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---------------------------------------------- Premessa La mia passione, altrimenti definita professione, mi porta in giro per l'Italia. Ringrazio il Cielo ogni giorno per il tanto che mi è stato donato, sapendo tuttavia che è necessario discernere la gratificazione dal rischio stagnante dell'appagamento. Per fortuna, ho ancora addosso l'appetito quasi bulimico di un "vizio" bambino. Il sogno. E se qualcuno può scambiarlo per bieca ambizione, arrivismo, o immotivata e visionaria superbia non posso farci nulla. Desidero - e continuerò a desiderarlo con tutto me stesso - che certe esperienze non restino isolate, catalogate come un incontro più o meno casuale con la Buona Sorte. Momenti magnifici che nei ricordi diventano sovente subbuglio misto di realtà e fantasia. San Siro? È un esempio emblematico, che la mia indomabile determinazione immagina di rivivere con continuità. Poi, se tutto questo diventerà concretezza dell'esistere, posizionerò più in alto l'asticella... onirica. L'Europa? Perché no, niente è precluso al sogno. Potrò girare il mondo, ma avvertirò, sempre e dovunque, l'esigenza di tornare alle radici, a casa. Accade anche adesso di stare distanti, ma una trasferta non impedisce il viaggio del pensiero. Mi capita spessissimo di rivedermi lì, ragazzo con il mare davanti agli occhi, il pontile più lungo del mondo a camminargli dentro, e le ciminiere del Petrolchimico alle spalle, ipotetica medaglia dalle due facce. Da un lato, la promessa di sviluppo economico; dall'altro il consistente pericolo di avvelenare l'ambiente.
Sapevo che prima c'è il dovere poi il piacere e le mie trasgressioni alla regola avevano ogni volta il comune denominatore del calcio pomeridiano giocato per strada. Però studiavo, e mi piaceva farlo anche lì, da solo, negli spazi aperti davanti al mare. Rammento quella volta che "ripassai" la lezione di geografia del mattino. Paesi scandinavi, e avevo anche imparato che in cima al nord del mondo l'anno si divide più o meno a metà, sei mesi di luce e sei di buio costante. Pensai al Dio del catechismo, che in fondo è lo stesso di adesso. Colui che accompagna ogni gesto del mio quotidiano. E avrei voluto domandargli il criterio dell'abbinamento tra luoghi e persone ... Avevo la consapevolezza di appartenere ad una terra senza affinità con la fredda Scandinavia, con l'unica bizzarra eccezione costituita dal nome di "battesimo" della mia città: Gela. Sono nato dove l'inverno non è mai, dove sciarpa guanti e cappotto rappresentano una trascurabile premura dentro al guardaroba, dove si spazia con lo sguardo verso l'Africa, voltando le spalle alla patria, perché ci si sente un po' troppo in basso, dimenticati nel sottosuolo della cartina geografica italiana.
Mi domandavo già allora se questa condizione, di lontananza e povertà, fosse soltanto orgoglio atavico e tramandato, oppure una giustificabile diffidenza, spesso equivocata come vittimismo, negatività attribuita dagli "altri" alla gente del Sud. È possibile che chi nasce quaggiù possegga nel dna i geni di una maggiore caparbietà, di un carattere dalle salde fondamenta, costruito mattone dopo mattone attraverso le dure asperità da affrontare nel cammino di ogni giorno. Quanto tutto questo abbia influito su di me non è facilmente definibile, ma mi ostino a credere che la dose che pervade il mio sangue ne contenga in quantità considerevole. Avevo, comunque, più sogni di un vichingo, ed il valore aggiunto della fantasia, di solito inversamente proporzionale alle magagne della realtà. ---------------------------------------------- Parte Prima. Capiotolo 1 Le motivazioni e le sue teorie Quando si parla di Motivazione, nel lessico corrente, s’intende “ciò che induce l’individuo a compiere o tendere verso una determinata azione”; ma ancora meglio, è “il processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali” (Anolli e Lagrenzi, 2001). Se guardiamo dentro di noi invece, la motivazione è ciò che ci spinge ad alzarci al mattino e fare ciò che desideriamo. Molti sono gli studi, soprattutto degli anni ‘70, ‘80 e ‘90, che si sono orientati alla conoscenza dei processi motivazionali. Lo spunto da cui, però, dobbiamo partire è che prima di tutto l’allenatore e i giocatori sono Uomini, per cui le teorie forniranno solo uno spunto per capire un determinato comportamento o un punto di partenza e analisi. Mai si può prescindere dalla sensibilità degli Uomini in questione e dalla capacità dell’allenatore di saper “leggere” la comunicazione e la metacomunicazione. Una prima parte di queste teorie si occupa della motivazione alla partecipazione e all’abbandono sportivo, alla riuscita, alla competenza.
