Il portiere e la sua psicologia

Data inserimento e aggiornamento nel sito: 23/09/2015 - 16/04/2018

Introduzione

Sin da quando ero bambino, appena terminata la giornata di scuola, il mio desiderio, come quello di quasi tutti i miei amici, era quello di ritrovarsi a giocare a pallone ovunque ci fosse uno spazio a disposizione (per strada, nei giardini, nei campi etc.), per fare una “partitina”.

Partitina che poi sarebbe durata, il più delle volte, fino a sera inoltrata.

A differenza di tutti gli altri amici, però, che si accaparravano subito il pallone per fare scorribande con la sfera ai piedi, io ero quello che, per prima cosa, pensava a “costruire” la porta, con qualunque cosa fosse in quel momento disponibile: due pietre, due giubbotti, due rami d’albero, due scarpe, insomma qualunque oggetto che fosse a portata di mano.

Successivamente, senza neanche discuterne, ero io quello che si piazzava in mezzo, diventando per tutti il PORTIERE.

Mi è sempre piaciuto tuffarmi di qua e di là per abbrancare il pallone e sentirmi importanti per una parata.

 


Autore: Fabrizio LORIERI - Fonte: Settore Tecnico F.I.G.C.

Mi inorgogliva il fatto che tutti mi cercavano, anche se forse lo facevano perché ero l’unico che voleva stare in porta.

Io non sono diventato portiere, come spesso accade, perché ero scarso a giocare negli altri ruoli, il ruolo di estremo difensore non è stata una soluzione di “ripiego”; io ho voluto stare in porta ed ho avuto la fortuna di riuscire a fare quello che ho sempre sognato, sin da bambino: il portiere in una squadra di serie A.

Dopo 23 anni di professionismo come calciatore e le esperienze da tecnico, come collaboratore di un Mister bravo e preparato come Luigi Cagni, non posso esimermi, in questa tesi, dal parlare di questo ruolo così affascinante.

1. Il Portiere di Calcio

La figura del Portiere

La figura del portiere è resa così affascinante perché è quella di un individuo che, essendo l’ultimo baluardo difensivo, evoca l’eroe incurante del pericolo, che mette a repentaglio la propria incolumità ergendosi a difesa della propria squadra.

Il portiere si caratterizza subito rispetto ai suoi compagni come un qualche cosa di diverso, di speciale; innanzi tutto è l’unico giocatore che può toccare la palla con le mani, e questo lo rende completamente diverso dai suoi compagni di squadra.

Proprio il fatto di poter usare le mani dà al portiere quell’unicità che invece non possono avere i suoi compagni; perfino nelle regole del gioco è scritto che ogni squadra deve scendere in campo con un portiere, mentre non si fa nessuna menzione riguardo ai compiti degli altri giocatori.

Da un punto di vista tecnico quindi le differenze tra il portiere ed il resto dei calciatori sono enormi, ma esistono anche sostanziali distinzioni su altri piani riguardanti il mondo del pallone.

Il numero 1, infatti, rispetto ai suoi compagni sviluppa abilità completamente differenti che richiedono allenamenti differenti e, quasi obbligatoriamente, un allenatore specializzato dedicato alla sua prestazione.

Questo suo isolamento, durante la settimana di allenamento, potrebbe far pensare al ruolo del portiere quasi ad una piccola disciplina interna in seno allo sport del calcio, ma la particolarità del ruolo è tale che questa condizione viene meno perché, durante la gara, pur essendo i suoi compiti e i suoi interventi completamente diversi dai compagni di squadra, le tempistiche e le modalità di tali interventi si devono sempre interfacciare con le esigenze di squadra, le situazioni particolari di gioco ed i movimenti di compagni ed avversari.

Il portiere si fa subito notare per il suo abbigliamento, diverso da tutti gli altri giocatori, perfino dagli stessi compagni di squadra, per la posizione che assume in campo, per le responsabilità ed i compiti enormemente differenti dai suoi compagni di squadra.

I suoi interventi devono essere eseguiti in tempi brevissimi, con una rapidità decisionale immediata e compiuti con la massima sicurezza.

