Medicina e Psicologia Sportiva  | Massimo CABRINI
  Il leader nel calcio

 Massimo CABRINI

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Nello sport di squadra il senso comune ritiene erroneamente che il leader debba identificarsi nell’ allenatore o nel capitano e qualche volta nel campione più affermato.

Nella realtà però non é sempre così.

Molto spesso si tende a ritenere che l’allenatore possa essere il vero leader della squadra, in quanto - di fatto - ha compiti organizzativi e di conduzione del gruppo stesso.

 

Il vero problema però é che molto spesso l’allenatore non é riconosciuto come leader dalla squadra ed allora viene declassato al ruolo di capo, un ruolo che per essere esercitato non richiede l’accettazione emotivo affettiva dei membri del gruppo.

Lo stesso dicasi per il capitano, se viene nominato tenendo conto di valori diversi da quelli del gruppo.

 

Infatti, sovente, il capitano é colui che ha più presenze in campo con la maglia della squadra, oppure é il più anziano.

Per un gruppo possedere un leader dal quale farsi guidare, soprattutto nei momenti difficili, é di vitale importanza per arrivare ad ottenere i risultati che il gruppo stesso desidera raggiungere.

 

Il leader é l’elemento che aiuta a valorizzare le potenzialità dei singoli: il fulcro, intorno al quale, le varie individualità si fondono nella ricerca di quello spirito cooperativo che é ingrediente essenziale per il successo di una squadra di calcio.

Chi ha pratico uno sport di gruppo sa che nella squadra non tutti hanno le stesse doti di carisma. Infatti vi sono soggetti che amano restare defilati, altri che sono portati a farsi guidare e qualcuno invece che dimostra delle doti spiccate da trascinatore.

La ricerca sul problema della leadership tra i membri del gruppo si sono fondate principalmente su due presupposti:

· La posizione del leader sul terreno di gioco.

· Le qualità e gli elementi di personalità del leader stesso.

 

 

 

In merito alla posizione sul campo, ed alle correlazioni conseguenti con la possibilità di essere leader, la ricerca é stata abbastanza copiosa di risultati.

Queste ricerche hanno avvalorato l’ipotesi teorica secondo la quale la centralità della posizione in campo é importante nel determinare la guida affettiva della squadra. Per esempio il “ battitore “ nella pallavolo,il “quarterback “ nel football americano, “ il centrocampista/ regista” nel calcio, il “centroboa” nella pallanuoto etc. Su queste ipotesi ha lavorato Grusky, che anche rilevato come coloro che hanno questo tipo di ruolo sono poi anche più predisposti a divenire nel post carriera dei manager dello stesso sport.

 

La leadership é comunque un elemento dinamico che integra molti altri elementi oltre a quello della posizione sul campo, in particolare la personalità. La regolarità delle prestazioni, l’esperienza di squadra, l’ascendente sui compagni, possono certamente essere discriminanti più forti rispetto alla posizione sul campo di gioco.

Nel momento che i leader - per essere tali - hanno bisogno di gregari, una semplice osservazione dei comportamenti della squadra o del gruppo, rileverà la scena d’azione dei leader e dei gregari stessi. Gli atleti più giovani, che sono da poco nel gruppo, risultano tendenzialmente più portati a seguire il parere, le opinioni dei più esperti (B.J.Cratty e R.E. Pigott ).

In linea generale i leader sono quelli che vengono vissuti dai compagni di squadra come competenti, abili, determinati nel condurre la formazione verso la conquista del successo, ma anche capaci di creare buoni rapporti interpersonali con i compagni e l’allenatore.

Chi ha più possibilità di essere riconosciuto come leader deve avere un personalità particolare. Questo tipo di soggetto deve possedere prima di tutto un buon livello di autostima.

Essere consapevole del suo valore come persona, ma anche come calciatore, al punto da riconoscersi la capacità di dare suggerimenti e scelte d’indirizzo ai suoi compagni.

Il leader non può essere troppo egoista ne tantomeno esageratamente narcisista. Lo spirito cooperativo deve essere un elemento di base su cui fondare il rapporto con i compagni.

Chi anche sul campo dimostra di essere troppo egoista, magari esageratamente ” driblomane “, difficilmente verrà riconosciuto come elemento guida del gruppo.

L’intelligenza e la sensibilità sono due doti fondamentali per poter sperare di essere un buon leader.

