L’esonero come momento di crescita per l’Allenatore di Calcio
Claudio RASTELLI
Premessa
Sono cresciuto con la passione per il gioco del calcio. Credo grazie soprattutto a quanto è riuscito a trasmettermi mio padre, prima vedendolo giocare e poi andando allo stadio con lui.
Ho iniziato a giocare in Parrocchia e ai giardini pubblici prima ancora che alla scuola calcio e la mia libertà di gioco si è potuta esprimere ai massimi livelli.
Questo aspetto l’ho sempre portato con me.
Ho fatto tutta la trafila del settore giovanile, arrivando a coronare il mio primo grande sogno: diventare un calciatore professionista.
Al termine del mio percorso di calcio giocato (dalla Lodigiani al Poggibonsi, passando per Siena, Venezia e Perugia) ho potuto coltivare un altro sogno: arrivare ad allenare ad alto livello.
Subito sembrava una scommessa, poi strada facendo si è trasformata in possibilità.
Così ho allenato squadre di settore giovanile (Siena), poi squadre dilettantistiche (Colligiana, Pontassieve e Mezzocorona) ed infine sono approdato nel mondo degli allenatori professionisti, iniziando ad assaporare il significato che può assumere il “fare campo” a certi livelli (Mezzocorona, Pergocrema, Feralpi Salò).
Per questo motivo quando ho saputo di essere stato ammesso al Master ho intravisto la possibilità di realizzare il mio sogno più grande e poter arrivare a lavorare in società importanti, a contatto con calciatori di primo livello.
In fondo, quello che sento di saper fare meglio è lo stare sul campo.
Prima da calciatore e poi da allenatore ho sempre sentito il “richiamo” del tappeto verde, la gioia che solo il lavorare all’aria aperta è in grado di offrire, mentre cerchi di trasmettere concetti calcistici a giovani vogliosi di apprendere o a giocatori evoluti che si vogliono perfezionare.
Facendo campo, mi sono innamorato del 4-3-3, che ben presto è diventato molto più di un modulo di gioco. E’ diventato un compagno con cui condividere successi e sconfitte, gioie e delusioni.
Un “amico” con cui confrontarmi nei momenti di difficoltà, per il quale ho forse trascurato le amicizie più vere e gli affetti più cari. Di fatto, una parte importante della mia vita è stata dedicata a “lui” e più in generale al calcio.
Un giorno, mentre allenavo una squadra di calcio ed attraversavo un momento difficile, nel quale le certezze si facevano sempre più flebili e le difficoltà parevano diventate montagne insormontabili, è arrivata una telefonata, dal direttore sportivo, che spiegava con dispiacere che:
“ la società aveva deciso di cambiare allenatore per provare a vedere se la situazione sportiva cambiava”
e mi comunicava freddamente che da quel momento ero ESONERATO.
Una situazione comune nel mondo del calcio, che avevo già vissuto in una mia precedente esperienza sempre tra i professionisti, anche se in condizioni completamente differenti.
Nel primo caso, infatti, all’esonero era seguito un periodo di stand by che poi mi aveva visto tornare su quella panchina e conquistare la salvezza con la squadra. Nel secondo, invece, lo “smacco” è stato decisamente più grosso, perché avevo vinto il campionato l’anno precedente con la stessa società, credevo di conoscere bene le persone e di essermi fatto conoscere, e pensavo d’istinto di meritare un po’ più di fiducia.
Invece l’esonero era arrivato dopo sole cinque giornate di campionato e la cosa mi portava a fare diverse considerazioni.
Nei giorni successivi ho ricevuto chiamate di conforto e di comprensione da giocatori, dirigenti, giornalisti, tifosi.
Mi sono sentito dire che probabilmente avevo fatto il massimo, che erano cose che capitano, che era giusto guardare avanti.
Sentivo il mio mondo, quello del quale mi ero innamorato fin da bambino, vicino, decisamente vicino in un momento così difficile.
Poi, con il passare dei giorni, delle settimane, quelle telefonate sono diventate sempre più diradate, fino a quando, ad un certo punto, sono sparite.
E mi sono ritrovato solo, con il mio 4-3-3 che non era più in grado, da solo, di darmi conforto.
Dopo lo sconforto iniziale, che mi dicono essere normale, le varie considerazioni che mi sono trovato a fare mi hanno portato ad un unico grande interrogativo:
perché sono stato esonerato?
E’ da questo interrogativo che è partito il percorso che mi ha portato a sviluppare questa tesi.
