Oltre che un pallone.
Il futuro sarà la palazzina in costruzione all'interno della Ciutat
Esportiva, pochi chilometri fuori Barcellona.
Il presente è questa casa con vista stadio, nel
senso di Camp Nou, e cartellone dello sponsor che sovrasta l'ingresso con le facce dei
campioni di tutto: "Siamo attaccanti che difendono, siamo difensori che attaccano".
Appunto.
"Ospitiamo 60 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni", riassume Carles Folguera, 41 anni e da 8
direttore della Masia.
Dove le giornate sono scandite da orari che differiscono a seconda dell'età, ma il ritmo di
base suona così: "Sveglia alle sette, colazione, e alle otto tutti a scuola, fino all'una e
mezza. Pranzo, riposo, compiti e studio. A seguire, allenamenti. Poi cena e un paio d'ore di
svago.
Alle undici, luci spente". Folguera, laurea in pedagogia e un passato da portiere del
Barça versione hockey su pista, spiega: "Il club intravede il talento di questi ragazzi, a noi
tocca prenderci cura dell'aspetto psicologico e sociale: siamo la loro famiglia".
Insieme a lui, Ruben e Ricard, professori che seguono gli aspiranti campioni nello studio;
poi un medico e l'educatore che organizza le attività nei pochi giorni liberi.
E ancora: due
cuochi, sette persone di servizio e l'addetto alla vigilanza che garantiscono pasti, pulizie e
sicurezza della casa.
A fare da mamma, Josefina Brazales, 47 anni, responsabile del
personale. Perché tra i problemi c'è "la distanza dalle famiglie.
E il fatto che nelle squadre
in cui giocavano erano al centro delle attenzioni, mentre qui sono alla pari degli altri.
Emergono le insicurezze". Risolverle, superarle: i primi passi per inseguire il sogno.
Quello di Leo Messi, per esempio, il miglior giocatore del mondo, Pallone d'Oro e Fifa
World Player 2009, il top di una squadra che ha vinto sei trofei in una stagione. Importato
a undici anni dall'Argentina con la crescita compromessa da un deficit ormonale che la
famiglia non poteva di permettersi di curare. "Era timido e riservato, ma si faceva volere
bene da tutti", ricorda Folguera.
"A scuola non andava bene, ma fino ai 16 anni ha
studiato". Sul campo era già un fenomeno e le cure pagate dal club fecero il resto,
regalando al calcio una stella. Poi Iniesta, che è iscritto alla facoltà di Psicologia e intanto
fa girare la squadra con Xavi, anche lui passato da qui, certo.
E Bojan che viene a studiare
inglese.
Ma ci sono anche le espulsioni, "per mancato rispetto delle regole". Già, le regole. "Fino ai
18 anni sono vietati piercing, tatuaggi e capelli colorati". Altro che Balotelli. "Devono
imparare l'uguaglianza e il rispetto, per distinguersi contano solo le capacità sportive".
Alcool bandito, niente telefonini a tavola.
E il sesso è argomento da affrontare con l'aiuto
psicologico, se serve. "L'obiettivo è accompagnare questi ragazzi verso l'esordio nel Barça,
ma sappiamo che pochissimi ce la possono fare: dobbiamo educarli comunque alla vita".
Secondo i valori blaugrana: buone maniere e lealtà. "Insegniamo loro che si può diventare
campioni rimanendo umili". Poi ci sono quelli che non ce la fanno. "Un ragazzo
senegalese fino ai sedici anni era il più bravo, giocava da attaccante ed era il miglior amico
di Bojan.
Ma non migliorava più e finì in panchina". Bojan titolare, lui a casa: finita la
rincorsa al sogno. "La sera in cui gli fu detto piangemmo tutti, il ragazzo tornò dalla sua
famiglia ad Almeria, oggi gioca in un campionato minore".
Succede a tanti, ogni anno.
Scarti della fabbrica dei campioni. "La prima squadra oggi è composta al 50% da calciatori
cresciuti nella cantera, il 35% vengono da Spagna ed Europa, il 15% è costituito da top
player".
Albert Capellas, coordinatore tecnico del futbol base, ritorna ai numeri.
Alla
programmazione.
"Vogliamo portare al 60% quelli dal vivaio, riducendo il numero di
giocatori acquistati da altre squadre".
E, sulla selezione dei più piccoli. "Privilegiamo
quelli di Barcellona che possono vivere e crescere con le famiglie. Poi i catalani e solo
dopo la ricerca si estende alla Spagna, al mondo".
Il resto è organizzazione, centralizzata. "Gli allenatori delle giovanili sono tenuti a seguire
il programma che gli forniamo noi", dice Capellas. Noi sta per una specie di comitato
centrale del calcio in provetta: direttore generale (Txiki Beguiristain), allenatore della
prima squadra (Pep Guardiola) e direttore della cantera (José Alexanco), non a caso excompagni
del dream team che vinse quattro campionati consecutivi e la prima Coppa dei
Campioni tra il '90 e il '93, con Johan Cruyff in panchina. "Tutte le nostre squadre giocano
con il 4-3-3, ma quel che conta di più è lo stile".
Ovvero? "I ragazzi devono imparare a
prendersi la responsabilità tecnica e caratteriale di toccare la palla e costruire il gioco,
interpretando il calcio in modo creativo e offensivo".
Chi ce la fa, dopo la trafila passa al Barça Athletic.
La seconda squadra che gioca nel Mini Estadi, dove i commenti dei tifosi rimbalzano giù dalle vecchie gradinate fin dentro il
prato con lo stemma del Barça tatuato a colori sull'erba. Niente nomi sulle schiene dei
giocatori - numeri da 1 a 11 - che in partita mettono in pratica i comandamenti: rispetto del
compagno, delle distanze e dell'avversario. Si gioca a uno, due tocchi. Triangoli, tagli e
accelerazioni, buona tecnica.
E sempre all'attacco.
Sullo sfondo, la sagoma del Camp Nou.
Sogno e punto d'arrivo.
Il Barça, campione di tutto.