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Le capacità di flessibilità e
di mobilità articolare |
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Autore: Riccardo Capanna |
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Premessa
| La struttura biomeccanica dell'essere umano è costituita da
segmenti ossei posti in rapporto fra loro attraverso le
articolazioni, la cui tipologia determina il grado di movimento dei
capi articolari. Le articolazioni sono mantenute in sede fisiologica
da un sistema di legamenti che le incapsula, e sono rese funzionali
al movimento dai muscoli attraverso i tendini. In particolari
situazioni critiche (il deadattamento all'allenamento,
l'invecchiamento dei tessuti, varie patologie, un trauma o
l'immobilità) i legamenti, il tessuto connettivo, le fibre muscolari
ed i tendini possono creare delle resistenza che limitano il
movimento. Per mantenere in perfetto stato la funzionalità di dette
strutture, sono usati comunemente diversi metodi
| Il metodo di stretching passivo di Bob Anderson
È un metodo in auge sin dalla fine degli anni '70, che può avere
tutt'oggi un certo credito, se utilizzato nell'ambito della ricerca
dell'allungamento muscolare di tipo cronico (vedere in seguito). Le
sue regole, che sembrano di facile applicazione, ne hanno
determinato una notevole divulgazione anche nel mondo del calcio, ma
ho osservato che spesso se ne fa un uso improprio per quanto
riguarda sia il modo, intendendo la superficialità nell'esecuzione
dei movimenti, che il momento della seduta in cui viene eseguito.
L'applicazione pratica prevede che in ogni esercizio, il muscolo
venga stirato lentamente per circa 5" fino a raggiungere il massimo
della lunghezza, compatibilmente con l'assenza di dolore.
L'allungamento viene mantenuto per 15" - 20" quindi, si riporta
lentamente il muscolo alla sua lunghezza iniziale, in circa 5".
| Il metodo PNF (Facilitazione Propriocettiva Neuromuscolare[RC1])
Questa metodica si è sviluppata alla fine degli anni '40 grazie alle
intuizioni scientifiche del neurofisiologo dottor H. Kabat ed alle
terapiste M. Knott e D. Voss. I principi che sono alla base del PNF
prevedono dei movimenti che interessano i tre piani dello spazio. La
terapia fu applicata a pazienti paralizzati affetti da poliomielite,
con più successo del metodo precedentemente utilizzato che, invece,
enfatizzava il movimento in un'unica articolazione. Nel tempo, il
metodo sperimentato anche in campo non prettamente medico è stato
applicato, con qualche modifica, anche nell'ambito dello sport. In
pratica, per le esigenze sportive l'esercizio prevede, dapprima, una
contrazione isometrica contro una resistenza determinata
dall'intervento di un partner. A ciò segue il rilassamento del
muscolo precedentemente impegnato ed il suo contemporaneo
stiramento, determinato alla contrazione dell'antagonista. La
seconda sequenza dell'esercizio deve avvenire autonomamente e,
quindi, senza alcun aiuto da parte del partner, per ampliare il
movimento.
| Il metodo di Jim Wharton
È una metodologia "naturale" attraverso la quale il muscolo viene
stirato, mentre è decontratto dall'intervento riflesso del Sistema
Nervoso. Tutto ciò utilizzando dei movimenti in completa sintonia
con le esigenze coordinative di ogni singola disciplina. I criteri
su cui è basato sono semplici, ma sostanziali nel perseguire
un'ottimale flessibilità. Il metodo implica l'attuazione dei
seguenti principi.
- Si isola il muscolo che si vuole stirare usando movimenti precisi
e localizzati.
- Si intensifica, in ogni successiva ripetizione, la contrazione
volontaria dei muscoli agonisti, in modo tale che gli antagonisti
siano inibiti (in via riflessa attraverso il meccanismo neurale
dell'innervazione reciproca) e simultaneamente allungati da un
partner o dall'atleta stesso, che può farlo utilizzando
un'attrezzatura ausiliaria, tipo una funicella.
- Si mantiene lo stiramento per uno o due secondi andando appena
oltre al punto in cui si attiva il riflesso miotattico, perché ciò
previene una tensione innaturale del muscolo stirato. Non tenere
conto di questa evenienza e mantenere lo stiramento per numerosi
secondi, afferma Wharton, può determinare infiammazioni e
lacerazioni al tessuto muscolare.
| Il metodo della flessibilità dinamica
La flessibilità dinamica, cioè la possibilità di raggiungere elevati
gradi di escursione articolare in movimento, dipende dalla capacità
del sistema neuromuscolare di sincronizzazione la contrazione di un
muscolo agonista con il contemporaneo rilassamento dell'antagonista.
