Preparazione Fisica | Organizzazione TATTICA | Luca BELLINI
Non e’ (solamente) questione di Metodo
Riflessioni personali a margine del libro “Questione di Metodo”
Dopo avere sentito
parlare lungamente,
troppo lungamente, della
periodizzazione tattica
e della
“rivoluzionarietà” di
questa metodologia ho
deciso di avvicinarmi,
con un colpevole ritardo
ai testi che la
trattassero come
argomento, se non altro
per fami un’idea più
specifica in merito.
Chiedendo ai
conoscitori, o presunti
tali, da quale fonte
dovessi iniziare questo
mio percorso, la
risposta è stata
unanime: “Questione di
Metodo”. Premesso che ai
tempi del mio corso
U.E.F.A. – B , ero già
stato allertato da un
docente del corso,
riguardo la
“singolarità” dei
contenuti di questo
libro e della
metodologia del tecnico
portoghese, suo malgrado
“protagonista” del testo
stesso, un po’ per
scetticismo e un po’ per
presunzione non avevo
dato peso a quelle
parole … Col “senno di
poi” è stato un errore
perché reperire il libro
per poterlo leggere è
stato difficile, anzi
difficilissimo. Mi è
toccato per necessità
partire da un altro
testo, su cui molti
conoscitori della
Periodizzazione
Tattica si sono già
espressi in modo
negativo: “Un Nuovo
Metodo -‐ La
periodizzazione Tattica”
di M. Tossani.
Probabilmente le mie
riflessioni, anzi
sicuramente le mie
riflessioni, saranno
reputate, oltre che
errate, superficiali e
incomplete perché
viziate, dalla lettura
di solamente 2 testi
riguardanti l’argomento,
di cui uno già criticato
(probabilmente a ragion
veduta) nella sostanza.
Non solo, mi rendo anche
conto che io, che sono
un normale allenatore di
base non possiedo le
competenze per potere
mettere in dubbio le
basi della metodologia
scelta da uno degli
allenatori più vincenti
attualmente in attività
e probabilmente della
storia, per cui nella
migliore delle ipotesi
potrei apparire
presuntuoso. Ma il punto
è che io non voglio
assolutamente criticare
l’idea o la filosofia
che sta alla base della
“PT”, ma semmai
riflettere su come
questa idea venga
presentata in un libro
che, a quanto ho avuto
modo di appurare, ha
folgorato più di un
collega durante e dopo
al sua lettura.
Premetto, che resta una
lettura interessante che
consiglierei a un
collega, non solo, forse
la inserirei anche nei
“must” di una biblioteca
personale di un
allenatore che si
voglia, almeno, sentirsi
tale. Trovo infatti che
sia significativo come
in tutto il testo si
ponga l’accento
sull’organizzazione del
gioco e sul modello di
gioco, spiegandone per
filo e per segno cosa si
intenda, secondo la
logica di Mourinho e
quindi di chi applica la
PT. Il punto è che
leggendo il testo non ho
trovato nulla di così
nuovo. Sarà che il testo
ormai risulta datato (10
anni se non vado
errato), e quindi io in
qualche modo sono già
influenzato da un modo
“alternativo” o “più
moderno” di concepire
l’allenamento nel gioco
del calcio. Non saprei,
però credo che se ancora
qualcuno allenasse il
calciatore con
metodologie che ignorano
del tutto il modello
prestativo dello stesso,
o addirittura vanno in
senso contrario, allora
forse ha sbagliato
mestiere perché in
questo caso non sarebbe
un’idea diversa, o una
filosofia alternativa,
ma una modalità di
lavoro che è ampiamente
dimostrato non può
produrre, risultati
ottimali (per un dato
gruppo di calciatori)
non tanto nel breve (il
risultato nei 90’ può
essere casuale), quanto
nel lungo periodo.
Leggendo la prima parte
del testo ho trovato
singolare per non dire
furbo, per usare un
eufemismo, mettere a
paragone la PT con
scelte metodologiche che
sebbene attuate da
Tecnici e Preparatori di
alto, per non dire
altissimo, livello
presentassero grosse
incongruenze con quello
che è il concetto
moderno, e doveva
esserlo, credo, già
allora, di allenamento
del gioco del calcio.
Capisco che la scelta
possa essere stata fatta
per invogliare il
lettore, probabilmente
un tecnico, o aspirante
tale, a dare credito
alla lettura, facendo
leva sul suo passato da
calciatore o presente da
tecnico, evocando
ricordi di lavori
massacranti sulle lunghe
distanze, nel primo
caso, o frizioni sulla
gestione del tempo a
disposizione con il
preparatore atletico,
nel secondo. Quello che
in molti non sanno, ma
dovrebbero sapere, a mio
modestissimo parere, è
che prima di criticare
qualcosa bisognerebbe
conoscerla. Chi ha
scritto il testo e il
protagonista, attraverso
la sua metodologia, del
testo stesso, sono
persone che dato il loro
bagaglio di studi (sono
poi la stessa cosa)
partenza, per
comprendere perché certe
metodiche, al netto
della PT, di per se,
sono già inadeguate al
gioco del calcio, quindi
la valutazione che ne
consegue potrebbe essere
di per se “viziata”. Nel
testo ho trovato
un'altra grossa
mancanza, almeno sempre
secondo la mia critica
(e presuntuosa analisi).
