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Ivan Jurić

 

Non si può certo dire che la stagione 2015/16 non si stia preparando a consegnare alla storia diverse favole calcistiche. Dall’Alessandria semifinalista di Coppa Italia al ritorno nel calcio professionistico del Parma, passando per la prima, storica qualificazione dell’Albania all’imminente Europeo.

Sopra a queste, naturalmente, la madre di tutte le favole del calcio europeo: il Leicester (probabile) futuro campione d’Inghilterra.

 

Una delle prime caratteristiche è che riconosci immediatamente in lui la somma delle sue esperienze. Appassionato di basket (aver visto da vicino l’epoca d’oro di fine anni ‘80 della Jugoplastika Spalato ha certamente aiutato) ma non solo, tanto che

 

"Ho studiato il triangolo offensivo e il modo di gestire lo spogliatoio di Phil Jackson e sono tutte cose stupende.

È stato bravissimo a togliere egoismo dalle sue stelle e metterle al servizio della squadra per ottenere tante vittorie, ha una psicologia fantastica nel far andare tutti nella stessa direzione"

 

In casa Jurić l’indipendenza di giudizio e la sfrontatezza di voler girare a testa alta non hanno mai fatto difetto. E Ivan assorbe queste caratteristiche.

Urlare le proprie verità diventa parte della propria identità. Crescere in quella tensione non può che forgiare un carattere ruvido e motivato, e lo stesso Jurić non fa mistero che la strada fatta nel calcio è stata possibile solo grazie a queste caratteristiche.

 

Da giocatore veste le maglie di Hajduk Spalato, Siviglia, Albacete, Crotone e Genoa, oltre a quella della nazionale croata in tutte le sue versioni, da quella Under 17 a quella maggiore.

Con quell’esperienza, passione e leadership il passo verso il ruolo di allenatore diventa quasi obbligatorio: inizia da assistente di Gian Piero Gasperini al Genoa, in seguito lo seguirà prima all’Inter e poi al Palermo, per fare successivamente ritorno in Liguria alla guida della formazione Primavera.

 

Nel 2014/15 il passaggio sulla panchina del Mantova. Le premesse di quella stagione erano quanto di peggio ci potesse essere, nata e conclusa con una società colma di crepe.

Da tanti addetti ai lavori emerge la sensazione che la salvezza sarebbe stata possibile solo con un’impresa.

 

 

Jurić prende tutti di petto, società in primis, e in un batter d’occhio la tifoseria lo elegge a capopopolo: "Abbiamo avuto la fortuna di aver avuto fin da subito un grande feeling con la città e con i tifosi – ricorda – per quanto riguarda l’aspetto societario, ho trovato grandi deficit in tutti gli aspetti. Questa società secondo me è stata abbandonata per tanti anni, non è stato migliorato niente nelle infrastrutture che sono importanti anche per far capire ai giocatori che la società ha un certo modo di lavorare. Ho trovato molta improvvisazione."

 

La squadra sorprende: giovane, agguerrita e a tratti spettacolare. I tifosi la sostengono sempre, anche quando i risultati non arrivano.

La tesi a Coverciano sugli aspetti motivazionali trova la sua applicazione concreta anche sul rettangolo verde e a fine stagione il Mantova si salva senza alcun affanno e senza nemmeno dover percorrere il sentiero selvaggio dei playout.

 

 

Intensità e coralità sono le prerogative del suo gioco: nel suo Mantova vanno a segno la bellezza 17 giocatori (Said è stato il cannoniere con 5 reti), a Crotone vanno a segno di nuovo in 17 (18 se consideriamo anche la Coppa Italia, il top scorer è Budimir con 15).

Tanto per fare un paragone: la Juventus schiacciasassi di Massimiliano Allegri ne ha mandati a segno 14 sia nella scorsa stagione che in quella ancora in corso.

 

Intensità e coralità sono le prerogative del suo gioco: nel suo Mantova vanno a segno la bellezza 17 giocatori (Said è stato il cannoniere con 5 reti), a Crotone vanno a segno di nuovo in 17 (18 se consideriamo anche la Coppa Italia, il top scorer è Budimir con 15).

 

Essere stato allievo di Gasperini (ma per lui il numero uno al mondo è Pep Guardiola, che ha potuto vedere lavorare da vicino per una settimana al centro di allenamento del Barcellona dove ha potuto ammirare il modo di lavorare dell’attuale tecnico del Bayer Monaco il quale

 

"Ha esasperato il possesso palla, ma questo sta solo a indicare come la squadra si muovesse globalmente in spazi ridotti.

E questo è utile anche in fase di non possesso, appena qualcuno perdeva palla l’avversario si ritrovata contro subito qualche altro avversario. La mia idea tende ad andare in queste direzione, che poi non vuol dire non sfruttare la ripartenza veloce o altri modi di giocare.