Il vero leader é quello che riesce a condizionare in positivo l’umore della squadra sia in campo che fuori.

E’un soggetto che reagisce con grinta davanti alle difficoltà e questa sua caratteristica di personalità da sicurezza ai più fragili.

 

Spesso un domanda che ci viene posta in merito é: ma é indispensabile avere un leader?

La risposta può essere questa. L’esperienza ci dice di si, nel senso che senza leader una squadra non riesce a superare le mille difficoltà alle quali deve fare fronte.

Se invece privilegiamo un approccio al ragionamento di tipo teorico possiamo tranquillamente affermare che se tutti i soggetti fossero forti, sicuri, motivati e in grado di affrontare la realtà nel migliore dei modi non ci sarebbe bisogno del leader, che possiamo definire un buon pastore che guida il gregge.

Questo approccio però ha molto il sapore di utopia. Per poter fare senza leader dovremmo avere tanti “super uomo”.

 

Super uomo inteso nella concezione di F.Nietzsche: dove il super uomo é colui che riesce ad andare oltre se stesso, a superare i suoi limiti e gli egoismi individuali per assurgere alla capacità di costruire con gli altri.

Una situazione che spesso crea problemi in una squadra é la presenza di quello che viene definito il leader negativo.

E’ un soggetto che per conquistare un ruolo di primo piano nel gruppo cerca di far gioco sulle insoddisfazioni di alcuni membri del gruppo.

E’ una figura molto pericolosa perché ha come fine il fallimento degli obiettivi di gruppo.

Spesso é un soggetto presuntuoso che non si sente sufficientemente considerato, che magari gioca anche poco, e che come un vero e proprio serpente striscia e cerca di colpire spesso in modo anche un pò vigliacco. Divenendo il capo dei nemici dell’allenatore e quando le cose precipitano, non arrivano I risultati, assume il ruolo del capo dei rivoltosi contro l’allenatore.

Molti si chiedono se l’allenatore possa divenire il vero leader del gruppo.

Personalmente credo che sia molto difficile. Primo perché l’allenatore é un capo che viene investito di questo potere da un’autorità superiore (la società) e che quindi non viene scelto dal gruppo.

In secondo luogo perché troppo spesso ha in mano il potere di gratificare o meno le motivazioni dei singoli. Un aspetto determinante del lavoro dell’allenatore é quello di conoscere ed essere in grado di far eseguire programmi tecnico/tattici ai calciatori.

Il ruolo dell’allenatore deve contemplare delle abilita di comando e direzione, quindi deve essere un capo. Secondo Martens la leadership é semplicemente la capacità di saper dare ad altri un piano di lavoro, una direttiva, avendo una visione delle possibilità e delle mete.

L’autorità é una caratteristica determinante nella gestione del gruppo. Essa per poter essere positivamente esercitata, evitando di tradurla in autoritarismo, deve da prima venir riconosciuta dal gruppo stesso. Il riconoscimento dell’autorevolezza e della competenza del tecnico da parte del gruppo è la condizione indispensabile perché possa venir accettato come leader.

 

In pratica l’allenatore deve conquistarsi prima di tutto la fiducia, dopo di che il gruppo scegliere di farsi guidare da lui. Possiamo dire che una situazione frequente é quella nella quale troviamo un allenatore che viene accettato come “ condottiero”, quindi gli viene riconosciuta una competenza tecnico tattica, ed un leader emotivo che invece appartiene al novero dei giocatori.

Troppo spesso molti allenatori arrivando in una squadra tendono a porsi nei confronti degli atleti con una atteggiamento autoritario, che non tiene conto che prima di tutto é necessario farsi conoscere dal gruppo, per superare un fisiologico atteggiamento di diffidenza iniziale.

Se un gruppo rifiuta un allenatore difficilmente questo riuscirà a sopravvivere per lungo tempo in quella squadra, perché prima o poi nasceranno situazioni conflittuali molto forti. Un aspetto molto importante é quello del rapporto tra leader ed allenatore.

Un allenatore quando capisce quale é il leader del gruppo deve mantenere con questo un rapporto privilegiato. Migliore sarà il rapporto tra il leader e l’allenatore e più positivo anche quello tra il mister e la squadra.

Se il leader condividerà la filosofia del tecnico diverrà automaticamente un suo alleato ed userà il suo ascendente sul gruppo per aiutare l’allenatore.

 

 


Autore: Massimo CABRINI
Data inserimento nel sito: 17/12/2012