Mi inorgogliva il fatto che tutti mi
cercavano, anche se forse lo facevano perché
ero l’unico che voleva stare in porta.
Io non sono diventato portiere, come spesso accade, perché ero scarso
a giocare negli altri ruoli, il ruolo di estremo difensore non è stata una
soluzione di “ripiego”; io ho voluto stare in porta ed ho avuto la fortuna di
riuscire a fare quello che ho sempre sognato, sin da bambino: il portiere in
una squadra di serie A.
Dopo 23 anni di professionismo come calciatore e le
esperienze da tecnico, come collaboratore di un Mister bravo e preparato
come Luigi Cagni, non posso esimermi, in questa tesi, dal parlare di questo
ruolo così affascinante.
1. Il Portiere di
Calcio
La figura del Portiere
La figura del portiere è resa così affascinante perché è quella di un
individuo che, essendo l’ultimo baluardo difensivo, evoca l’eroe incurante del
pericolo, che mette a repentaglio la propria incolumità ergendosi a difesa
della propria squadra.
Il portiere si caratterizza subito rispetto ai suoi compagni come un
qualche cosa di diverso, di speciale; innanzi tutto è l’unico giocatore che può
toccare la palla con le mani, e questo lo rende completamente diverso dai
suoi compagni di squadra.
Proprio il fatto di poter usare le mani dà al
portiere quell’unicità che invece non possono avere i suoi compagni; perfino
nelle regole del gioco è scritto che ogni squadra deve scendere in campo con
un portiere, mentre non si fa nessuna menzione riguardo ai compiti degli
altri giocatori.
Da un punto di vista tecnico quindi le differenze tra il portiere ed il
resto dei calciatori sono enormi, ma esistono anche sostanziali distinzioni su
altri piani riguardanti il mondo del pallone.
Il numero 1, infatti, rispetto ai suoi compagni sviluppa abilità
completamente differenti che richiedono allenamenti differenti e, quasi
obbligatoriamente, un allenatore specializzato dedicato alla sua prestazione.
Questo suo isolamento, durante la settimana di allenamento, potrebbe
far pensare al ruolo del portiere quasi ad una piccola disciplina interna in
seno allo sport del calcio, ma la particolarità del ruolo è tale che questa
condizione viene meno perché, durante la gara, pur essendo i suoi compiti e
i suoi interventi completamente diversi dai compagni di squadra, le
tempistiche e le modalità di tali interventi si devono sempre interfacciare con le esigenze di squadra, le situazioni particolari di gioco ed i movimenti di
compagni ed avversari.
Il portiere si fa subito notare per il suo abbigliamento, diverso da tutti
gli altri giocatori, perfino dagli stessi compagni di squadra, per la posizione
che assume in campo, per le responsabilità ed i compiti enormemente
differenti dai suoi compagni di squadra.
I suoi interventi devono essere eseguiti in tempi brevissimi, con una
rapidità decisionale immediata e compiuti con la massima sicurezza.
Il
portiere, per riuscire ad essere un protagonista positivo, oltre a possedere
una necessaria base tecnica ed una attitudine fisica al ruolo, deve avere doti
di rapidità analizzative e decisionali fuori dal comune deve quindi, per
riuscire in questo intento, avere delle enormi capacità …….. MENTALI.
L'evoluzione del
ruolo
Fino a qualche anno fa, l’identikit caratteriale del portiere era tracciato
– a parte qualche eccezione, come ad esempio Dino Zoff - come quello di un
componente della squadra un po’ particolare, estroso, mezzo matto, portato
a fare cose non razionali, istintive.
Da un punto di vista tecnico, poi, al portiere venivano chieste cose ben
precise e limitate, il suo campo d’azione non varcava mai la porta, l’aria
piccola e l’area di rigore.