L’aver vissuto il fenomeno in prima persona, l’essere venuto a contatto con colleghi che una o più volte avevano vissuto situazioni simili, l’aver ascoltato relazioni al riguardo, l’aver semplicemente riflettuto su quanto accadutomi, mi ha fatto nascere la voglia di approfondire la tematica e soprattutto di capire se veramente si tratta di un “problema” per un allenatore di calcio.
La mia volontà è quella di spiegare, attraverso un ragionamento ed un percorso ben preciso, che l’esonero fa parte, volenti o nolenti, della vita sportiva di un allenatore e che, se analizzato e “preso” nel modo giusto, può addirittura diventare un momento di crescita umana e professionale.
Prima Parte
1. Cosa è un esonero.
Il dizionario della lingua italiana (sapere.it) riguardo al verbo “esonerare” recita testualmente:
“v.tr. [io eSònero ecc.; aus. avere] dispensare da un obbligo, da un onere; sollevare da un incarico: esonerare dal servizio militare, dalle tasse scolastiche; l’allenatore è stato esonerato."
Subire un esonero significa quindi essere esentato da qualcosa, nel caso dell’allenatore l’essere sollevato dall’incarico di guidare una squadra.
Non si tratta di un licenziamento, perché l’allenatore esonerato continua a percepire lo stipendio pattuito al momento della stipula del contratto.
Altra particolarità è che l’allenatore esonerato non può allenare in un’altra società fino al termine della stagione sportiva in essere. In caso di contratto pluriennale, per poter operare in un nuovo contesto deve rescindere l’impegno con la società d’origine (quella cioè che lo ha esonerato).
Solo in tal caso potrà ritenersi libero di accasarsi altrove.
Altrimenti, rimane a disposizione della società fino allo scadere del contratto, continuando ad essere retribuito e rimanendo a disposizione, nel caso in cui questa decidesse di richiamarlo.
“ l’esonero è un atto di viltà con la quale la società colpisce l’anello più debole del sistema distogliendo l’attenzione delle proprie mancanze e inefficienze ….. l’esonero è un fallimento. fallimento di un progetto che non si è voluto difendere.
Fallimento di una pianificazione cui non si è dato tempo di attuarsi.
Fallimento di un’idea in cui non si è voluto credere ( Frederic Massara)
2. Un fenomeno diffuso: panoramica degli esoneri dell’ultima stagione
sportiva
In serie A, durante l’ultima stagione sportiva (2011-2012), gli esoneri sono stati numerosi.
Inter: Gasperini (4a) - Ranieri (29a) - Stramaccioni
Bologna: Bisoli (6a) - Pioli
Cesena: Giampaolo (10a) - Arrigoni (24a) - Beretta
Fiorentina: Mihajlovic (11a) - Rossi (36a) – Guerini
Cagliari: Ficcadenti (11a) - Ballardini (27a) - Ficcadenti
Lecce: Di Francesco (14a) - Cosmi
Palermo: Mangia (16a) - Mutti
Parma: Colomba (17a) - Donadoni
Novara: Tesser (20a) - Mondonico (26a) - Tesser
Genoa: Malesani (16a) - Marino (30a) - Malesani (33a) – Decanio
Leggendo i seguenti dati balza all’occhio che le società che hanno cambiato allenatore sono state in totale 10 su 20.
Il che vuol dire che la metà non hanno avuto bisogno di cambiare (che non è un dato da sottovalutare).
Atalanta, Catania, Chievo, Juventus, Lazio, Milan, Napoli, Roma, Udinese e Siena non hanno cambiato, disputando comunque delle stagioni non sempre in linea con le aspettative più rosee (Atalanta, Catania, Chievo, Juventus, Udinese e Siena hanno centrato a pieno l’obiettivo; Lazio, Milan, Napoli lo hanno solo in parte raggiunto e la Roma lo ha mancato clamorosamente).
Certo, dall’altro lato va evidenziato come tutte le squadre che sono retrocesse (Cesena, Novara e Lecce) abbiano cambiato tecnico, e che le altre siano state comunque realtà che in momenti di crisi si erano troppo avvicinate alla zona calda della classifica, temendo il peggio.
Eccezione fanno l’Inter (che ha cambiato dopo sole quattro partite !!!) e in parte Palermo e Genoa, che hanno sostituito i rispettivi allenatori quando non erano poi in una situazione tanto delicata.
Ma cambiare ha fruttato?
Se è vero che il cinquanta per cento delle squadre non ha cambiato, quelle che invece l’hanno fatto molte volte non sono state soddisfatte della scelta.
Sei su dieci (anche se il caso di Firenze andrebbe trattato a parte), hanno comunque cambiato nuovamente nel corso delle giornate successive.
