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Metodologia
operativa: il metodo non direttivo nel processo di
apprendimento calcistico |
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Autore:
Raffaele Di Pasquale |
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04
Gennaio 2011 |
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La necessità di perseguire come
obiettivo primario il successo
agonistico, ha portato molti tecnici a
spingere in maniera rilevante nella
preparazione delle squadre, curando
prevalentemente aspetti tecnico tattici
e delle scienze bio-mediche.
Nel calcio questo fenomeno ha assunto
ancor più rilevanza, proprio perché la
conoscenza dei suddetti elementi è stata
ritenuta da sola sufficiente a garantire
prestazioni elevate ad atleti e squadre.
Da qualche tempo, proprio perché è ormai
in atto una fase di maturazione di certe
conoscenze, si nota una maggiore
attenzione verso aree del sapere che
valorizzano, nell'ambito del sistema
formativo, le dimensioni sociale e
pedagogica. Le tecnologie moderne, i
mass-media e soprattutto una maggiore
maturità dei tecnici hanno permesso
scambi culturali una volta impensabili.
Considerando che è sempre più facile
accedere a conoscenze di carattere
tecnicotattico, assume sempre maggior
importanza la consapevolezza dei
fenomeni di natura didattica che
condizionano l'insegnamento, lo sviluppo
e l'utilizzazione delle suddette
abilità.
Il concetto stesso di allenamento assume
una trasformazione radicale; infatti,
dal significato originario ed
etimologico del termine "acquistar
lena", cioè fiato, valore meramente
fisiologico, si arriva a quello attuale
di "processo pedagogico", in cui si
esalta una valenza globale, che è
presupposto di ogni prestazione umana.
L’allenamento sportivo è definito
infatti, un processo pedagogico
complesso che attraverso l’azione, tende
allo sviluppo di un determinato stato di
prestazione sportiva secondo un piano
prestabilito.
Mettendo l’atleta e l’allenamento al
centro dell’attività di un allenatore,
possiamo delimitare 4 aspetti
fondamentali interdipendenti tra loro:
1. PSICOLOGICO: dove risulta importante
la conoscenza del calciatore tramite
l’utilizzo della Psicologia (sociale,
generale, dell’apprendimento) e della
Psicometria dell’età evolutiva
2. SOCIOLOGICO: sapere in che contesto
sociale porre la società sportiva e chi
la compone (sociologia generale,
sociologia dei piccoli gruppi)
3. DIDATTICO: conoscere la metodologia
didattica, saper valutare ed educare
4. DEI CONTENUTI: si deve conoscere la
materia sotto i suoi aspetti tattici,
tecnici, organico-motori
Se per molto tempo si è badato
soprattutto ai contenuti, per quanto
attiene la prassi operativa, si nota
sempre più, attualmente, una maggiore
attenzione alla maniera in cui tali
contenuti vengono proposti, al punto
tale che proprio nei giochi sportivi si
sente l'esigenza di riconsiderare le
metodologie di allenamento in termini di
metodologie di insegnamento. In questa
prospettiva tutti i comportamenti che in
precedenza venivano attribuiti al comune
buon
senso o all'esperienza del tecnico
vengono sostituiti da modelli che
prefigurano sempre quest'ultimo come un
esperto di apprendimento motorio che
opera in un contesto motivante e
socializzante.
La concezione moderna dell’insegnamento
è di tipo sistemica (secondo Titone)
ovvero un insieme di elementi fortemente
integrati e tra loro interdipendenti. (a
differenza di quella tradizionale che
prevedeva un insegnamento unilaterale,
l’allenatore parla l’allievo esegue,
senza preoccuparsi dell’interlocutore né
del contesto in cui si allena, ed
analitico.) Sottolineando il ruolo delle
funzioni pedagogiche che volutamente o
inconsapevolmente l’allenatore svolge,
appaiono già evidenti in netta
divaricazione requisiti di varia natura
che delineano profili professionali
molto diversi, a seconda dei campi di
attività: allenatore di settore
giovanile o di squadra formata da atleti
adulti.
E' bene precisare che le competenze
diverse tra le due categorie di
allenatori non derivano da una
valutazione di conoscenze su basi
quantitative, ma soprattutto da
caratteristiche di personalità che
evidenzino nei primi la predisposizione
alla "formazione", intesa nell'accezione
più ampia, mentre nei secondi una
predisposizione al tipo di
comunicazione, per gli importanti
risvolti che si riflettono nella
gestione del gruppo-squadra, nel
contesto sociale in cui è inserito il
club, nel rapporto con i mass-media ecc.