Negli ultimi anni, però, a causa delle modifiche nelle tattiche di gioco e,
dal 1992 in poi, a causa di numerosi cambiamenti regolamentari, che hanno
limitato l’uso delle mani in alcune situazioni, il “lavoro” del portiere ha subito
numerosi cambiamenti.
Se da un lato, ancora, il compito principale
dell’estremo difensore è quello di parare ed impedire alla squadra avversaria
di segnare un gol, dall’altro questi ha dovuto acquisire tutta una serie di
competenze che lo hanno fatto diventare maggiormente “polivalente” e hanno
“spogliato” il suo status di figura completamente staccata dal resto della
squadra.
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Per questo motivo il portiere moderno non può più permettersi di
apparire come un personaggio istrionico che cura solamente il proprio
orticello, ossia la porta.
Il numero 1 contemporaneo deve essere freddo, attento, concentrato in
ogni situazione, pronto ad essere chiamato in causa anche dai propri
compagni, a giocare con i piedi, ad uscire sia nei sedici metri che all’esterno
dell’area di rigore, pronto a far ripartire l’azione per creare situazioni di
contropiede, sempre concentrato a livello tattico, pronto a chiamare i
movimenti collettivi della difesa, come ad esempio nell’applicazione della
tattica del fuorigioco.
Con il termine freddo intendo dire che il portiere deve essere pronto a
trattare molte informazioni contemporaneamente e a organizzare
gerarchicamente gli stimoli ugualmente importanti in sequenze di tempo
molto ravvicinate, dando un preciso significato a ognuno di essi, senza mai
lasciarsi prendere dal panico.
Le sollecitazioni improvvise a cui può andare incontro richiedono
quindi una sua partecipazione “mentale” totale per tutti novanta minuti (più
recupero), sia per quanto riguarda il livello tecnico, per poter effettuare al
meglio i propri interventi, sia per quanto riguarda quello tattico, onde
affrontare le varie situazioni nella maniera migliore per la squadra.
Il portiere deve essere quindi un atleta intelligente, un ragionatore che
interpreta il suo ruolo in modo lucido e con la minima improvvisazione.
Per effettuare una analisi delle prestazione del portiere è quindi
importante, se non basilare, cercare di capire le sensazioni che vive durante
la gara, sensazioni che sono spesso non riproducibili secondo schemi di
comportamento reimpostati; proprio per questa ragione il portiere cerca il
confronto soprattutto con chi ha avuto un “vissuto” comune al suo, il più
delle volte il preparatore dei portieri.
2. La psicologia del portiere
Per un portiere di calcio la capacità di concentrazione è sicuramente
la dote primaria, in virtù del fatto che, durante la gara, ci sono momenti di
inoperosità che portano inevitabili cali di attenzione e a momenti di
riflessione, dovuti sia a pensieri di origine interiore – come ad esempio il
“rivivere” un intervento o un errore appena compiuto- sia dovuti ad influenze
esterne come il pubblico, la panchina etc.
La capacità di mantenere un livello di concentrazione sempre elevato
risulta quindi essere un elemento fondamentale in sede di valutazione di un
portiere, spesso, a mio parere è la discriminante che marca la linea di
confine fra un portiere “normale” ed un ottimo interprete del ruolo.
La storia
del nostro calcio è sicuramente piena di portieri, tecnicamente ed
atleticamente preparati al meglio che non sono riusciti ad esprimersi ai livelli
più alti proprio perché presentavano gravi mancanze della gestione della
concentrazione, mentre altri, magari meno dotati sotto il profilo fisico e
tecnico sono riusciti ad esprimere al meglio le proprie potenzialità grazie a
queste caratteristiche mentali.
Proprio l’attenzione è, infatti, il punto centrale di molte situazioni di
gioco che interessano il portiere.
L’attenzione è il processo che dirige la
nostra coscienza, rendendo disponibile le informazioni esterne ai nostri
sensi.