Almeno la metà di quelle che han cambiato, quindi hanno ricambiato.
Richiamando il tecnico precedente? Solo in tre casi (anche se il Genoa ha poi nuovamente cacciato Malesani, affidandosi a De Canio per il finale).
Quindi solo in due casi su dieci il tecnico esonerato è stato richiamato. Coerenza? Non proprio…
Vediamo qualche dato: Bologna e Inter hanno cambiato quasi subito (6a e 4a).
Con risultati opposti. Pioli, infatti, ha avuto un rendimento decisamente maggiore di quello di Bisoli (anche se risulta un po’ difficile statisticamente confrontare il dato relativo a sole sei partite con quello delle restanti trentadue), mentre tra i nerazzurri Ranieri (pur avendo ovviamente una media migliore di quella di Gasperini che era riferita alle sole prime quattro giornate), si è attestato a 1,54 punti a partita, che rispetto agli obiettivi societari erano decisamente pochi.
Ci ha pensato quindi Stramaccioni (promosso dalla Primavera), ad alzare la media nel finale, portandola a 1,89 a gara.
Per chi ha cambiato tra la decima e la ventesima (il periodo notoriamente più caldo), le cose non sono andate benissimo.
Il Cesena con tre allenatori non è mai andato sopra la media di un punto a partita, dimostrando una costanza da retrocessione.
E infatti è retrocesso. Il Cagliari ha lasciato Ficcadenti a 1,3 per chiamare Ballardini, che si è fermato a una media di 1, e quindi è stato “costretto” a richiamare il primo, riuscendo a salvarsi nel finale.
La Fiorentina ha sostituito Mihailovic a 1,33, chiamando Rossi che si è fermato a 1,15, sostituito poi nel finale dopo il fatto noto del pugno al proprio giocatore (esonerato per comportamento grave).
In ogni caso non avrebbe migliorato la media del suo predecessore.
Il Lecce ha cambiato Di Francesco (0,66), per Cosmi (1,12), ottenendo un miglioramento non sufficiente per ottenere la salvezza.
I casi più eclatanti sono di Genoa e Palermo.
I primi hanno esonerato Malesani con una media di 1,31, toccando poi con Marino lo 0,87 e vedendosi costretti a richiamare Malesani a giochi ormai compromessi (problemi ambientali compresi).
Infine di nuovo via Malesani e panchina a De Canio che ha centrato all’ultimo un’agognata salvezza. Il Palermo, invece, ha allontanato Mangia con una media di 1,33 per affidarsi a Mutti, che ha chiuso a 1 un anonimo campionato.
Infine il Parma è passato dall’1,11 di Colomba al 1,76 di Donadoni, risollevandosi da una classifica che iniziava a farsi preoccupante a dicembre, mentre il Novara ha provato la carta Mondonico alla ventesima, non riuscendo comunque a migliorare sensibilmente la media punti di Tesser (entrambi nettamente sotto il punto a partita) e quindi retrocedendo.
A questi dati andrebbero affiancati quelli del rendimento dei tecnici che non sono stati esonerati, nel corso della stagione, nei momenti critici attraversati alla guida della loro squadra.
Ad esempio: quando alla quarta giornata l’Inter ha esonerato Gasperini (aveva un punto in classifica), il Milan ne aveva due.
Non esistono elementi per poter fare confronti, resta il fatto che il Milan ha poi conteso lo scudetto alla Juventus fino alla fine del campionato, classificandosi al secondo posto.
Quando alla sedicesima giornata Palermo e Genoa hanno deciso di cambiare, avevano rispettivamente 20 e 21 punti.
La squadra di Malesani era cioè al sesto posto a pari punti con il Napoli e quella di Mangia al nono davanti a Chievo e Roma.
Hanno poi chiuso al 16° e 17° posto, salvandosi nel finale.
Lo stesso si può dire per la Serie B.
Albinoleffe: Fortunato (23 a) – Salvioni (34a) - Pala
Varese: Carbone (7a) - Maran
Empoli: Aglietti (7a) - Pillon (16a) - Carboni (27a) – Aglietti
Vicenza: Baldini (8a) – Cagni (29a) – Beghetto (37a) - Cagni
Gubbio: Pecchia (10a) – Simoni (31a) - Alessandrini (33a) - Apolloni
Grosseto: Ugolotti (12a) – Giannini (18a) – Viviani (24a) – Ugolotti (40a) - Statuto
Ascoli: Castori (12a) - Silva
9
Sampdoria: Atzori (14a) - Iachini
Modena: Bergodi (15a) - Cuttone (26a) – Bergodi
Brescia: Scienza (19a) - Calori
Livorno: Novellino (20a) – Madonna (39a) – Perotti
Crotone: Menichini (23a) – Drago
Nocerina: Auteri (21a) – Campilongo (23a) – Auteri
Reggina: Breda (21a) – Gregucci (35a) – Breda
14 squadre su 22 hanno cambiato tecnico, una media leggermente superiore a quella della serie A, giustificata forse dal fatto che il campionato di B è leggermente più “vivace”, avendo cinque squadre coinvolte nella lotta per non retrocedere (rispetto alle tre della A) e ben sei squadre che possono salire.
