|
|
|
Data inserimento e aggiornamento nel sito:
30/09/2015
- 26/02/2018 |
Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi dalla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di novemila tiri.
Ho perso quasi trecento partite. Trentasei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato.
Nella vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.
Cit. Michael Jordan
|
|
|
|
Il fallimento ….
… una parola che incute timore negli atleti.
Eppure, sono maggiori gli insuccessi dei successi.
Come abbiamo visto nel precedente articolo, il successo è un concetto ricercato da ogni persona che cerchi di raggiungere un obiettivo, ma il percorso può essere pieno di insidie e può non portare i risultati sperati.
Un’idea deve essere presa in considerazione: il fallimento è parte integrante di ogni percorso.
Si può “cadere” molte volte prima di riuscire a raggiungere la meta prestabilita.
E dopo essere “caduti”, è necessaria la forza di volontà per rialzarsi.
A chiunque è successo di fallire
A volte l’insuccesso porta a
rimandare l’obiettivo, altre a
rinunciarci completamente.
Le emozioni che si provano a
riguardo sono molteplici, spesso con
una sequenza ben precisa: rabbia,
tristezza, paura.
Rabbia per non essere stati in
grado di riuscire, tristezza per il
“lutto” dell’obiettivo mancato,
paura di non poter mai riuscire
nella vita a raggiungere una meta
simile.
Il bello di questa condizione è
che fa male, ma è momentanea.
E deve essere affrontata come
tale.
I pericoli dell’insuccesso
Quando si fallisce, il pericolo più grande è il calo di motivazione.
Ciò che ci dà la spinta a impegnarci in azioni e a mettere in gioco energie psichiche e fisiche è la voglia di raggiungere un obiettivo.
Dopo la fatica fatta, il tempo utilizzato, la forza mentale spesa nel tentativo di perseguire la meta, un insuccesso può far crollare le motivazioni.
La performance sportiva risulta rovinata e il benessere psico-fisico che si ottiene facendo attività scompare.
Tutto diventa una forzatura.
Se tale situazione non cambia in un arco di tempo breve, l’intervento di uno psicologo dello sport può essere utile a ristabilire nuovi obiettivi, sportivi e non, e quindi nuove motivazioni.
In casi più gravi e fortunatamente rari, se la vita dell’atleta è stata basata sul lavoro necessario per raggiungere il successo, in caso di fallimento si rischia la depressione.
Non solo l’attività agonistica viene influenzata negativamente, ma è la stessa salute psichica che viene compromessa.
In tali casi, l’intervento di uno psicologo clinico è necessario per ristabilire l’equilibrio del benessere psicologico.
Dopo uno o ripetuti fallimenti, l’abbandono dell’attività sportiva è una possibilità reale, soprattutto in età giovanile.
Se i giovani atleti, che in alcuni casi hanno avuto piccole o grandi soddisfazioni, non sono allenati o preparati al fallimento, possono chiedersi che senso abbia continuare a faticare per un’attività che non porta frutti.
Il risultato è che un altro giovane abbandona una strada che potrebbe essere piena di soddisfazioni, non necessariamente costituite da successi sportivi, e che potrebbe essere una palestra di vita per affrontare tutti i fallimenti e i successi futuri.
La paura del fallimento
Avere un obiettivo a cui si tiene particolarmente o che darebbe una svolta nella vita può portare ad avere paura, conscia o inconscia, di non riuscire a raggiungerlo.
Tale emozione nasce dal timore di non essere all’altezza del compito e di non vedere le proprie speranze realizzate.
Basata o meno sulla realtà dei fatti, la paura di non raggiungere l’obiettivo è fondata sulla bassa autostima.
Può provocare problemi di concentrazione e ansia pre-gara.
L’ansia infatti è un sentimento che nasce nel momento in cui non si è sicuri di avere le risorse e le competenze per superare un certo ostacolo.
In alcuni casi, tale paura può avere un effetto meno visibile: può portare l’atleta a non impegnarsi completamente nel raggiungimento dell’obiettivo.
Il ragionamento inconscio è semplice: se mi dovessi impegnare al cento per cento e, nonostante questo, non dovessi raggiungere l’obiettivo prefissato, significa che non ho le competenze e le risorse per avere il successo sperato.
Sarebbe un ulteriore colpo per l’autostima.
L’intervento di uno psicologo dello sport può scoprire la paura del fallimento di un atleta e può ridimensionarla.
Faccio spesso una domanda agli atleti: “Se dovessi fallire, cosa succederebbe? Come cambierebbe la tua vita?”.
Dopo un primo momento di terrore puro pensando all’ipotetico insuccesso, mi trovo ad assistere spesso a un ragionamento molto profondo sulle sue conseguenze.
Scoprirle può far capire all’atleta la vera portata del tutto e parlarne può permettergli di trovare soluzioni alternative nel caso di fallimento.
Le opportunità dell’insuccesso
Come sempre, il bicchiere non è sempre solo mezzo vuoto.
Se un atleta, soprattutto giovane, viene correttamente seguito sia dal punto di vista fisico ed emotivo, può vivere un fallimento come un’opportunità per crescere. Fa male fallire.
Si provano emozioni negative e l’autostima ne risente.
Ma è un momento passeggero. Essere consapevoli di ciò aiuta.
Così lo sport agonistico può essere realmente una palestra di vita.
La competenza principale che viene allenata è la nostra amica resilienza: la capacità di superare ostacoli e momenti negativi ed uscirne rinforzati.
Se la motivazione è alta e gli obiettivi, i successi o gli insuccessi correttamente dimensionati, senza esagerarne l’importanza, un giovane atleta può diventare non solo un atleta grande, ma soprattutto un grande atleta.
Necessario, in questo caso, è l’atteggiamento positivo dell’allenatore e dei genitori, che come sempre hanno un ruolo fondamentale nella vita, sportiva e non, dei ragazzi.
Evviva dunque gli insuccessi, così più numerosi rispetto ai successi.
E, ricordando ciò che un atleta mi disse:
“Se avessimo più successi che fallimenti, non ci godremmo così tanto il successo quando arriva” (cit.).
|
|
|
|