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Libri di Calcio e Lett. Sportiva | Simone FUGALLI | Come gesto di divertimento, come fondamentale tecnico Osservando una partita di “piccoli amici”, qualche anno fà, mi resi conto, visto la tenera età degli sportivi, che dalla contesa agonistica in atto emergeva un unico e primordiale bisogno dei contendenti: il dominio della palla. Tutti indistintamente rincorrevano la palla per diventarne il momentaneo “proprietario” oppure per calciarla ovunque, il più delle volte senza un obiettivo prefissato, spinti solo da quell’irrefrenabile pulsione attrattiva dell’attrezzo rotolante. L’obiettivo principale del percorso formativo previsto in questa fascia d’età, è, oltre all’accrescimento delle abilità motorie del ragazzo, l’assimilazione e la riproposizione dei 7 gesti specifici che caratterizzano il calcio (lo stop, la conduzione, il contrasto, la trasmissione, il tiro, il colpo di testa, e, in misura minore, la rimessa laterale e la parata per quanto concerne il portiere).
Premesso ciò, mi sorgono due domande da fare: 1. Ma le esercitazioni chiuse “closed skill” mirate al miglioramento dei gesti basilari calcistici permettono al ragazzo, in chiave evolutiva, di diventare un calciatore di livello professionistico? 2. La sola assimilazione dei gesti basilari permette al giovane atleta, in sede di gara, di essere preso in considerazione dal “talent scout” per poter accedere a società sportive di livello professionistico? Francamente, osservando settimanalmente le più svariate partite giovanili, dai più piccoli ai meno piccoli, ciò che più mi colpisce in un ragazzo, come allenatore di base, non è tanto la riproposizione esteticamente precisa e valida del gesto basilare proposto o la tattica individuale espressa, quanto più invece, vista la tenera età, la sensibilità podalica con l’attrezzo palla e la predisposizione al confronto dell’1c1, ossia la continua proposta di atteggiamenti motori tendenti al superamento dell’avversario, conosciuto meglio come l’azione del dribbling.
Osservare un ragazzo appartenente alle prime fasce d’età dedito al miglioramento del tiro o della trasmissione della palla denota, nella figura dell’osservatore, un positivo giudizio nei confronti dell’esecutore motorio, ma vedere compiere o cercare di portare a termine un dribbling dal medesimo atleta provoca, agli occhi dello stesso osservatore, forti emozioni e prospettive future per questo coraggioso ragazzo. Anche perché, l’esecuzione del dribbling prevede, oltre che una forte autostima e personalità, anche una tecnica motoria di base importante. Infatti, per metabolizzare la condotta motoria in oggetto, l’allievo deve continuamente riproporlo affinché si crei in lui quella coordinazione intersegmentaria e quel timing ottimale tale da disorientare il momentaneo avversario e poterlo superare senza troppe difficoltà. Quindi, se il dribbling non lo si prova e riprova continuamente in sede di allenamento, il medesimo atteggiamento motorio risulterà molto difficile da eseguire, specie in ambito di gara ove già la pressione della stessa genera, nel giovane atleta, difficoltà ulteriori. Al termine della partita, tra tutti i contendenti più o meno bravi certamente si ricorderà con piacevole giudizio il ragazzo promotore di dribbling piuttosto che l’allievo intento a trasmettere la palla in maniera esteticamente perfetta. Il dribbling per cui può essere definito sostanzialmente come “un controllo di palla tendente a creare un vantaggio temporale e un disorientamento spaziale con il conseguente superamento di uno o più opponenti di una contesa agonistica” (Fugalli, 2011). La continua ricerca del perfezionamento del dribbling da parte dell’allievo, poc’anzi vivamente consigliata, soprattutto in sede d’allenamento, comporta, inevitabilmente, oltre che un convincimento delle proprie capacità e dei propri mezzi, anche un miglioramento della tecnica individuale calcistica, grazie all’affinarsi del processo d’informazione sensoria. In aggiunta, si crea nell’allievo, oltre che un raffinato lavoro di sensibilità podalica, anche un miglioramento della coordinazione motoria poiché tra queste due capacità sussiste un elevato coefficiente di correlazione, indispensabile per la crescita sportiva del calciatore.
In funzione del piano d’azione, che è il piano assiale ove prioritariamente il possessore di palla esegue quei movimenti o atteggiamenti corporei e tecnici per disorientare l’avversario, si distinguono 3 grossi sottogruppi fondamentali, che sono nello specifico: - dribbling sul piano orizzontale (frontale, dorsale); - dribbling sul piano verticale (o sagittale); - dribbling sul piano misto (unione contemporanea di più piani).
Dopo un’accurata ricerca di match-analysis su tantissime partite di alto ed altissimo livello, sono stati estrapolati un congruo numero di dribbling: ben 75, tutti descritti e filmati per rendere più comprensibile il gesto motorio in oggetto. La proposta esecutiva in oggetto tende, quindi, oltre che a rafforzare le attuali basi motorie presenti nell’allievo, anche a generare in lui una eterogeneità motoria con carattere prettamente universale: rafforzate le basi motorie ed ampliate le opzioni di dribbling, l’allievo deve continuare l’ascesa del proprio percorso formativo, liberando, peraltro, quella fantasia motoria che distingue un vero calciatore da un mediocre giocatore di calcio.
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