La motivazione alla partecipazione e all’abbandono sportivo. Capitolo 1.1. La partecipazione Partecipare alla vita di una squadra, di un gruppo, di uno spogliatoio non è un aspetto che riguarda soltanto gli atleti in giovane età. L’abbandono non deve essere inteso necessariamente dal punto di vista fisico, con un allontanamento di un membro del gruppo. Allontanarsi, mollare, scegliere di non far parte di un gruppo, si può anche quando si è professionisti. Anzi, quando un calciatore si autoesclude e sceglie di abbandonare i compagni, l’allenatore, la tifoseria, significa che vive una situazione di disagio e la sua presenza può risultare nociva al gruppo stesso. Perciò, l’argomento della partecipazione e dell’abbandono sportivo può certamente essere applicato anche ai professionisti e non soltanto ai bambini e ai dilettanti. Un allenatore non può non tenere conto che nella vita di un giocatore,i risultati dipendono da come egli stesso abbia costruito la propria scelta.
Partendo dal presupposto che lo sport è un’attività praticata proprio per libera scelta, bisogna poi ricordarsi che non tutti i calciatori possiedono la maturità, la cultura, la conoscenza di se stessi tali da rinnovare ogni giorno la decisione di essere giocatori e di appartenere al gruppo in cui si trovano. Inoltre, l’esperienza maturata nelle cinque stagioni alla guida del Trapani, ha rinforzato la personale convinzione che la motivazione più consistente da fornire ad un atleta, per rimanere fisicamente, emotivamente e mentalmente nel gruppo è far sì che conservi dentro di sé l’aspetto ludico del suo lavoro. Il calciatore sa di godere della fortuna di svolgere il lavoro che più avrebbe desiderato, ma ha necessità di percepire se stesso in un contesto in cui il gioco è un elemento essenziale. Per far bene il calciatore, come in tutte le attività professionali, è indispensabile “essere seri”, ma non “prendersi sul serio”. La trasmissione di questo concetto è responsabilità dell’allenatore e il percorso circolare che questo assioma deve compiere all’interno dello spogliatoio è un elemento fondamentale per la stessa esistenza del gruppo, per la capacità della squadra di saper rimanere compatta, di cercare la strada idonea per ottenere i suoi obiettivi. In realtà, negli ultimi cinque anni, il Trapani ha creato un gruppo solido in cui il processo di abbandono, in quei rari casi che è accaduto, è avvenuto in maniera quasi naturale. Cioè, la mancanza di sintonia con l’allenatore ha coinciso con l’assenza di empatia con la parte rimanente del gruppo.
1.2. La motivazione alla riuscita Il mantenimento di uno zoccolo duro del gruppo, composto da diversi calciatori, dalla serie D alla Serie B, è stato il frutto di una scelta precisa. Naturalmente molti di loro non erano consapevoli di avere le qualità per poter aspirare a giocare in una categoria così elevata. Al di là delle motivazioni che ognuno di loro possedeva, la chiave che ha consentito un adeguamento emotivo personale e del gruppo al progressivo innalzamento degli obiettivi, è stata un’opera di convincimento che passasse attraverso il senso di appartenenza alla squadra e la percezione che ognuno potesse ricevere dai compagni l’aiuto necessario: In campo e fuori dal campo. La squadra, quindi, come luogo e mezzo del miglioramento delle aspettative da se stessi.
