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La scalata del Belgio: dal 71° al 1° posto nel ranking FIFA in otto anni
Come i Diavoli Rossi sono riusciti a salire in cima al mondo senza vincere un solo titolo, ma garantendo una fioritura di talenti mai vista da quelle parti: dietro all'exploit degli uomini di Wilmots c'è soprattutto una scuola capace di reinventarsi, un po' come accaduto alla Germania
Dal 71esimo al primo posto in 8 anni
Da quando il ranking è stato introdotto (1993), la posizione media dei Diavoli Rossi è stata la 33. Ciò significa che, storicamente, il Belgio non è affatto una delle prime selezioni mondiali. Eppure, adesso, si isserà per la prima volta al numero uno, completando una rimonta a dir poco incredibile. Nel 2007, anno chiuso al 66esimo posto, toccò il punto più basso con un piazzamento al 71esimo gradino del calcio mondiale. Otto anni dopo è al numero uno. Un andamento che va di pari passo a una straordinaria fioritura di talenti, quelli esplosi nel corso della gestione di Wilmots
e giunti ai quarti nell’ultimo Mondiale
brasiliano. Un’autentica mina vagante anche
a Francia 2016.
Un lungo blackout La storia del Belgio calcistico è sempre stata vissuta all’ombra dei cugini olandesi. Se gli Oranje impressionavano il mondo con il loro calcio totale fiorito intorno agli anni 70, i belgi si accontentavano di farsi strada proponendo una visione più concreta. Guy Thys è il grande mentore, il ct che resta in sella dal 1976 al 1991 (salvo una breve interruzione tra 1989 e 1990) e ottiene i migliori risultati nella storia della nazionale: terzo posto all’Europeo 1972, secondo nel 1980 e quarto piazzamento a Messico ’86. Una via di mezzo tra il catenaccio all’italiana e il calcio totale olandese, declinato nella forma di quello che, per i nostri giorni, sarebbe un 3-5-2. Ma da quella generazione a questa, c’è in mezzo un vuoto impressionante. Un blackout che inizia con l’eliminazione agli ottavi dei Mondiali 2002 e si conclude con il ritorno in una grande competizione garantito dalla qualificazione a Brasile 2014. 12 anni di vuoto ai quali è necessario aggiungere una postilla non da poco: l’eliminazione al primo turno durante Euro 2000, ospitato e non onorato se si considera che il Belgio divenne la prima nazionale a non passare quello sbarramento nella competizione.
Una piccola Germania
In quanto a risultati, tutto torna a muoversi intorno al 2012, quando viene nominato come ct Marc Wilmots, uno degli ultimi giocatori lanciati in nazionale da Thys. Anche lui pratica un calcio che concilia tecnica e ordine, ma – a differenza dei predecessori – può disporre di un talento da “generazione d’oro”. Hazard e de Bruyne sulla trequarti, Benteke e Lukaku in attacco, gente come Mertens, Nainggolan, Fellaini da aggiungere al mazzo. Senza dimenticarsi di portieri come Courtois e Mignolet o di un difensore del calibro di Kompany (e, questo, soltanto per voler fare qualche nome). Il primo botto è la qualificazione al Mondiale brasiliano dominando con 26 punti un girone che include anche Croazia, Serbia, Scozia, Galles (come nelle qualificazioni a Euro 2016) e Macedonia. Il secondo è l’ottima rassegna sudamericana, quando i suoi si fermano soltanto al cospetto di Messi e compagni (come nel 1986).
E il terzo è la conferma, ottenuta vincendo nuovamente il girone per Francia 2016. Il tutto scalando il ranking. Quando è arrivato Wilmots, il Belgio era 21esimo al mondo. Ora è al primo posto. Ma, attenzione, non è tutta farina del suo sacco. Dietro c’è molto altro. Un movimento che, come quello tedesco, ha toccato il fondo nel 2000 e da allora ha saputo reinventarsi, riprogrammarsi e aggiornarsi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Qualcuno – magari partendo dai cugini olandesi – prenderà appunti?
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