E’ comunque giusto ricordare che Bari, Pescara, Torino, Sassuolo, Verona, Padova, Juve Stabia, Cittadella non hanno cambiato tecnico, pur inseguendo obiettivi differenti. Pescara e Torino sono salite in A dando fiducia al tecnico che avevano scelto d’estate, nonostante entrambe non siano mai state effettivamente in “fuga” rispetto alle altre.
Verona e Sassuolo sono arrivate ai play off senza cambiare tecnico, mentre il Padova, un po’ come la Roma in serie A, ha fallito i propri obiettivi pur dando continuità al lavoro tecnico e chiudendo la stagione con Dal Canto in panchina. Importanti inoltre le salvezze di Bari, Cittadella e Juve Stabia.
Ma come è andata la media punti in B?
E’ valsa la pena esonerare “così tanto”?
L’Albinoleffe è andato sempre in peggio, accantonando frettolosamente la media di 1 di Fortunato, per poi affidarsi prima allo 0,18 di Salvioni e poi allo 0,57 di Pala.
Reggina e Nocerina si sono viste costrette a ritornare sui loro passi, richiamando i tecnici originari che avevano mantenuto medie punte maggiori dei loro successori. Modena e Livorno hanno di fatto cambiato senza ottenere il cambio di marcia sperato (medie punti simili o identiche ai predecessori) mentre Ascoli, Brescia, Crotone, Sampdoria e Varese hanno cambiato in meglio.
Capitoli a parte meritano le citazioni di Grosseto (ben cinque avvicendamenti), Gubbio, Empoli e Vicenza (quattro avvicendamenti), che hanno vissuto stagioni travagliate dove la media punti poco ha inciso sulle scelte, molto più dettate dal momento.
Anche in B, comunque, le quattro retrocesse hanno cambiato, così come è avvenuto in A.
Confrontando i due campionati balzano all’occhio gli esempi di Roma e Padova, due realtà partite per fare un campionato di medio alta classifica, che hanno mancato gli obiettivi ma hanno dato fiducia fino alla fine al loro tecnico.
E parallelamente di Siena e Cittadella, che pur essendo state a rischio per gran parte della stagione, hanno permesso a Sannino e Foscarini di chiudere il progetto tattico intrapreso all’inizio, centrando la salvezza.
In B, come in A, si evidenzia il grande caos di chi sta in fondo alla classifica e non “accetta” l’idea di retrocedere, finendo spesso con il fare cambi continui in panchina, senza cambiare il trend della squadra.
In alcuni campionati esteri…
Nella Premier League inglese, nel corso di questa stagione, gli allenatori esonerati sono stati solamente cinque ed hanno riguardato le squadre del Sunderland, del Chelsea, dell’Aston Villa, del Liverpool e del Wolverhampton, mentre nella Ligue 1 francese (Evian, Nizza 2, Brest, Auxerre, Sochaux e il Paris Saint Germain ingaggiando Carlo Ancelotti).
Cinque società su venti hanno deciso di esonerare il tecnico.
In Liga Spagnola gli esoneri sono stati alcuni in più (Mallorca, Racing Santander, Villareal 2, Atletico Madrid, Saragozza, Sporting Gijon, Granada e Siviglia). Otto su venti, un dato che conferma forse la tendenza più “mediterranea” a cambiare tecnico rispetto al nord Europa, ma che rimane nettamente sotto media rispetto all’Italia.
In Bundesliga, infine le società a cambiare sono state sei su diciotto. (Amburgo, Shalke 04, Herta Berlino 2, Hoffenheim, Kaiserslautern e Bayer Leverkusen).
1. ITALIA 50%
2. SPAGNA 40%
3. GERMANIA 30%
4. FRANCIA E INGHILTERRA 25%
L’esonero non è quindi un fenomeno solo italiano, ma è forse insito nell’essenza del calcio stesso, inteso come sistema e non come gioco.
