” viene trasferito nei contesti dei più
giovani, dimenticando le notevoli differenze che
intercorrono; dove un pensiero fornito di
concretezza e decisamente poco adatto alle
risoluzioni ipotetiche, come quello dei bambini
delle elementari, si avvicina non certo di propria
iniziativa ad ogni forma di esercizio sprovvisto
delle necessarie caratteristiche del gioco e della
competizione.
Un particolare ringraziamento a Stefano, grande
istruttore di calcio … sempre dalla parte dei
bambini !!
Emanuele
Bruzzone, allenatore di base, laureato in Scienze
Motorie. E-mail:
ebruzz@dipteris.unige.it
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