Arriva in Italia con l’arroganza di chi crede di poter tutto, abbronzato, corrucciato, scocciato, mai un sorriso né la gentilezza di parvenza di chi è appena arrivato e vuole accaparrarsi la simpatia del pubblico; no, mai.
Presentatosi nella sua essenza, crudo e sfrontato, arrogante e presuntuoso, irriverente e scorbutico a tratti, con il fare di chi poco si cura di buon costume e pubbliche relazioni persino quelle con la sua gente perché a lui poco importa dell’appoggio, della benevolenza, tantomeno del compiacimento del pubblico al di fuori del suo spogliatoio, eppure la sua gente impara ad amarlo nelle sue peculiarità, con il suo caratteraccio così distaccato, crudo, talvolta apparentemente anaffettivo e lui pian piano inizia ad amare la sua gente che, col tempo definirà famiglia, ma José non piace a tutti e infatti più delle volte pure lui viene crocifisso.
Dai media, dagli arbitri, dai tifosi delle altre squadre, dagli avversari… Al suo arrivo a Milano non spreca parole, non spreca sorrisi, non spreca energie, non si fa bello per la stampa, non sorride davanti ai cellulari, lui le energie le conserva da subito per i suoi uomini perché sono loro che vuole entusiasmare, sono loro che deve conquistare prima di poterli guidare, plasmare a sua immagine e somiglianza e assoggettare a quel suo modo di essere così pragmatico, rapido, reattivo, scattante, proattivo, previdente, carismatico, persuasore, psicologo, manipolatore.
I suoi allenamenti basati sull’intensità e la tensione, sul risparmio psicofisico e la reattività, rapido all’attacco ma sempre sulle difensive senza mai farsi cogliere in contropiede come il suo modo di concepire il calcio. Mai a memoria, mai allo stremo, mai per le lunghe, Mourinho è così, niente filosofici sproloqui calcistici, breve e intenso, dirompente e irrefrenabile, polemico e mai pacato, fuori e dentro il campo.
Lui è così, o lo ami o lo odi, in tanti lo amano, in altrettanti lo odiano.
L’uomo dalle mille sbracciate, dalle mille diatribe, dalle svariate squalifiche e ammende, lui che se potesse non parlerebbe neanche con i giornalisti “Io sarei quello bravo a parlare? Io sono bravo perché mi dicono che devo, per forza, parlare.
Se l’ufficio stampa dell’Inter mi dicesse di non parlare alla stampa per due mesi, per me sarebbe fantastico”.
I suoi allenamenti, basati spesso sull’inferiorità numerica, rendono giustizia allo zelo con il quale cura i dettagli, si lancia in avanti sull’avversario studiandone e anticipandone le mosse; prevede e previene, José Mourinho è tattico e tecnico quanto emotivo e sentimentale.
Soprattutto emotivo e sentimentale, caratteristiche sempre ben recondite, occultate da quel volto dai tratti aspri e invisi, José prima di insegnare il calcio, insegna a scoprire ed ascoltare se stessi; emozione e sentimento, ancor prima di sacrificio e perseveranza, allineamento tra mente e corpo in armonico equilibrio tra loro sono gli ingredienti del suo calcio.
Arriva a Milano trovandosi a sostituire un affezionato allenatore che aveva finalmente riaperto la bacheca dei trofei, porta a casa lo scudetto, il quarto consecutivo ma fallisce nella missione che gli viene affidata uscendo dalla Champions con il Manchester United di Cristiano Ronaldo. C
i riprova l’anno successivo e porta l’Inter sul tetto d’Europa vincendo tutto quello che c’era da vincere, lasciando agli avversari a quota “zero titoli”.
Una tra le stagioni più belle della sua carriera, forse la più bella, perché a Milano non era un’impresa qualunque, non era un’impresa semplice, a Milano in ballo non c’era soltanto una finale o una coppa, in ballo c’era un sogno.
Presentatosi nella sua essenza, crudo e sfrontato, arrogante e presuntuoso, irriverente e scorbutico a tratti, algido e ispido, arrivato allenatore e andato via tifoso con le lacrime della gioia miste al dolore di chi lascia i figli perché diventati ormai adulti.
Tra le lacrime infatti lascia l’Inter il giorno della sua maturità e inizia una nuova avventura al Real Madrid dove trascorre tre stagioni vincendo una Liga, ritorna al Chelsea dove spera di vincere la Champions che non era riuscito a vincere ma ancora una volta non riesce nell’impresa, al contrario, viene esonerato e dopo sei mesi passa ad allenare i Red Devils con i quali ha vinto l’Europa League lo scorso anno e con i quali ha rinnovato il contratto fino al 2020 ma dove ha già preannunciato di non finire la sua carriera. Continua a litigare con allenatori, giornalisti e arbitri, ma soprattutto con Antonio Conte con il quale si diletta a fornirci spettacoli di tarantella, nella fattispecie quella leccese, continua a non piacere a tutti ma ad ogni crocifissione rimedia con una resurrezione, dopo l’esonero dal Chelsea infatti, in cui in molti lo davano per finito, è resuscitato al Manchester United dove ha ancora molto da dare e da vincere. O