La riflessione che scaturisce
dall'analisi del profilo professionale
del tecnico ci dice che, l'efficacia
dell'attività dell'allenatore è
determinata dalle caratteristiche della
sua personalità, non si può pretendere
di svolgere con successo questa
attività, se vi è incompatibilità tra le
personalità e l'assolvimento di
determinate funzioni. Questa
considerazione, che appare fin troppo
semplicistica, trova invece notevoli
difficoltà ad essere accettata,
soprattutto per un retaggio
tradizionale, che ha visto l'allenatore,
come il depositario del sapere, di
conseguenza, del potere, in virtù del
quale è possibile l'imposizione, la
punizione, la coercizione e, in
definitiva, l'autoritarismo.
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Profilo professionale
dell'Allenatore nuovo |
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Deve
essere in grado di esprimere le seguenti abilità…….
1. COMPETENZA PEDAGOCICA (educazione della
personalità dell’individuo);
2. COMPETENZA DI RELAZIONE E COMUNICAZIONE;
3. COMPETENZA DI ANALIZZARE I BISOGNI DEL SINGOLO E
DEL GRUPPO;
4. COMPETENZA DI COSTRUIRE, REALIZZARE E VERIFICARE;
5. COMPETENZA DI PROPORSI COME RIFERIMENTO
EDUCATIVO.
….. e deve possedere i seguenti requisiti
1. PERSONALITA’ : più difficile perché difficilmente
modificabile;
2. PROFESSIONALITA’: un allenatore cerca sempre di
migliorare i propri atleti ma difficilmente cerca di
migliorare se stesso. Esiste una tecnica a tal fine
chiamata Micro- Teaching che consiste nel filmarsi
(come accade per gli atleti) e successivamente
verificare quanto il comportamento reale si avvicina
a quello presunto.
REQUISITI DI MATURITA’ INDISPENSABILI ALL’ALLENATORE
NUOVO
• Armonia tra le caratteristiche della personalità;
• Capacità di controllo dell’ansia, come tratto
della personalità e come status contingente;
• Accettazione completa di sé;
• Adattamento all’ambiente;
• Senso di responsabilità;
• Autocontrollo;
• Autonomia intesa come capacità di risolvere i
problemi che si presentano senza trovare alibi;
• Ragionevolezza;
• Empatia – capacità di osservare la realtà con gli
occhi dell’altro;
• Cordiale rapporto con gli altri – clima
collaborativi – riunioni.
Espressioni come "sergente di ferro" hanno in genere
gratificato l'allenatore al quale venivano riferite,
perché significavano capacità di imporre disciplina,
ordine, rispetto. Tutti elementi però che, se
caratterizzano una visione della situazione
didattica per fortuna ormai superata, mostrano un
evidente contrasto con i presupposti
dell'apprendimento, che è invece facilitato dalle
motivazioni, dai bisogni e dagli interessi
dell'allievo.
L'allenatore nuovo deve avere autorità, ma non deve
essere autoritario. L'autorità gli deriva dal
sapere, dal carisma, dall'esperienza, dalla maniera
di proporsi ai suoi allievi, che deve riflettere
soprattutto sicurezza e chiarezza di intenti.
L'autoritarismo, viceversa, è sintomo di debolezza,
di insicurezza, di inconsistenza di contenuti, e la
minaccia è la sua arma più ricorrente.
L'autoritarismo di un allenatore si concretizza in
uno stile comportamentale che prevede, per gli
atleti: l'assegnazione di compiti precisi, ma
indipendenti dalle loro opinioni; ordini riguardanti
norme di vita e modalità di allenamento, che però
escludono l'iniziativa individuale;
ubbidienza, rispetto, fedeltà incondizionata e allo
stesso tempo impossibilità di esprimere opinioni
personali e critiche; la possibilità di subire
punizioni, talvolta gravi, anche senza che siano
motivate. Da questo quadro di riferimento scaturisce
una figura di atleta succube dell'allenatore,
incapace di agire autonomamente, perché abituato ad
obbedire, non interessato a se stesso, perché ad
altri è affidata questa incombenza, sollecitato ad
eseguire ordini e, di conseguenza, a subire
l'allenamento. Come si concilia questo con il
calcio, gioco prettamente di adattamento in cui si è
continuamente chiamati ad operare delle scelte
tattiche e tecniche durante tutta la partita?