Nel seguito di questo elaborato, quando verranno affrontate le mie personali leve motivazionali, si vedrà come questo meccanismo non sia esente da rischi. E’ proprio vero che “vincere aiuta a vincere”. Il Trapani degli ultimi cinque anni ha vinto moltissimo. Va tenuto conto del fatto, tuttavia, che in una fase di difficoltà della squadra in cui i risultati stentano ad essere costanti, bisogna avere la capacità di rigenerare il gruppo. Cambiare la forma della didattica può aiutare molto a restituire fiducia ai calciatori. Mai, però, abbassare l’obiettivo. In dettaglio, verrà descritto come dopo una fase di nove gare senza successi nell’ultimo campionato di Serie B, sia stato fondamentale inviare alla squadra due messaggi molto precisi: a) nessuno doveva mettere in dubbio la propria capacità e quella del gruppo di rapportarsi al campionato che stavamo disputando; b) ancora più importante era che ognuno avesse la dimensione esatta di quanto ogni compagno si stesse sacrificando per lui e per la squadra. Da lì è nata l’idea di una rivoluzione del piano di allenamento che verrà descritta in seguito. 1.3. La teoria della motivazione alla competenza Ai tradizionali rinforzi di cui gode ogni calciatore professionista – mass media, tifoseria, compensi, rapporti con la società – nell’esperienza di Trapani, con particolare riferimento alla stagione appena trascorsa, se n’è aggiunto un altro. Ogni calciatore sapeva che Trapani per la prima volta nella sua storia (iniziata nel 1905) disputava la Serie B. L’entusiasmo dell’ambiente e di quella parte del gruppo - in verità la più consistente - che non aveva mai giocato a questo livello, ha costituito un valore aggiunto da canalizzare opportunamente. Alla stessa maniera, l’inserimento di un nucleo di calciatori che aveva precedentemente maturato significativa esperienza nel torneo Cadetto, ha rappresentato un riferimento altrettanto essenziale. In sostanza, da un lato l’ottimismo e la sfrontatezza della gioventù hanno costituito dal primo giorno un’iniezione di entusiasmo supplementare per tutti quei compagni abituati alla Serie B; dall’altro, il “saper fare” di questi ultimi è stato un riferimento importante proprio per i più giovani e i più inesperti. Ognuno era responsabilizzato, ognuno sapeva quale fosse la sua competenza all’interno del gruppo. Ognuno era consapevole che dall’unione vincente di questi stati d’animo, emozioni e conoscenze, potesse venir fuori il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. La motivazione alla competenza è quindi un costrutto multidimensionale che considera le variazioni come l’essere efficace o competente in un compito particolare. 1.4. La teoria della valutazione cognitiva e la motivazione intrinseca ed estrinseca Ogni calciatore ricerca la motivazioni al di fuori di sé e al suo interno. Soprattutto quando la pressione mediatica diventa rilevante, la tendenza a considerare la “visibilità” come la principale motivazione, diventa prevalente. Invece, come in tutti gli uomini e gli atleti, anche il calciatore deve contare soprattutto su una motivazione intrinseca. Quella fondamentale è il piacere di giocare. Sono molteplici gli aspetti che possiamo tenere in considerazione. Il giocatore si chiama così perché “gioca” e il gioco costituisce la fonte primaria di motivazione dentro di sé. La questione sembra banale ma non lo è affatto: perché considerare il proprio lavoro un gioco, o se si preferisce il proprio gioco preferito un lavoro, è di per sé una contraddizione in termini quasi irrisolvibile. A meno che non si trovi in un ambiente che riesca fargli conservare lo spirito infantile del gioco. Un bambino, quando gioca, non lo fa di certo per altro motivo se non per quello di divertirsi. Tanto più il calciatore professionista riuscirà a trovare dentro di sé quel pezzo di infanzia che conserva come un patrimonio, tanto più la sua motivazione sarà efficace e costante. Le strategie dell’allenatore, quindi, non devono mai allontanarsi dalla consapevolezza di quanto per un calciatore sia importante che si diverta. Il Trapani ha costruito questo processo, individuale e di gruppo, sin dal primo giorno di ritiro precampionato. Direi, inoltre, che anche la condivisione della fatica può diventare una motivazione intrinseca del gruppo, se ben gestita.