Però il gioco di Guardiola è il metodo che mi ispira e che mi piace, avere controllo della partita e muovere bene la palla. Stare allo stesso tempo molto larghi e molto corti ti permette di correre meno ma in velocità, pochi metri ma più esplosivi"

 

e aver giocato in Spagna "Nel calcio spagnolo c’è una impressionante cultura del bel gioco, di giocare la palla. Esigono giocatori che sappiano trattare la palla, l’aspetto fisico è messo un po’ in secondo piano, anche per questo escono giocatori con delle qualità tecniche importanti. Gli spagnoli vivono bene, hanno un senso del divertimento fantastico. Riescono a giocare bene e divertirsi, ma gli manca quella competitività che hanno gli italiani e un’altra lacuna che hanno è che quando non riescono a giocare bene perdono la testa e invece un italiano è sempre concentrato per cercare di raggiungere il risultato"  lo hanno spinto a cercare anche un’apprezzabile estetica di gioco.

 

Per riuscirci la capacità di lettura del gioco, unita alla corsa, diventa la priorità: "La capacità di leggere il gioco è il primo aspetto che guardo. Faccio un esempio: Zammarini (centrocampista del Mantova classe ’96) non ha grandi doti fisiche o particolari doti tecniche. Però è un giocatore che secondo me potrà fare un grandissima carriera perché percepisce il gioco, nonostante la sua giovane età sa esattamente quello che deve fare. Ed è per quello che l’ho voluto in prima squadra. È un dono fantastico."

 

Maniaco del lavoro in settimana e della relativa tracciabilità (ha imposto sia a Mantova che a Crotone l’utilizzo del gps per monitorare le prestazioni individuali durante gli allenamenti e fa un utilizzo massiccio di WyScout per studiare giocatori e avversari, sempre con al fianco il suo braccio destro Stjepan Ostojić), Jurić ha successo perché non trascura niente, ripulisce i concetti dalla retorica e non perde mai il focus, a cominciare dall’importanza di plasmare la base di tutto, lo spogliatoio, invocare dedizione, chiarezza di compiti e cultura del lavoro. La sintesi del suo lavoro può essere individuata in queste sue parole:

 

"Penso che la costruzione della squadra sia la parte più bella del mio lavoro. Tutto il resto, come abbiamo visto negli ultimi anni in Italia, non va bene. Quello che rimane è lo spogliatoio, il rapporto con i giocatori e la voglia di ottenere un obiettivo. Penso sia fondamentale scegliere fin subito all’inizio persone con qualità umane, e che possono diventare i leader dello spogliatoio. Se sbagli questa scelta potresti avere molti problemi durante la stagione. Credo molto in un rapporto sincero, oltre ogni limite. E intendo fino ad arrivare a essere molto chiaro, bisogna essere sempre sinceri con i giocatori. Sia cose brutte che belle. Così loro arrivano ad apprezzare l’uomo che sei, che è cosa fondamentale. Il valore del lavoro è il più importante."

 

E  ancora "Credo molto nel lavoro, è la base di tutto. Poi il resto sono aggiunte. Ciò che conta è avere un’idea chiara di come giocare, dove ognuno sa esattamente cosa deve fare. È la base. Se sopravvaluti certe cose, tipo lo spirito di gruppo, poi rischi di trascurarne altre. Io ho avuto la fortuna di poter prendere parte a un incontro con un famoso allenatore di basket, e lui parlava molto di questi aspetti di gruppo nella prima fase della sua carriera. Ha confessato di aver capito dopo anni e anni che la cosa più importante è che ogni giocatore sappia esattamente cosa deve fare sul campo, che ognuno ha il compito da svolgere. Lo spirito di gruppo rischia di distrarre e di non concentrarsi su cose concrete. E invece, ogni giocatore che sia di basket, rugby o calcio, durante la partita deve eseguire determinati compiti, possibilmente bene. Ognuno deve fare il suo, è così che alla fine si crea un prodotto buono. Con i giocatori mi approccio con la sincerità, fino al punto di far male."

 

È un principio molto cestistico: non è raro trovare un allenatore sostenere che essendoci in campo cinque uno contro uno, basta vincerne tre per avere grandi chance di vincere la partita. La Croazia e i suoi conflitti, verso cui conserva un atteggiamento combattuto "È una grandissima delusione perché non siamo riusciti a fare uno paese giusto e onesto, ho sempre pensato che la Jugoslavia non fosse giusta su tante cose perché nel sistema comunista non hai diritto di espressione e di idea, però noi non abbiamo sfruttato nel migliore dei modi la possibilità di essere indipendenti"

 

lo ha forgiato caratterialmente, Genova e le persone a essa collegate ne hanno definito lo stampo professionale.

Tutte esperienze che sommate hanno dato vita a un allenatore che coniuga sana (ma concreta) cattiveria a estetica calcistica con pochi eguali nel panorama calcistico italiano. Forse è per questo che in entrambe le sole due stagioni da capo allenatore ha portato le sue squadre oltre il proprio limite ottenendo risultati inaspettati. Un percorso che lo porta a vivere (e a pretendere) ogni match con un trasporto fuori dal comune.

Prendere a pugni il mondo con il massimo della sincerità con lo scopo di pretendere da sé stessi la massima competitività. D’altra parte, una partita di calcio rappresenta “la purezza dello scontro”. A cui lui non si sottrae mai.

 

(Estratti originali dal libro “The Goal”, di Leonardo Piva)

 


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Fonte: MondoFutbol e estratti originali dal libro “The Goal”, di Leonardo Piva
Autore: Leonardo PIVA @leopi23
Data inserimento nel sito: 29.04.2016