E' in definitiva, questa, la definizione di un clima
pedagogicamente del tutto superato, che poneva al
centro della situazione didattica l'allenatore e che
considerava il calciatore il classico “vaso da
riempire" di nozioni via via più numerose.
Nell'insegnamento sportivo questa situazione è in
molti casi ancora vigente e spesso privilegiata per
due motivi fondamentali, che per certi versi
appaiono anacronistici: sono, infatti, atleti e
dirigenti che da prospettive diverse sollecitano
l'allenatore a comportarsi secondo schemi
deprecabili. I dirigenti, non avendo in genere gli
strumenti per valutare l'efficienza di un
allenatore, finiscono sempre per basarsi su criteri
sicuramente più concreti, ma che possono essere
fuorvianti: la classifica e l'ordine formale.
Gli atleti (soprattutto gli adulti), abituati da
sempre ad eseguire ordini, considerano l'allenatore
che li stimola a partecipare più attivamente o ad
esprimere le loro opinioni, un debole o addirittura
un impreparato. Alla collaborazione si preferisce
una comoda dipendenza, che deresponsabilizza
totalmente, ma che fa decadere l'allenatore ad una
prassi ripetitiva, meccanica e quindi scarsamente
efficace.
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Non direttivi |
Autoritario |
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Filosofia:
Leadership:
Decisione:
Comunicazione:
Obiettivi:
Comunicazione nel
gruppo:
Atmosfera:
Motivazione:
Sviluppo atleta:
Strutture di
allenamento: |
Rapporti Simmetrici
Condivisa
Informare, informarsi,
ascoltare e comprendere
Adeguati alle
caratteristiche del
gruppo
Elevata
Cordiale
Sempre presente
Fiducia nell’atleta
Interattiva e flessibile
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Centrato sul potere
Rapporto gerarchico
Decide l’allenatore
Per comandi
Ad ogni costo!
Limitata al grado di
direttività.
Freddezza
A volte
Fiducia scarsa
Analitica ed
inflessibile |
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Un allenamento troppo
preordinato,
prescrittivo e quindi
rigidamente direttivo,
indubbiamente è svolto
in maniera organizzata,
è facilmente
controllabile, rispetta
i tempi e le modalità di
esecuzione degli
esercizi preposti, ma
può non tener conto di
un aspetto determinante
che caratterizza in ogni
momento il calcio: la
funzione percettiva.
Se non si considera
nella giusta dimensione
l'attività percettiva
del giocatore, tutto ciò
che appare ordinato,
preciso e funzionante è
da catalogarsi negli
schemi dell'ordine
formale, che mal si
concilia però con uno
sport come il calcio,
che può essere
imprevedibile e
l'eccezione si confonde
con la regola. Nella
percezione non è
evidente il confine tra
l'indicazione che
proviene dall'esterno
(l'allenatore) e
l'interpretazione della
realtà da parte del
soggetto (l'atleta), ed
è quindi "il primo
anello della catena che
unisce il mondo
materiale al mondo
intellettuale".
La percezione può essere
agevolata dalle
indicazioni
dell'allenatore, che non
può però pretendere di
operare sostituendosi
all'atleta, perché essa
costituisce un fenomeno
psichico attivo, per cui
il giocatore analizza la
situazione e l'afflusso
delle informazioni che
lo riguardano, seleziona
i segnali e opera di
conseguenza.
E' facile dedurre che un
atleta può svolgere un
allenamento
"regolarmente", ma senza
quella che viene
definita "partecipazione
attiva". Pur eseguendo
tutti gli esercizi
proposti, l'individuo è
passivo, vi è
impressione in lui, ma
non espressione. Per
costruire impronte e
abitudini, invece,
occorre l'intero
circuito senso-motorio.
Quando l'individuo è
attivo nell'azione, c'è
una più completa
partecipazione
neuro-fisiologica.