E’ quando il gruppo si conosce e si cementa, quando inizia a frequentarsi con regolarità, che costruisce le regole non scritte della sua convivenza di una stagione. Lì, in quei giorni, nasce chiara la sensazione di quanto sia un divertimento stare insieme e giocare a calcio. Delle motivazioni estrinseche si potrebbe discettare all’infinito. Stampa, tifosi, ambiente, denaro, carriera e tutto il resto sono motivazioni che però non hanno il carattere della stabilità. Anzi, proprio per la loro stessa natura sono destinate a rivelarsi effimere. Perciò, dato che la gestione dei momenti felici è semplice, e può avvenire in linea di principio anche su base individuale, direi che la motivazione estrinseca più efficace è il senso di appartenenza al gruppo. E’ fondamentale che un calciatore, soprattutto se gioca raramente nelle gare di campionato, percepisca il suo pieno diritto ad essere considerato un membro funzionale dello spogliatoio: importante, fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi della squadra. Saper coltivare il senso di appartenenza del calciatore meno utilizzato consente l’ottenimento di due risultati importantissimi: il mantenimento di un’elevata qualità del lavoro settimanale e la possibilità di trovare pronto chiunque, in qualunque momento sia chiamato a giocare. Non è davvero poco: anzi, questo rischia di diventare un fattore capace di fare la differenza.
1.5. Il modello aspettative - Valori (Eccles) Rappresentare un’intera città. Far sì che il Trapani diventasse la squadra di Trapani, di tutti i trapanesi. Provare a diventare un modello per le giovani generazioni, per tutti quei ragazzi che guardano il Trapani come qualcosa da emulare. Questa è stata, è e sarà la nostra grande ambizione. Non tanto e non solo per una questione di risultati, quanto per rendere ancora più completa la professionalità di un gruppo che sente di voler creare un connubio con la sua gente. In una città in cui la serie B non c’era mai stata, ho percepito subito che il raggiungimento di questo traguardo fosse stata la realizzazione classica di un sogno incompiuto di una vita. Così, il tifoso trapanese, tradizionalmente polemico e poco paziente (così mi hanno spiegato) era nettamente spaccato in due categorie. I giovani che sono cresciuti con noi (chi, diciamo, cinque anni fa aveva fra i 7 e 15 anni) hanno paradossalmente imparato a seguire la squadra con maggiore comprensione di cosa stesse accadendo e di come il Trapani fosse un gruppo unito, disposto ad affrontare con vera solidarietà interna ogni avversità. Al contrario, i tifosi più anziani, resi probabilmente più scettici da una lunga serie di delusioni, hanno mostrato sempre un atteggiamento meno ottimista. Una realtà di cui mi sono accorto soprattutto andando in giro per le scuole, dove la nostra presenza raccoglieva sempre più proseliti fra gli alunni che fra gli insegnanti (anche se tifosi), spesso pervasi da uno stato d’animo tipicamente “arabeggiante”, al confine tra immobilismo e fatalismo.
Una cartina di tornasole, in cui non è stato difficile rendersi conto che stavamo, al tempo stesso, dando e ricevendo dalla città. Senza filtri particolari. L’Autore del modello aspettative – valori, a cui quanto detto si può rapportare, è Eccles (1983). Il suo modello, illustra le relazioni tra diversi elementi motivazionali e prestazione, definendo come nucleo di questo, le aspettative - nutrite circa la qualità delle prestazioni; e i valori - circa la desiderabilità di certi risultati o obiettivi. il contesto culturale influenza le aspettative, le credenze ed i comportamenti legati alla socializzazione. La socializzazione a sua volta, influenza gli obiettivi, le percezioni di sé e il ricordo delle emozioni associate all’apprendimento. Il ricordo interfaccia la relazione tra credenze sul compito e valore ad esso assegnato. Le credenze e i comportamenti legati alla socializzazione, a loro volta, sono influenzati dalle attribuzioni [ read more ]
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