Negli ultimi anni, in ambito neuroscientifico, alcune tesi assegnano
all’attenzione funzioni di integrazione e selezione, o più specificatamente di
facilitazione e rinforzo nella selezione, fornendo un “controllo” dell’attività
cognitiva, incluse le risposte motorie.
In ambito di scienza cognitiva si parla
di “filtro” o “distribuzione”, nella capacità cognitiva stessa.
Comunque la si intenda dal punto di vista scientifico, l’attenzione
rappresenta una risorsa fondamentale per il portiere, in quanto facilita la
lettura delle situazioni di gioco e fornisce gli strumenti più idonei per
effettuare le risposte motorie adeguate.
In particolare, per la gestione dei processi attentivi il portiere deve
imparare a:
a) selezionare gli stimoli a cui rivolgere l’attenzione,
trascurandone altri non rilevanti;
b) spostare l’attenzione al momento opportuno verso informazioni
appropriate;
c) mantenere l’attenzione sugli stimoli importanti.
Ricollegandomi a quello che avevo detto in precedenza, con i
cambiamenti regolamentari che hanno reso molto più impegnativo il ruolo
del portiere in termini di “ cose da fare” e che hanno aumentato in maniera
sostanziale la possibilità di commettere errori e di subire reti, proprio la
mancanza di una elevata capacità di concentrazione, unita ad una quasi
sempre sbagliata, se non assente, gestione degli eventuali errori e delle
pressioni interne ed esterne alla squadra, la ragione per la quale il portiere
sta sempre più diventando un ruolo in cui l’esperienza assume un
importanza fondamentale nel livello delle prestazioni.
Da alcuni anni, infatti,
assistiamo alla quasi totale mancanza di giovani portieri nella nostra serie A,
mentre le squadre si affidano sempre più a elementi di spiccata esperienza,
come ad esmpio Peruzzi, Balli, Fontana, Pagliuca, Ballotta etc.
Il mancato
ricambio generazionale ha quindi fornito lo spazio a numerosi portieri
stranieri, che hanno dato vita ad una vera e propria invasione del tutto
impensabile fino a qualche stagione fa.
Il portiere deve apparire freddo, apparentemente distaccato dalle
pressioni; dimostrare tranquillità cercando di gestire le emozioni.
Non si deve
mai, assolutamente, mostrare fragile, quando è messo in discussione dopo
un errore, ma anzi deve far sembrare (anche quando non è cosí) di essersi
messo alle spalle l’errore commesso.
Il portiere ormai non deve piú essere come quello descritto da Enrico
Saba nella poesia “Goal”, non deve cioè, dopo un gol subito essere il
calciatore che “contro la terra cela la faccia e scopre gli occhi pieni di lacrime
al compagno che lo induce a rialzarsi”.
Sembra un paradosso ma il portiere, nel calcio contemporaneo, non
deve mai pensare ad un gol immediatamente subito, anche, e soprattutto,
nel caso in cui sia frutto di un suo chiaro errore.
Anche se egli deve essere
sempre consapevole del livello della prestazione offerta, non deve mai farsi
eccessivamente carico degli errori e dimostrarsi sempre forte e tranquillo.
Se, soprattutto, ha commesso un errore decisivo ai fini del risultato, la
capacità di proiettare la mente sempre in avanti, senza guardarsi troppo alle
spalle, e di mostrarsi sempre sicuro e consapevole dei propri mezzi diventa
una abilità decisiva, sia nel rapporto interno alla squadra con compagni ed
allenatore, che in quello con la società e con i media.
L’obiettivo del portiere
è quello di “sentire” la maggiore fiducia possibile intorno a sé, senza farsi
minimamente condizionare in vista delle partite future.
I compagni e i tecnici devono vedere nel proprio portiere un calciatore
che può si effettuare degli errori, ma che è pronto ad affrontare la partita
successiva con la stessa naturalezza e sicurezza nei propri mezzi.