Il portiere, per riuscire ad essere un protagonista positivo, oltre a possedere una necessaria base tecnica ed una attitudine fisica al ruolo, deve avere doti di rapidità analizzative e decisionali fuori dal comune deve quindi, per riuscire in questo intento, avere delle enormi capacità …….. MENTALI.

L'evoluzione del ruolo

Fino a qualche anno fa, l’identikit caratteriale del portiere era tracciato – a parte qualche eccezione, come ad esempio Dino Zoff - come quello di un componente della squadra un po’ particolare, estroso, mezzo matto, portato a fare cose non razionali, istintive.

Da un punto di vista tecnico, poi, al portiere venivano chieste cose ben precise e limitate, il suo campo d’azione non varcava mai la porta, l’aria piccola e l’area di rigore.

Negli ultimi anni, però, a causa delle modifiche nelle tattiche di gioco e, dal 1992 in poi, a causa di numerosi cambiamenti regolamentari, che hanno limitato l’uso delle mani in alcune situazioni, il “lavoro” del portiere ha subito numerosi cambiamenti.

Se da un lato, ancora, il compito principale dell’estremo difensore è quello di parare ed impedire alla squadra avversaria di segnare un gol, dall’altro questi ha dovuto acquisire tutta una serie di competenze che lo hanno fatto diventare maggiormente “polivalente” e hanno “spogliato” il suo status di figura completamente staccata dal resto della squadra. 6 Per questo motivo il portiere moderno non può più permettersi di apparire come un personaggio istrionico che cura solamente il proprio orticello, ossia la porta.

Il numero 1 contemporaneo deve essere freddo, attento, concentrato in ogni situazione, pronto ad essere chiamato in causa anche dai propri compagni, a giocare con i piedi, ad uscire sia nei sedici metri che all’esterno dell’area di rigore, pronto a far ripartire l’azione per creare situazioni di contropiede, sempre concentrato a livello tattico, pronto a chiamare i movimenti collettivi della difesa, come ad esempio nell’applicazione della tattica del fuorigioco.

 

Con il termine freddo intendo dire che il portiere deve essere pronto a trattare molte informazioni contemporaneamente e a organizzare gerarchicamente gli stimoli ugualmente importanti in sequenze di tempo molto ravvicinate, dando un preciso significato a ognuno di essi, senza mai lasciarsi prendere dal panico.

Le sollecitazioni improvvise a cui può andare incontro richiedono quindi una sua partecipazione “mentale” totale per tutti novanta minuti (più recupero), sia per quanto riguarda il livello tecnico, per poter effettuare al meglio i propri interventi, sia per quanto riguarda quello tattico, onde affrontare le varie situazioni nella maniera migliore per la squadra.

Il portiere deve essere quindi un atleta intelligente, un ragionatore che interpreta il suo ruolo in modo lucido e con la minima improvvisazione.

Per effettuare una analisi delle prestazione del portiere è quindi importante, se non basilare, cercare di capire le sensazioni che vive durante la gara, sensazioni che sono spesso non riproducibili secondo schemi di comportamento reimpostati; proprio per questa ragione il portiere cerca il confronto soprattutto con chi ha avuto un “vissuto” comune al suo, il più delle volte il preparatore dei portieri.

2. La psicologia del portiere

Per un portiere di calcio la capacità di concentrazione è sicuramente la dote primaria, in virtù del fatto che, durante la gara, ci sono momenti di inoperosità che portano inevitabili cali di attenzione e a momenti di riflessione, dovuti sia a pensieri di origine interiore – come ad esempio il “rivivere” un intervento o un errore appena compiuto- sia dovuti ad influenze esterne come il pubblico, la panchina etc.

La capacità di mantenere un livello di concentrazione sempre elevato risulta quindi essere un elemento fondamentale in sede di valutazione di un portiere, spesso, a mio parere è la discriminante che marca la linea di confine fra un portiere “normale” ed un ottimo interprete del ruolo.