Resta il fatto che nel nostro Paese si esonera con molta più facilità che nelle realtà limitrofe.
Le percentuali di esoneri nei campionati italiani sono confermate anche da un indagine rielaborata da Frederic Massara del Centro Tecinco FIGC negli anni che vanno dal campionato 2005/06 al campionato 2009/10
Seconda Parte
3.
Perche’ una societa’ decide di esonerare.
Ma se i dati sono questi e l’Italia dimostra di essere tra le realtà che esonerano di più, si dovrebbe chiedersi innanzitutto quanto convenga un esonero e poi quali siano le cause che portano le società a compiere tale scelta.
Dai dati emerge che non è provato che cambiare allenatore paghi. Anzi. In molti casi il cambio non produce miglioramenti, in altri fa peggiorare le cose costringendo la società a tornare sui propri passi.
E’ giusto anche sottolineare come in talune situazioni il cambio si riveli azzeccato e la squadra riesca a cambiare marcia.
Un aspetto che non emerge dai dati mostrati e che assume però grande rilevanza è quello dell’influenza del mercato di riparazione.
Cioè: di quanto è cambiata la squadra che si rivela migliorata dal cambio di gestione tecnica durante la sessione di mercato invernale?
Questo dovrebbe far riflettere soprattutto su un aspetto: non è solo l’allenatore a determinare il rendimento di una squadra e quindi il risultato finale.
Molti dicono che un allenatore incida parecchio, altri poco. Di sicuro non è l’unico artefice di un successo o l’unico colpevole di un fallimento.
Il fatto che le società che retrocedono ( e che quindi probabilmente hanno svariati problemi, non solo quello del tecnico, magari con un parco giocatori non all’altezza o operazioni di mercato effettuate infelicemente) cambino tutte guida tecnica, spesso più volte, lascia intravedere che non vi deve essere grande chiarezza nell’ambiente calcistico in generale.
Ma se esonerare non è detto che porti a miglioramenti, perché farlo?
1) Perché non si possono cambiare tutti i giocatori e quindi se ci sono problemi è giusto tentare con il cambio della guida tecnica.
2) Perché se è vero che la gestione sportiva spetta al direttore sportivo e lui raramente dichiarerà di aver sbagliato tutto (cioè giocatori in sede di campagna acquisti), sarà proprio questi a decidere di cambiare tecnico per dimostrare che il parco giocatori era adeguato.
3) Perché tante volte una scossa a livello psicologico può fare la differenza, pur nella consapevolezza che non si possono far miracoli e che i giocatori “son quelli”.
4) Perché nonostante la consapevolezza che gli errori siano di molti, la piazza (giornalisti, tifosi) spinge e la società non ha voglia di tirarsela contro.
Si potrebbero citare molte altre motivazioni, più o meno valide. Resta il fatto che molto spesso l’allenatore diventa il capro espiatorio in un momento difficile.
Ci sono però anche casi in cui sono i rapporti umani a deteriorarsi, nonostante magari i risultati non siano del tutto negativi.
Problemi di convivenza tra presidente e allenatore, tra direttore sportivo e allenatore, tra allenatore e spogliatoio o staff tecnico… Situazioni che inducono la proprietà a cambiare.
Altro problema può essere quello della condivisione dei programmi societari.
Questi dovrebbero essere avallati dall’allenatore ancor prima della stagione, ma può capitare che questi “cambi idea in corsa”, perché magari si trova in posizioni di classifica inaspettate e decida di anteporre il proprio interesse a quello della società, oppure che siano i programmi a cambiare, per cambio di gestione societaria (entra un nuovo presidente) o variazioni importanti di budget che inducano le componenti a cambiare obiettivi.
Le cause che possono portare all’esonero possono quindi essere:
- Risultati deludenti
- Deterioramento dei rapporti con lo staff-tecnico
- Deterioramento dei rapporti con lo spogliatoio
- Deterioramento dei rapporti con il direttore sportivo
- Deterioramento dei rapporti con la
proprietà
-
Deterioramento dei rapporti con i giornalisti
- Deterioramento dei rapporti con la tifoseria
- Cambio di programmi societari “in corsa”
- Comportamenti gravi da parte dell’allenatore
-
4) Analogie e differenze con il
mondo del lavoro
L’allenatore professionista, come dice la parola stessa, è un lavoratore.
E’ una persona, cioè, che si guadagna da vivere allenando.
L’allenare è in tal caso vista quindi come una vera e propria professione, con oneri e onori, tanto quanto il coltivare, il saldare, il cucinare. Certo, ognuna di queste azioni, in realtà, potrebbe esistere in natura differente, in ambito cioè non professionistico, ma dilettantistico o amatoriale.