Mi è parso che nel
presentare i principi
metodologici non sia
stato indicato nulla di
più (e non che sia poco)
che i 3 criteri con cui
si debbono classificare
gli allenamenti, ovvero
velocità, regime di
contrazione e carico
cognitivo, lasciando di
fatto tutto in una
“pericolosa
indeterminatezza”.
Sorvolando sul fatto che
il carico cognitivo sia
difficilmente
quantificabile, in
termini concretamente
misurabili, e quindi
certo, e sebbene si
possa accettare che
“l’occhiometro” di un
allenatore sappia
distinguere un esercizio
impegnativo da uno no,
non identificare
minimamente, nemmeno in
modo indicativo,
parametri relativi a
definire un
esercitazione piuttosto
che un’altra ad alto o
basso regime di velocità
e/o di contrazione, mi
ha creato qualche
preoccupazione. Un altro
aspetto che ho trovato
nella migliore delle
ipotesi “provocatorio” è
stato il modo in cui
riportando un
virgolettato dei
Mourinho si afferma che
i test fisici, o di
“valutazione” sono
totalmente inutili. Se
si parte dal principio
secondo cui questi non
possono, in effetti,
fornire indicazioni
realmente utili al
determinare con un
margine sufficiente di
sicurezza la positività
o meno della prestazione
della squadra, allora il
discorso, seppur
provocatorio, regge, ma
il punto è che nel
momento in cui si
presenta una metodologia
di programmazione
dell’allenamento, e si
nega, di fatto (perché
definire i test
“inutili” questo è),
l’utilità di verificare
le condizioni di
partenza, di evoluzione
e di uscita, di un
gruppo a seguito di un
lavoro, si commette un
errore concettuale dal
punto di vista
didattico. Infatti, una
programmazione di un
attività che ha come
scopo ultimo
l’apprendimento, deve
prevedere dei momenti di
verifica che non possono
essere ridotti alle sole
partite e ai soli
risultati delle partite
stesse. Certamente i
dati relativi ai
risultati e ai “numeri”
delle partite sono e
restano indicatori di
prim’ordine, ma non
possono sancire la
validità assoluta di una
metodologia. Ancora una
volta il rischio di
lasciare la qualità
della proposta in
un’assoluta
intangibilità è
quantomeno una scelta
rischiosa per chi magari
si approccia per la
prima volta a una
metodologia nuova che
non ha nulla in comune
con le altre.
Continuando nella
lettura, a sostegno
della PT vengono
riportati dati relativi
al numero di partite
giocate dalle squadre di
Mourinho in un
determinato periodo
della stagione. Non so
se sia un errore degli
autori o un errore da
parte mia, ma ad aprile
in una sola occasione le
squadre allenate dal
tecnico portoghese
avevano superato quota
50 partite. Non che
cambi il succo del
discorso, perché è
chiaro che si vuole
esprimere un concetto
sul rapporto tra fatica
e recupero, però essendo
uno dei pochi dati
realmente verificabili
presenti nel libro, su
cui si fonda una
riflessione, mi sarei
aspettato una maggiore
precisione anche perché
essendo già dubbioso in
merito ad altre
questioni, una simile
scelta non fa altro che
aumentare la mia
diffidenza verso la
solidità inattaccabile
(cosi come viene
presentata) delle basi
su cui poggia la PT.
Oltre a quest’ultima
riflessione, che a dire
il vero è forse la meno
importante, alcuni altri
aspetti ha attirato la
mai attenzione. Li
considero però aspetti
del tutto secondari
perché la valutazione e
il ragionamento che ne
sono scaturiti partono
più da idee che da
concetti concreti. Mi è
sembrato strano infatti
che nel libro il calcio
di Mourinho venga
presentato come un
tecnico “offensivista”.
Capisco e accetto che,
io non sia nessuno per
giudicare e criticare ne
il tecnico, e quanto
afferma del suo calcio,
ne per mettere in dubbio
quanto riportato dagli
autori che conoscono
meglio e interpretano
meglio il calcio del
tecnico portoghese, ma
affiancare l’attributo
“propositivo” o
“offensivo” al calcio
mostrato dalle squadre
del tecnico di Setubal
mi pare generoso per non
dire inadeguato. Mi
rendo conto, infatti,
che i numeri che “tanto
mi stanno a cuore”
dicono che in tutte le
stagioni, anche postume
alla stesura del libro,
in effetti, le squadre
del tecnico portogehese
sono state sempre se non
il 1° o il 2° attacco
del campionato. Mi
permetto però
diosservare che non sono
tanto il numero di gol
realizzati a
identificare
l’atteggiamento di una
squadra in campo, perché
si vince sempre 2-‐0,
ma c’è una bella
differenza nel vincere
2-‐0 su due azioni di
contropiede o due palle
inattive e vincere con
lo stesso punteggio
dominando il gioco.
