Cosa vuol dire “stare con” i bambini della categoria Primi Calci in un gioco strutturato come il gioco del calcio
Settore Giovanile
di Claudio Bianchera
Allenare il bambino a giocare ... educare un bambino a correre ... insegnare al bambino dove stare ... dire al bambino cosa deve fare ... sono domande che ad ogni convegno sul calcio si cerca di rispondere.
Ricordiamoci che un bambino cresce giocando.
Gioca con la voce urlando e facendo versi, gioca con le parole che fanno ridere e che sono proibite, gioca quando si muove “zompettando”, rotolandosi, strisciando, gioca quando mangia masticando tenendo un ritmo, col cibo nel piatto, col cibo in bocca, gioca quando disegna, gioca quando si gratta, gioca con la mimica.
Ogni bambino ha il suo modo particolare di giocare, che è la sintesi delle sue paure, dei suoi divertimenti, del suo modo di vedere le cose, che è il suo continuo e coerente modo di vivere.
Nel momento in cui gli proponiamo un gioco come è in questo caso il calcio, proponiamo a lui un ambiente (un campo in erba con due porte) con dei personaggi (chi vuole rubargli la palla con la maglia dello stesso colore della sua e chi no) e delle regole (la palla deve stare dentro i limiti del campo, si possono usare solo i piedi), lui le interpreterà e le vivrà in un modo suo particolare che sarà il suo modo di giocare.
Il suo modo di giocare al calcio fino a quando non ha maggior coscienza e sviluppo razionale, è da considerare sacro e santo. Noi allenatori educatori come reagiamo a questi modi di giocare? Il gioco è fatto di situazioni in cui i personaggi si incontrano e comunicano, interagiscono tra loro.
Nella stessa situazione di gioco vedremo bambini impavidi, altri pavidissimi, qualcuno euforico, qualcun altro silenzioso, e ancora qualcuno sfiduciato, qualcun altro entusiasta. Noi allenatori reagiamo a questi modi di giocare dei bambini diversamente.
Ci possiamo arrabbiare se i bimbi non ascoltano, innervosire se non fanno subito quello che vogliamo, rasserenare se fanno quello che diciamo, incupire se piangono o si offendono, rallegrare se “ci mettono la grinta”, intristire se “non ce la mettono”.
Immaginiamo una situazione di gioco come tante che avvengono in campo: un bambino entusiasta conduce la palla, dribbla il primo avversario (bambino entusiasta - allenatore felice), poi un altro (allenatore entusiasta - bambino entusiasta), poi c'è un suo compagno libero davanti alla porta (allenatore ansioso - bambino entusiasta) ma il ragazzino tenta il dribbling ma perde la palla (allenatore insoddisfatto – bambino insoddisfatto ) e si mette a piangere perchè l'avversario nella scivolata inavvertitamente gli tira un calcione (allenatore arrabbiato - bambino triste).
L'arrabbiatura del mister in questo caso avviene per il pianto del bambino che viene interpretato dal mister come i capricci di un bimbo viziato che non ha fatto la cosa giusta ed in più strilla perchè non gli è riuscita.
Anche l'allenatore quindi ha un modo di ricevere e vivere non solo questo esempio di emozione ma tutte quelle emozioni che i bambini mettono in campo durante il gioco.
Noi allenatori dobbiamo renderci conto che spesso è più utile ed efficacie andare a lavorare su di sé per riuscire a dirigere e vivere il loro gioco con rispetto e naturalezza invece che incaponirsi su noiosi aspetti tecnici e tattici.
Mi è capitato di notare che spesso la giusta energia messa in campo in allenamento e in partita dai bimbi rispecchiava una particolare chiassosità ed entusiasmo fuori dal campo.
Spesso noi allenatori adulti, da adulti interpretiamo il chiasso e la festosità dei bambini come mancanza di rispetto e di serietà nell'approccio all'allenamento e alla partita.
Niente di più falso. Lasciare che i bambini esprimano divertimento non solo tramite l'agonismo è un fondamento dell'educazione al gioco del calcio.
Obbligarlo a non esprimere alcune emozioni rispetto che altre è un bloccare il divertimento ad apprendere.
Ovviamente questo non comporta l'anarchia del vale tutto, l'allenatore educatore deve gestire le emozioni dei bimbi, assicurando la riuscita del gioco e l'apprendimento tecnico e tattico che deve passare dal, ripeto ancora, divertimento e dal piacere.
Noi allenatori educatori quante volte siamo divertiti e compiaciuti di quello che stiamo facendo?
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