Nell’ambito della preparazione atletica e
del fitness lo stretching rappresenta, di
solito, una parte immancabile.
Questo perché, tra le altre cose, si è
sempre avuta la convinzione che lo
stretching prevenga gli infortuni. Ma è
proprio così? Vediamo la ricerca scientifica
cosa ci dice tenendo in adeguata
considerazione gli studi “a favore e non”
rispetto ad un eventuale effetto preventivo.
Hartig e Henderson nel ’99 hanno pubblicato
uno studio in cui hanno fatto eseguire dello
stretching per 13 settimane ad un gruppo di
militari.
Risultato? Si è ottenuto un effetto
preventivo da infortuni. Cross e Worrel in
uno studio, anche questo, pubblicato nel ’99
hanno fatto eseguire dello stretching a 195
calciatori ai muscoli ischio‐crurali
registrando anche in questo caso una
diminuzione degli infortuni.
Stessa conclusione dello studio di Cross e
Worrel quello di Ekstrand e coll. del 2000.
Quest’ultimo dopo aver seguito 12 squadre di
calcio con dello stretching combinato con
uno specifico riscaldamento ha ottenuto una
diminuzione degli infortuni. Amako, Oda, e
coll. in uno studio pubblicato nel ’03 hanno
fatto eseguire 18 esercizi di stretching pre
e post allenamento a circa 900 militari
giapponesi ottenendo un effetto preventivo
sia da infortuni che dal dolore in zona
lombare.
Questi sono una parte degli studi a favore
che hanno dimostrato un effetto preventivo,
ora analizziamone alcuni che non hanno dato
gli stessi risultati.
Lally in uno studio pubblicato nel ’94
esaminò circa 600 soggetti (maratoneti)
riscontrando un numero di traumi inferiore
rispetto al gruppo che praticava lo
stretching (circa il 35% di infortuni in
più).
Pope e Herbert in uno studio del ’98 hanno
testato una mole di 1000 soldati con
stretching statico (4 esercizi per 20”) non
riuscendo a dimostrare nessun effetto
preventivo da infortuni.
Sempre la stessa equipe di studiosi nel 2000
valutò con 12 settimane di stretching (6
esercizi per 20” di sessione) delle reclute
dell’esercito, anche qui nessun risultato
significativamente preventivo. Altro studio
svolto da VanMechelen (e altri suoi
colleghi) nel ’93 su dei podisti per 16
settimane (3 esercizi per 10”) non ha
dimostrato nessun effetto preventivo. Shrier
nel ’99 effettuò una rassegna ben
documentata (oltre 10 articoli) sulla
questione prevenzione da infortuni, constatò
in ultima analisi che lo stretching pre‐esercizio
non riduceva il rischio di traumi.
Ovviamente quanto esposto è solo una parte
degli studi in merito che fra l’altro
presentano dei limiti oggettivi che
potrebbero aver inficiato i risultati. Ad
esempio lo studio proposto da Ekstrand non
isola gli effetti dello stretching in quanto
lo combina con un riscaldamento specifico.
Stesso discorso per lo studio di VanMechelen
in cui i podisti oltre allo stretching
venivano indottrinati ad uno riscaldamento
specifico.
Ai fini dell’obiettivo del singolo studio
queste combinazioni possono portare a dei
risultati poco attendibili.
Quanto detto ci mette di fronte all’evidenza
che, ad oggi, rispondere alla
“domanda‐titolo” di questo articolo non è
poi così facile.
E’ molto più corretto sottolineare che solo
ulteriori approfondimenti scientifici
potranno dare (speriamo…) una definitiva
risposta.
Nell’attesa è possibile trarre, da quanto
scritto, alcune indicazioni.
A questo scopo ci vengono in aiuto gli studi
di Magnusson e coll. del ’96, di Witvrouw e
coll. del ’01 e del ’07, di Kubo e coll. del
’02 in cui è stato messo in evidenza come
l’aumento del rischio di infortuni non sia
in relazione all’aver effettuato dello
stretching pre‐gara bensì al grado di
flessibilità di alcuni distretti muscolari.
Personalmente ritengo che sia opportuno,
dove possibile, effettuare delle sedute
mirate di “solo stretching”.
Ma per motivi di tempo e praticità, sommando
le precedenti osservazioni con il risultato
degli studi appena esposti la soluzione
migliore sembra quella di far eseguire dello
stretching alla fine della seduta di
allenamento in modo da ottenere, nel lungo
termine, un miglioramento stabile della
flessibilità di ogni atleta.