Ovviamente quest’ultima
osservazione non ha
nulla a che vedere con
la natura delle altre
precedenti, perché a
dire la verità centra
molto poco con la PT,
visto che ogni tecnico è
padrone di selezionare
il modello di gioco che
preferisce, ma
soprattutto più
funzionale ai giocatori
che ha a disposizione e
nel caso specifico, il
suo palmares gli da
ampiamente ragione. Mi
chiedo però se agli
autori non siano
casualmente caduti nella
tentazione di
influenzare il lettore
provando a fare passare
l’idea che la PT è la
metodologia più adatta a
chi vuole dare una
filosofia “propositiva”
alla propria squadra,
senza che ve ne sia il
motivo da un punto di
vista dell’onesta
intellettuale che
dovrebbe guidare chi
vuole fare un’opera di
divulgazione, come in
questo caso. Mi è
sembrato altrettanto
strano, per non dire,
sospettosamente
singolare, il fatto che
in ogni capitolo dove
gli autori hanno provato
a “sfatare i miti” delle
altre metodologie di
lavoro non siano mai
stati citati tecnici di
alto livello vincenti.
E’ chiaro, come ho già
avuto modo di esporre
all’inizio della mia
serie di riflessioni,
che alcune metodologie
siano ormai irricevibili
nel 2015 e lo erano
altrettanto nell’anno in
cui è stato scritto il
testo, ma non vengono
mai citati tecnici che
lavorano con metodologie
differenti eppure fanno
o hanno fatto incetta di
trofei. Sarà che la PT è
il futuro della
programmazione e della
metodologia
dell’allenamento del
gioco del calcio, e che
quindi nel momento in
cui la si presentava si
era fortunatamente (e si
è ancora altrettanto
fortunatamente) davanti
all’inizio del
cambiamento, ma il fatto
che non siano stati
scelti “paragoni
illustri” è quantomeno
sospettoso. L’ultima
stranezza che ha
attirato la mia
attenzione è relativa al
capitolo conclusivo del
libro il quale dovrebbe
spiegare come “sostenere
la scientificità di una
metodologia
rivoluzionaria”. Nel
capitolo infatti mi
sembra che ci si occupi
più di filosofia che di
scienza, senza contare
che è l’unica parte del
testo dove appare un po’
di bibliografia ma
riferita solo ad opere
del Professor Damasio
che non hanno un
carattere “scientifico”
nel senso stretto del
termine. Sebbene alcuni
aspetti possano essere
anche condivisibili e
accettabili non vi è
traccia di nulla che
possa fugare realmente i
dubbi sulla
sostenibilità di quanto
affermato in tutto il
testo ne tantomeno, ma
questa è una mia
personalissima opinione,
emerge nulla di
rivoluzionario o se c’è
probabilmente deve
essermi sfuggito lungo
tutto il percorso di
lettura e comprensione.
Trovo, anzi, che di
certi concetti esposti
se ne sia fatto un uso
“utilitaristico” per non
dire strumentale. In
conclusione credo, che
un testo come “Questione
di Metodo” sia un libro
che sveglia e stuzzica
l’intelletto, ma non
certamente nel senso in
cui viene inteso dagli
autori. Certamente, e
questa serie di
riflessione (che sarebbe
probabilmente potuta
essere più lunga) ne è
la prova, mette chi lo
legge di fronte a una
forte e profonda
autocritica e analisi.
Il punto è che per com’è
stato scritto spesso
questa spinta
all’analisi e alla
riflessione, nonché alla
messa in discussione
dell’approccio
all’allenamento del
gioco del calcio, sfiora
e forse sfocia
nell’apologia e nella
propaganda dell’altra
metodologia che si
presenta. Il rischio
che, con un simile
testo, per com’è
presentato e per il
“testimonial” che
utilizza, si corre, è
che il messaggio possa
prestarsi a male
interpretazioni o
addirittura ad essere
travisato data la
suadenza del contenuto e
il percorso
esperienziale del suo
esponente principale.
Insomma, a mio parere
non è solo una questione
di metodo, soprattutto
di questo metodo, ma di
chi lo propone e su
questo al netto delle
idee che si possano
avere a riguardo
Mourinho, egli resta
unico (e forse davvero
speciale) e forse è il
vero “quid” che permette
alla PT di funzionare e
insinuare tutti i dubbi
del caso e di attaccare
in modo diretto le basi
su cui poggiano le
“teorie classiche”
dell’allenamento
calcistico. Resta da
capire quindi, e questo
è l’ultimo
interrogativo, se la PT
sia straordinaria o se
lo diventi per merito
della genialità (unica)
di chi la applica, che
è, e resta, un’unicità
(per non dire eccezione)
nel panorama dei tecnici
vincenti di alto
livello, o entrambe le
situazioni e soprattutto
se sia davvero per
tutti, ma certamente non
dopo la lettura di un
solo testo