La percezione e l'azione
sono intimamente
correlate, perché è il
percepito che fornisce
all'atleta le direttive
per l'azione. Se
dall'allenamento si
sottrae, anche in parte,
l'attività percettiva,
in seguito ad interventi
troppo prescrittivi
dell'allenatore, si
riduce la potenzialità
allenante di un
esercizio. Più il
soggetto è sollecitato a
percepire, più sarà
capace di percepire, sia
in fase di preparazione,
sia in gara, dove
peraltro l'intervento
dell'allenatore non è
più possibile.
Quello che deve essere
stimolato in un atleta
che si vuole migliorare
è la produzione di
processi interiori di
ricerca, che prefigurino
su basi ideomotorie i
propri comportamenti.
Per predisporsi ad
accettare questa
concezione
dell'allenamento,
bisogna convincersi che
l'atleta, prima ancora
di essere considerato
tale, deve essere
considerato "persona" e
deve "apprendere ad
essere persona",
relegando al secondo
posto l'apprendimento
impersonale di abilità.
L’approccio centrato
sulla persona propone la
crescita e la
maturazione del singolo
e dei gruppi attraverso
una modificazione
costruttiva e profonda
dei rapporti
interpersonali, basata
sulla partecipazione
affettiva (empatia),
sull’abbandono dei ruoli
stereotipati e sulla
responsabilizzazione di
ciascuno.
L'apprendimento umano
s'incentra sul concetto
di personalità, si pone
in dubbio, quindi,
l'efficacia generale
della ripetizione e
dell'esercizio
ripetitivo … "è
solistico più che
atomistico, …dinamico
più che statico,
intenzionalistico più
che meccanicistico" (A.H.
Maslow, Motivazione e
personalità, Armando,
Roma, 1973). Fa notare
ancora Maslow: "…sono
divenuto sempre più
incline a ritenere che
la maniera atomistica di
pensare è una forma di
leggera psicopatia, e
almeno una sindrome di
immaturità cognitiva. La
maniera solistica di
pensare e di vedere le
cose sembra essere
naturale e spontanea
presso le persone più
sane, presso quelle
aperte
all'autorealizzazione,
mentre sembra assai
difficile per le persone
meno evolute, meno
mature e meno sane".
In questa prospettiva
l'allenatore deve
proporsi più come un
facilitatore di
apprendimento che come
un fornitore di nozioni
da apprendere.
La sua attenzione sarà
rivolta sia agli
obiettivi educativi che
a quelli didattici. Per
obbiettivo si intende
quella competenza o
abilità che l’atleta
sarà in grado di
realizzare dopo un
periodo di
apprendimento/insegnamento.
Esistono due grandi
categorie di obiettivi:
- Didattici:
raggiungibili in tempo
definibile (come le
abilità motorie)
- Formativi o educativi:
apprendimento completo
ed efficiente di una
disciplina sportiva (a
lungo termine). Gli
obiettivi di questa
categoria sono:
1. Consolidare il
proprio benessere
psicofisico favorendo
l’accrescimento
corporeo;
2. Conseguire un elevato
sviluppo delle capacità
coordinative;
3. Conseguire un
adeguato sviluppo delle
capacità condizionali
specifiche della
disciplina;
4. Acquisire gli
elementi tecnici
specifici richiesti
della disciplina
sportiva;
5. Incrementare lo
sviluppo delle capacità
cognitive (evitare che
l’atleta esegua solo
degli ordini ma
abituarlo a pensare);
6. Rendere utilizzabili
in futuri comportamenti
le abilità apprese
(quindi allenare solo
quello che si farà in
partita altrimenti
risulta dannoso);
7. Acquisire conoscenze
pratiche e teoriche per
saper valutare la
condizione e lo stato
dell’allenamento (la
forma dei giocatori);
8. Saper prevenire
traumi e patologie
specifiche;
9. Sviluppare la propria
personalità (acquisire
sicurezza, autonomia,
collaborazione etc.).
Il coinvolgimento
consapevole dei
componenti il
gruppo-squadra alla
realizzazione degli
specifici modelli di
prestazione predispone
realisticamente una
concezione "sistemica"
delle seduta di
allenamento.
Per Titone il concetto
sistemico di
insegnamento rappresenta
la negazione più
radicale della teoria,
che vede nell'insegnare
una operazione semplice,
unidirezionale,decontestualizzata
e depersonalizzata. In
questo sistema didattico
si evidenzia come asse
portante la
comunicazione che non va
considerata come mera
trasmissione di
indicazioni, ma come
mezzo per stimolare
interessi, promuovere
autocontrollo e
autocritica, formare
capacità cognitive
generali e specifiche,
modellare atteggiamenti
e promuovere un clima
affettivo all'interno
del gruppo.