Uno chef d’alto livello percepisce una parcella o uno stipendio importanti per le sue prestazioni.
Un amante della cucina può essere comunque molto bravo a cucinare, seppur lo faccia solo il venerdì sera per gli amici.
L’azione è la medesima, il contesto completamente diverso.
Allo stesso modo si può allenare per passione, la squadra dei bambini del proprio paese, o si può allenare a livello professionistico in ambito nazionale, internazionale o mondiale, percependo anche stipendi importanti (milioni di euro).
Il contesto nel quale si esercita l’azione non ne cambia la dignità. Allenare, come coltivare o cucinare, sono azioni umane che meritano rispetto e considerazione indipendentemente dal “livello”.
Esiste però una differenza di fondo, da non trascurare: chiunque è pronto ad ammettere di non saper cucinare e chiunque sa riconoscere l’abilità di un bravo chef.
n ambito calcistico, invece, è più difficile che una persona, pur operante in altri ambiti (giornalista, tifoso, presidente…) rispetti il ruolo dell’allenatore.
E non sempre è in grado di riconoscerne le doti. Questo crea ovviamente una grande confusione, rendendo ancor più precario un ruolo, un lavoro, che già porta con sé elementi di instabilità.
L’allenatore professionista può essere solo un lavoratore dipendente.
Non esiste parcella, non è un libero professionista.
Che percepisca poche migliaia di euro mensili o milioni di euro all’anno, dal punto di vista contrattuale rimane un dipendente.
Si tratta di una condizione particolarissima, perché una volta sottoscritto il contratto, esclusi casi eccezionali, l’allenatore si lega alla società in maniera molto solida. Un legame che di fatto lo vincola ad assicurare solo alla medesima le proprie prestazioni, fino alla scadenza.
Egli non è libero, però, di rescindere a stagione in corso e spostarsi ad allenare in un’altra realtà nazionale.
E la società può decidere di sollevarlo dall’incarico, pur continuando a pagarlo, impedendogli di fatto di esercitare.
E’ il caso dell’esonero, abbastanza unico nel mondo del lavoro (non si può nemmeno paragonare alla cassa integrazione, perché l’allenatore percepisce per intero lo stipendio pattuito).
Questa particolarità, seppur porti con sé dei vantaggi (dal punto di vista economico), in realtà è una mina vagante, perché rischia di intaccare l’immagine, nonché la dignità professionale dell’allenatore stesso.
Questi, in pratica, potrebbe percepire comunque regolarmente uno stipendio ma, nel corso degli anni, vedere indebolire la propria immagine sul mercato, senza poter di fatto intervenire più di tanto per invertire tale processo.
Un cuoco vuole essere pagato in quanto cuoco, perché cucina.
Sarebbe un “offesa” enorme vedersi esonerato, pagato ugualmente, ma vedere cucinare un altro collega la cena che tanto aveva preparato.
In questo panorama, quella dell’allenatore professionista diventa una figura in balia del proprio datore di lavoro, che ne può decidere le sorti.
Essendo però che raramente il datore di lavoro ha la capacità, nonché l’umiltà per riconoscere e definire la professione altrui (il presidente tanto quanto il fruttivendolo è convinto di capire di calcio), ecco che quella dell’allenatore diventa una figura attaccabile, vulnerabile. Una figura che non sempre è in grado di decidere da sola il proprio destino.
Sapersi districare in questo contesto professionale, capendone le dinamiche, diventa forse la qualità più importante per un allenatore al giorno d’oggi. Ancor più che saper incidere sulla crescita tecnica o tattica di una squadra.
5) Interviste ad Allenatori
esonerati
Quali sono state, a suo avviso, le cause dell’esonero?
Graziani (Mantova, Seconda Divisione) -
Il deterioramento del rapporto con la dirigenza (sono subentrati nuovi soci), sommato ad un rendimento che secondo loro non era all’altezza delle aspettative (2 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta).
A mio avviso i dirigenti hanno peccato un po’ di presunzione, pensando che tutto fosse dovuto per il solo fatto di chiamarsi Mantova, che tornare nei professionisti fosse tutto sommato semplice.
Pecchia (Gubbio, Serie B) –
Il deterioramento dei rapporti con la dirigenza e con lo staff tecnico più che il rendimento della squadra.
Ho gestito infatti quattro sconfitte di fila, per poi inanellare una serie positiva importante.
Sono però stato esonerato alla prima successiva sconfitta, quasi la società non aspettasse altro.
Di fatto il “fuori campo” ha inciso molto di più del campo.