La storia del nostro calcio è sicuramente piena di portieri, tecnicamente ed atleticamente preparati al meglio che non sono riusciti ad esprimersi ai livelli più alti proprio perché presentavano gravi mancanze della gestione della concentrazione, mentre altri, magari meno dotati sotto il profilo fisico e tecnico sono riusciti ad esprimere al meglio le proprie potenzialità grazie a queste caratteristiche mentali.

Proprio l’attenzione è, infatti, il punto centrale di molte situazioni di gioco che interessano il portiere.

L’attenzione è il processo che dirige la nostra coscienza, rendendo disponibile le informazioni esterne ai nostri sensi.

Negli ultimi anni, in ambito neuroscientifico, alcune tesi assegnano all’attenzione funzioni di integrazione e selezione, o più specificatamente di facilitazione e rinforzo nella selezione, fornendo un “controllo” dell’attività cognitiva, incluse le risposte motorie.

In ambito di scienza cognitiva si parla di “filtro” o “distribuzione”, nella capacità cognitiva stessa.

Comunque la si intenda dal punto di vista scientifico, l’attenzione rappresenta una risorsa fondamentale per il portiere, in quanto facilita la lettura delle situazioni di gioco e fornisce gli strumenti più idonei per effettuare le risposte motorie adeguate.

In particolare, per la gestione dei processi attentivi il portiere deve imparare a:

a) selezionare gli stimoli a cui rivolgere l’attenzione, trascurandone altri non rilevanti;

b) spostare l’attenzione al momento opportuno verso informazioni appropriate;

c) mantenere l’attenzione sugli stimoli importanti.

 

Ricollegandomi a quello che avevo detto in precedenza, con i cambiamenti regolamentari che hanno reso molto più impegnativo il ruolo del portiere in termini di “ cose da fare” e che hanno aumentato in maniera sostanziale la possibilità di commettere errori e di subire reti, proprio la mancanza di una elevata capacità di concentrazione, unita ad una quasi sempre sbagliata, se non assente, gestione degli eventuali errori e delle pressioni interne ed esterne alla squadra, la ragione per la quale il portiere sta sempre più diventando un ruolo in cui l’esperienza assume un importanza fondamentale nel livello delle prestazioni.

Da alcuni anni, infatti, assistiamo alla quasi totale mancanza di giovani portieri nella nostra serie A, mentre le squadre si affidano sempre più a elementi di spiccata esperienza, come ad esmpio Peruzzi, Balli, Fontana, Pagliuca, Ballotta etc.

Il mancato ricambio generazionale ha quindi fornito lo spazio a numerosi portieri stranieri, che hanno dato vita ad una vera e propria invasione del tutto impensabile fino a qualche stagione fa.

Il portiere deve apparire freddo, apparentemente distaccato dalle pressioni; dimostrare tranquillità cercando di gestire le emozioni.

Non si deve mai, assolutamente, mostrare fragile, quando è messo in discussione dopo un errore, ma anzi deve far sembrare (anche quando non è cosí) di essersi messo alle spalle l’errore commesso.

Il portiere ormai non deve piú essere come quello descritto da Enrico Saba nella poesia “Goal”, non deve cioè, dopo un gol subito essere il calciatore che “contro la terra cela la faccia e scopre gli occhi pieni di lacrime al compagno che lo induce a rialzarsi”.

Sembra un paradosso ma il portiere, nel calcio contemporaneo, non deve mai pensare ad un gol immediatamente subito, anche, e soprattutto, nel caso in cui sia frutto di un suo chiaro errore.

Anche se egli deve essere sempre consapevole del livello della prestazione offerta, non deve mai farsi eccessivamente carico degli errori e dimostrarsi sempre forte e tranquillo.

Se, soprattutto, ha commesso un errore decisivo ai fini del risultato, la capacità di proiettare la mente sempre in avanti, senza guardarsi troppo alle spalle, e di mostrarsi sempre sicuro e consapevole dei propri mezzi diventa una abilità decisiva, sia nel rapporto interno alla squadra con compagni ed allenatore, che in quello con la società e con i media.

L’obiettivo del portiere è quello di “sentire” la maggiore fiducia possibile intorno a sé, senza farsi minimamente condizionare in vista delle partite future.