Nel metodo
non-direttivo,il
rinforzo,
l’incoraggiamento o la
ricompensa per un
comportamento positivo,
si contrappongono alla
classica punizione, la
quale comporta solo
l’ingegnarsi dell’atleta
nell’evitare la
punizione successiva e
ciò non corrisponde
sempre al miglioramento
del gesto tecnico che ha
causato la punizione
stessa. Il rinforzo è
valido solo se
frequente. Tra gli
aspetti che devono
essere interessati dal
rinforzo ricordiamo:
1. La prestazione non il
risultato;
2. L’impegno piuttosto
che il successo;
3. Le piccole conquiste
piuttosto che la
vittoria finale;
4. Non solo
l’apprendimento ma anche
il comportamento;
5. I giovani.
E poniamo l’attenzione
anche sul quando
rinforzare:
1. Durante e subito dopo
l’esecuzione soprattutto
nei confronti dei
giovani;
2. Spesso anche quando
non lo si merita.
La comunicazione tra
allenatore e giocatore
avviene attraverso
stimoli e valutazione
delle risposte. La
capacità di stimolare e
motivare l’atleta è una
funzione fondamentale
nel lavoro
dell’allenatore:
l’individuo è indotto ad
assumere determinati
comportamenti mosso dal
desiderio di mobilitare
le proprie capacità.
Questo tipo di
motivazione spinge
l’individuo a
fronteggiare le
situazioni perché ha il
desiderio di mettersi
alla prova, sente di
farcela, di essere
competente rispetto a
quel determinato
compito. Quindi cerca
egli stesso (motivazione
intrinseca) degli
stimoli che gli
consentano di mettersi
alla prova, di misurare
le sue competenze e le
sua capacità.
L'adozione di uno stile
non-direttivo nella
gestione del gruppo
squadra pone in netta
evidenza il problema
della metodologia
utilizzata per la sua
formazione, che troppo
spesso antepone gli
aspetti tecnico-tattici
a quelli psicologici.
Anche in questa
occasione è bene
ricordare che la
squadra, ancorché da un
insieme di ruoli
tecnici, risulta
dall'interazione a
diversi livelli di
differenti personalità.
All’allenatore/nuovo
spetta il non facile
compito di “entrare” nel
privato mondo percettivo
dell’altro; di essere
sensibile, attimo per
attimo, ai cambiamenti
di percezione,
sentimenti e significati
che fluiscono
dall’altro; dalla rabbia
alla tenerezza, dalla
confusione all’insight.
In conclusione quando
alleniamo le nostre
squadre ricordiamo
sempre che:
Gli esseri umani sono
dotati di una naturale
tendenza a conoscere, a
capire e ad apprendere
(motivazione cognitiva);
L’apprendimento è
veramente significativo
quando il “contenuto” è
vissuto come rilevante
per la soddisfazione dei
propri bisogni e la
realizzazione delle
proprie finalità
personali;
L’apprendimento che
implica un cambiamento
nella percezione di sé e
nei propri atteggiamenti
è avvertito come una
minaccia e tende a
suscitare resistenze;
Quando le minacce
dall’esterno sono
ridotte al minimo,
l’apprendimento avviene
più facilmente ed
efficacemente;
L’apprendimento
significativo nasce
dall’esperienza e dal
fare;
L’apprendimento
auto-promosso ed
auto-gestito, quello che
coinvolge il sentimento
oltre che l’intelletto,
è il più duraturo e
pervasivo;
L’autovalutazione e
l’autocritica facilitano
molto di più lo sviluppo
dell’autonomia, dell’autofiducia
e della creatività che
non la valutazione
esterna;
L’apprendimento più
utile nel contesto
socio-culturale attuale
è quello che riguarda il
processo stesso
dell’apprendere:
l’essere costantemente
aperti all’esperienza e
integrare il processo
del cambiamento. |
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Raffaele Di Pasquale, Allenatore Professionista
di 1^ Categoria.
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operativa: il metodo non direttivo nel processo di
apprendimento calcistico
Autore:
Raffaele Di Pasquale |
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