La società non era contenta del mio lavoro e soprattutto del modo che avevo di gestire il gruppo.
Inoltre la sintonia con il DS è mancata.
Non condividevo il modo con il quale ha costruito la squadra e quello con cui gestiva le varie situazioni durante la stagione.
Mangia (Palermo, Serie A) –
Non sono mai stato esonerato dopo
risultati particolarmente negativi.
Le cause vanno ricercate soprattutto
nelle difficoltà ambientali.
Nel primo caso la società aveva
grossi problemi finanziari, che l’anno seguente l’hanno portata a non
iscriversi al campionato.
I giocatori, molto giovani, si sono
trovati ad affrontare una situazione difficile alla quale non erano
abituati e credo che questo abbia tolto loro molte energie mentali. In
quelle condizioni è più facile che sfugga di mano la gestione dello
spogliatoio, magari il rapporto con alcuni singoli.
Piccole gocce, che lasciate scorrere
senza intervenire si possono poi rivelare letali. Nel secondo caso ho
notato un’incapacità generale di gestire la sconfitta.
L’abbandono del DS, con il quale avevo un
ottimo feeling, mi ha di fatto esposto a una situazione ambientale molto
difficile.
Zaini (Grottammare, Eccellenza) –
C’è stato un episodio singolo, che però non può giustificare una scelta simile.
Dopo la gara di Senigallia il presidente mi ha rimproverato di non aver effettuato tutti e tre i cambi e di non aver fatto entrare nemmeno un giovane.
E’ vero, ma ritenevo giusto non esporre i giovani in una gara ormai compromessa.
In generale diciamo che c’è stata una visione diversa del
17
concetto di “valorizzazione” del proprio vivaio.
Mi si accusa di non aver fatto fare molti minuti ai giovani ma io dico che questi vanno aiutati a crescere, con i lavoro, vanno inseriti gradatamente senza bruciarli e soprattutto va insegnato loro che nulla è dovuto e tutto va conquistato.
Di sicuro, comunque, c’è stata una grossa incomprensione tra il sottoscritto e la dirigenza su quelli che erano gli obiettivi stagionali.
Papadopulo – Gli allenatori vengono esonerati perché le dirigenze non hanno pazienza.
Il motivo principale, nella mia ultima esperienza a Bologna, è stato il cattivo rapporto con il Ds, Salvatori.
Donadoni (Cagliari, Serie A)
- A tutt'oggi non ho ancora capito il motivo per cui la mia avventura a
Cagliari è finita.
Anche perché non ho più avuto modo di
parlare con Cellino e ho ricevuto comunicazioni solo dal dg Marroccu. E’ evidente che si è trattato di una scelta personale del presidente.
Gregucci (Reggina, Serie B) – Penso che il mio sia stato un esonero "ideologico" e che sarei andato via anche se il Crotone non avesse pareggiato nel recupero.
C'è mancata un po’ di fortuna, nessuno ci ha messo sotto. Ci sono professionalità valutate dai risultati, ci sono allenatori che arrivano e due mesi dopo vanno via.
Il calcio italiano è in recessione di idee e di personalità, anche perché purtroppo "palo-fuori" sei un pirla, "palo dentro" non lo sei più.
Non posso credere a questo calcio.
De Patre (Giulianova, Seconda Divisione) – E’ semplice: il presidente mi ha spiegato che avrebbe dovuto mandarmi via dopo la gara L’Aquila-Giulianova perché delle “persone” avevano portato denaro fresco e che queste “persone” avevano pagato parte degli stipendi e le trasferte. “Persone” che volevano il cambio dell’allenatore.
Cuttone (Modena, Serie B) – E’ evidente che si è trattato di un esonero anomalo.
Al di là di quel che è successo sul campo e fuori, ho subito un vero e proprio attacco mediatico e l’operazione per arrivare al mio esonero è stata manovrata per cercare di destabilizzare tutto.
Prima del famoso ammutinamento dei giocatori, i risultati erano dalla mia parte.
Io non ho mai saputo nulla del cattivo rapporto tra me e alcuni giocatori, nessuno me l’ha detto in faccia.
Stringara (Foggia, Prima Divisione) –
Questo è l’anno in cui credo veramente di aver lavorato meglio da quando
alleno. Non mi so spiegare le ragioni dell’esonero.
Morgia –
Una volta sono stato esonerato perché é subentrata un altra proprietà e
facendo delle dichiarazioni di palese distacco ne ha pagato le
conseguenze, mentre in un secondo caso credo che il motivo sia stato
quello di essermi esposto per difendere i giocatori dagli attacchi dei
tifosi.