Non sono d’accordo con chi invece spinge i portieri ad ammettere
“pubblicamente” i propri errori di gioco, perché questo, secondo me, non
porta nessun vantaggio all’estremo difensore.
Nel caso che l’errore sia
lampante, infatti il gesto tecnico è giá stato ampiamente visto e valutato da
tutti, compresi i compagni, se non è così, se si tratta di una situazione poco
valutabile o addirittura di un’azione di gioco in cui solo il portiere stesso si è
reso conto che poteva fare di più, invece, il numero 1 non trae nessun
beneficio nel “farsi avanti” e dichiararsi colpevole in seno alla squadra.
Questo “peso” sullo stomaco è una condanna che il portiere si deve togliere
da solo, sfogandosi magari in famiglia o con gli amici più cari, fino alla
partita successiva.
Il campo deve rimanere quasi un regno inviolabile,
assolutamente impermeabile ai “cattivi pensieri” che possano minare
l’autostima nei propri mezzi tecnici.
Questo non significa affrontare gli impegni agonistici senza la giusta
tensione che, invece, a mio avviso, se incanalata bene non può che portare
benefici alla prestazione del portiere.
Sarebbe necessario non trasformare
questa tensione agonistica in una eccessiva carica ansiogena, anche se non
è certamente facile.
Effettuare interventi ai primi minuti, anche facili come
rinvii passaggi con i compagni o uscite in tranquillità, spesso allontana
definitivamente l’ansia dalla mente del portiere, quindi sarebbe indicato che i
portieri si prendessero sempre maggiori responsabilità, sia nei rilanci che
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nella costruzione del gioco, per mantenere questo livello di tranquillità
concentrata per il maggior numero di minuti possibile.
A tal proposito ho trovato molto interessante un sondaggio dal Settore
Tecnico, curato dal Prof. Vittorio Tubi in collaborazione con la dott.sa
Isabella Croce e la dott.sa Francesca De Stefani, e presentato in un
incontro di aggiornamento per allenatori dei portieri di squadre
professioniste organizzato nel 2006 presso il Centro Tecnico di Coverciano.
Intervistando 30 portieri professionisti, nelle categorie dalla serie A alla serie
C2, gli psicologi hanno focalizzato la loro attenzione su alcuni aspetti , legati
alla figura del portiere, facendo emergere quanto siano importanti gli aspetti
psicologici per chi interpreta questo ruolo.
Nel sondaggio è emerso che per la stragrande maggioranza degli
intervistati, il mantenere la concentrazione per tutta la durata della gara
rappresenta la maggiore difficoltà, proprio perché la mancanza di
sollecitazioni continue per tutti i novanta minuti fa cadere il portiere in uno
stato di isolamento psicologico.
Questo isolamento può essere percepito
ricevendo stimoli di diverso tipo; può capitare per la mancanza di impegno
prolungato, quando ad esempio la propria squadra gioca in attacco per
diversi minuti consecutivamente; può capitare a causa di cali di attenzione
dovuti ad un risultato ormai chiuso, come una larga vittoria; oppure per
stimoli atmosferici, come ad esempio quando fa molto freddo e l’inattività per
alcuni minuti può comportare anche un intorpidimento delle capacità
cognitive.
In queste sopraccitate situazioni di isolamento psicologico, il portiere è
spesso portato a pensare a cose che non hanno niente a che vedere con la
partita che sta giocando. Può pensare alla moglie, alla fidanzata, agli amici, o
“perdersi” nelle coreografie e nei cori dei tifosi.
Per ritornare immediatamente
ad essere presente sul campo, il portiere deve ricorrere a particolari
accorgimenti, quali ad esempio urlare e dare indicazioni ai compagni, anche
se non necessarie in quel momento, saltellare ed effettuare alcuni esercizi di
allungamento; ritornare cioè in uno stato attivo; e per questo ritengo
fondamentale l’intraprendenza e la “voglia di partecipare” in un portiere. |