I compagni e i tecnici devono vedere nel proprio portiere un calciatore che può si effettuare degli errori, ma che è pronto ad affrontare la partita successiva con la stessa naturalezza e sicurezza nei propri mezzi.

Non sono d’accordo con chi invece spinge i portieri ad ammettere “pubblicamente” i propri errori di gioco, perché questo, secondo me, non porta nessun vantaggio all’estremo difensore.

Nel caso che l’errore sia lampante, infatti il gesto tecnico è giá stato ampiamente visto e valutato da tutti, compresi i compagni, se non è così, se si tratta di una situazione poco valutabile o addirittura di un’azione di gioco in cui solo il portiere stesso si è reso conto che poteva fare di più, invece, il numero 1 non trae nessun beneficio nel “farsi avanti” e dichiararsi colpevole in seno alla squadra.

Questo “peso” sullo stomaco è una condanna che il portiere si deve togliere da solo, sfogandosi magari in famiglia o con gli amici più cari, fino alla partita successiva.

Il campo deve rimanere quasi un regno inviolabile, assolutamente impermeabile ai “cattivi pensieri” che possano minare l’autostima nei propri mezzi tecnici.

Questo non significa affrontare gli impegni agonistici senza la giusta tensione che, invece, a mio avviso, se incanalata bene non può che portare benefici alla prestazione del portiere.

Sarebbe necessario non trasformare questa tensione agonistica in una eccessiva carica ansiogena, anche se non è certamente facile.

Effettuare interventi ai primi minuti, anche facili come rinvii passaggi con i compagni o uscite in tranquillità, spesso allontana definitivamente l’ansia dalla mente del portiere, quindi sarebbe indicato che i portieri si prendessero sempre maggiori responsabilità, sia nei rilanci che 10 nella costruzione del gioco, per mantenere questo livello di tranquillità concentrata per il maggior numero di minuti possibile.

A tal proposito ho trovato molto interessante un sondaggio dal Settore Tecnico, curato dal Prof. Vittorio Tubi in collaborazione con la dott.sa Isabella Croce e la dott.sa Francesca De Stefani, e presentato in un incontro di aggiornamento per allenatori dei portieri di squadre professioniste organizzato nel 2006 presso il Centro Tecnico di Coverciano.

Intervistando 30 portieri professionisti, nelle categorie dalla serie A alla serie C2, gli psicologi hanno focalizzato la loro attenzione su alcuni aspetti , legati alla figura del portiere, facendo emergere quanto siano importanti gli aspetti psicologici per chi interpreta questo ruolo.

Nel sondaggio è emerso che per la stragrande maggioranza degli intervistati, il mantenere la concentrazione per tutta la durata della gara rappresenta la maggiore difficoltà, proprio perché la mancanza di sollecitazioni continue per tutti i novanta minuti fa cadere il portiere in uno stato di isolamento psicologico.

Questo isolamento può essere percepito ricevendo stimoli di diverso tipo; può capitare per la mancanza di impegno prolungato, quando ad esempio la propria squadra gioca in attacco per diversi minuti consecutivamente; può capitare a causa di cali di attenzione dovuti ad un risultato ormai chiuso, come una larga vittoria; oppure per stimoli atmosferici, come ad esempio quando fa molto freddo e l’inattività per alcuni minuti può comportare anche un intorpidimento delle capacità cognitive.

In queste sopraccitate situazioni di isolamento psicologico, il portiere è spesso portato a pensare a cose che non hanno niente a che vedere con la partita che sta giocando. Può pensare alla moglie, alla fidanzata, agli amici, o “perdersi” nelle coreografie e nei cori dei tifosi.

Per ritornare immediatamente ad essere presente sul campo, il portiere deve ricorrere a particolari accorgimenti, quali ad esempio urlare e dare indicazioni ai compagni, anche se non necessarie in quel momento, saltellare ed effettuare alcuni esercizi di allungamento; ritornare cioè in uno stato attivo; e per questo ritengo fondamentale l’intraprendenza e la “voglia di partecipare” in un portiere.


[ continua ]  


Autore: Fabrizio LORIERI - Fonte: Settore Tecnico F.I.G.C.


 

 

   

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