E in certe piazze non puoi permettertelo.
Cosa cambierebbe nel suo comportamento per prevenire l’esonero?
Graziani -
Sono convinto di aver fatto bene ad oppormi ai tentativi di
intromissione nelle scelte tecniche da parte dei nuovi soci.
Penso sia alla base di un rapporto
realmente professionale, che preveda un rigoroso rispetto dei ruoli.
L’errore che ho commesso è semmai stato
un altro: quando si vince si deve cambiare società, se non di fronte ad
un progetto serio condiviso con i dirigenti.
Pecchia – Cercherei un approccio diverso con la dirigenza (DS, team manager ecc.), dove forse sono stato troppo morbido, affidandomi a loro, delegando la gestione di situazioni, pur non cedendo mai nella difesa delle mie idee tecniche.
Inoltre cercherei di entrare più in sintonia con lo staff tecnico (che era della società).
Mangia –
Di sicuro dal primo esonero ho capito quanto sia importante affrontare
le situazioni, non tenersi dentro le cose, parlare con i diretti
interessati.
Questo in parte vale anche nel secondo
esonero, dove dovevo impedire che certe azioni destabilizzanti
arrivassero allo spogliatoio.
Zaini –
Io sono convinto di aver fatto un buon lavoro e di aver aiutato i
giovani a crescere come ritengo sia giusto fare.
Ho portato il Grottammare ad essere la vera rivelazione di questo campionato e onestamente mi aspettavo un atteggiamento differente da parte della dirigenza.
Onestamente non credo cambierei alcunché …
Papadopulo – Il tempo mi darà molte risposte …
Donadoni –
Nel mio caso è davvero difficile rispondere. Non avendo capito l’esonero
è altrettanto difficile dire cosa cambierei.
Diciamo che mi ero fatto un idea del
presidente dall’esterno che poi non è corrisposta al vero, una volta
vissuta da dentro la situazione.
Gregucci - Ho commesso degli errori, visti alcuni isterismi palesati dalla mia formazione.
La squadra era piatta, ma dopo, forse, dovevamo essere più disciplinati.
Alcuni errori li commettevamo per questioni strutturali, ma, soprattutto in difesa, si tratta di questioni che riguardano l'intero movimento nazionale e che si riferiscono anche alle capacità di insegnamento degli allenatori.
De Patre – La situazione parla da sola … Avrei meritato e accettato l’esonero (non per motivi tecnici) cinque mesi prima, quando ho avuto grosse divergenze con il presidente, attaccandolo pesantemente, sui giornali, alla radio e in tv. In questo caso però … E’ difficile da mandar giù.
Cuttone – Mah … ho sempre lavorato con serietà e professionalità e i risultati stavano arrivando.
Nel calcio questa anomalia di un esonero come il mio mancava. E’ capitato a me …
Stringara – Se penso che sia stato il mio anno migliore, di fatto non posso dire che cambierei qualcosa …
Morgia –
Un allenatore non può lasciarsi influenzare da quelle che potrebbero
essere le conseguenze di ogni sua azione ma deve lavorare con coerenza
con le proprie idee, sia nel rapporto con la squadra, sia in quello con
tutte le componenti che la circondano. Altrimenti finisce che non lavori
più …
Un allenatore che pensa a come evitare l
esonero è un allenatore che perde di vista quello che è il suo
obbiettivo!
Dalle interviste emerge come non sempre un allenatore abbia chiaro il motivo dell’esonero e che soprattutto quasi mai riesce a fare un autocritica vera, cercando di capire come avrebbe potuto prevenire la situazione. Certo, questo è quanto è stato dichiarato.
Probabilmente, nel proprio animo, ognuno avrà tirato delle conclusioni anche diverse.
Resta evidente come però risulti
particolarmente difficile riconoscere propri errori, anche di fronte a
situazioni di classifica non certo rosee, o a rapporti con la dirigenza
chiaramente deteriorati
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L’esonero come momento di crescita per l’Allenatore di Calcio:
Premessa
1. Cosa è un esonero
2. Un fenomeno diffuso: panoramica degli esoneri dell’ultima stagione
sportiva
3. Perche’ una societa’ decide di esonerare
4) Analogie e differenze con il
mondo del lavoro
5) Interviste ad Allenatori
esonerati
6. Come dovrebbe comportarsi un allenatore per analizzare le cause nel post - esonero
7. Cosa può fare un Allenatore per
prevenire
8. L’esonero come “compagno di viaggio” nel percorso di un allenatore
9. Da "dramma a "stimolo"
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