È un'attività di raffinata coordinazione che necessita un continuo
esercizio per essere mantenuta a livello ottimale. Praticamente si
realizza attraverso esercizi di adduzione ed abduzione, di flessione
ed estensione, con le circonduzioni e con gli slanci. Quando si
eseguono gli esercizi dinamici per migliorare la flessibilità non si
deve, però, incorrere nell'errore di effettuare dei "rimbalzi", cioè
dei movimenti di "vai e vieni", sfruttando la gravità piuttosto che
una contrazione muscolare. L'esempio classico è, da corpo eretto, la
flessione del busto in avanti a gambe tese, con l'intenzione di
andare a toccare con la punta delle dita della mano le dita dei
piedi. In questo esercizio, lo stiramento rapido dei muscoli
posteriori della coscia, in assenza della contemporanea contrazione
dei muscoli anteriori, sollecita la reazione riflessa in
accorciamento dei muscoli stirati, che eleva il rischio per la loro
incolumità. Ma non è questo tipo di esercizi che fanno parte del
metodo che propongo per sviluppare la flessibilità dinamica. Esso
comprende, invece, un'attività realizzata attraverso la contrazione
dei muscoli agonisti che determina, in via riflessa, il rilassamento
dei muscoli antagonisti su cui si desidera eseguire lo stiramento.
In questo caso, per rifarmi all'esempio precedente, in cui ci si
prefigge di agire sui muscoli posteriori della coscia, l'azione di
stiramento la si può realizzare sia dalla stazione eretta, eseguendo
uno slancio dell'arto inferiore per avanti alto, che dalla stazione
supina, effettuando una contrazione dei muscoli che portano l'arto
esteso verso il busto. In questo caso, un partner, o l'atleta stesso
con un espediente (funicella, asciugamano), aiuta e facilita il
movimento di flessione dell'arto sul bacino.
Vi sono, poi, altri metodi da utilizzare in caso di tensioni
muscolari che, prolungandosi nel tempo, minano la funzionalità
atletica del giocatore. Fra i più noti ricordo quello di Mézières e
quello di E. Souchard che, dati gli obiettivi che si prefiggono,
sono più riconducibili alla ginnastica medica e rieducativa
piuttosto che all'attività di allenamento quotidiano. Per favorire
l'applicazione dei metodi elencati, reputo necessario riordinare le
idee ed approfondire l'argomento, individuando i momenti ed i modi
più appropriati per migliorare il rendimento atletico dei
giocatori.A questo proposito, il tecnico deve poter distinguere se
gli atleti hanno necessità di uno "stiramento" muscolare acuto o di
un "allungamento" cronico:
* Lo stiramento acuto
Lo stiramento acuto è una condizione muscolare, determinata
attraverso esercizi specifici, con cui l'atleta realizza la
condizione meccanica ottimale per poter affrontare al meglio delle
proprie possibilità la seduta di allenamento o la gara.
Al termine della seduta o della gara, quando vengono a mancare le
condizioni che hanno determinato la migliorata flessibilità
(aumentata temperatura corporea, diminuita viscosità, ecc.) la
lunghezza muscolare regredisce alle condizioni che precedevano
l'attività fisica. Lo stiramento acuto risulta essere, in fin dei
conti, l'obiettivo giornaliero sia in fase di riscaldamento che
durante il defaticamento, soprattutto se esercitazioni intense hanno
determinato delle tensioni muscolari particolarmente elevate. Dopo
una serie di sforzi, riportare alle migliori possibilità di
movimento le articolazioni, significa ricreare indirettamente nel
muscolo le condizioni per un migliore afflusso sanguigno e perciò,
avviare più precocemente il processo di ripristino delle energie
spese durante la prestazione.Fra i metodi indicati in precedenza,
personalmente penso che gli esercizi di flessibilità dinamica siano
il mezzo ottimale da utilizzare per lo scopo suddetto. Fra l'altro
determinano un risparmio di tempo in quanto bastano 3 o 4 movimenti,
ripetuti per 2 o 3 volte, per raggiungere gradi di mobilità
articolare e stiramento muscolare notevoli. Inoltre, sulla base
degli studi di Michael Zito, risulta che la pratica di esercizi
dinamici, in cui con la contrazione dei muscoli agonisti e con il
rilassamento riflesso degli antagonisti, si ricerca la massima
ampiezza articolare, può provocare negli atleti variazioni croniche
della lunghezza del muscolo molto maggiori rispetto alla sola
pratica degli esercizi passivi. È ovvio che per raggiungere questo
ulteriore risultato la stimolazione muscolare deve essere
quantitativamente maggiore rispetto a quella che risolve le esigenze
di ottenere uno stiramento acuto. Un'altra considerazione riguarda
la prevenzione dagli infortuni. È possibile affermare a questo
proposito che, durante il riscaldamento, l'attività di flessibilità
dinamica può risultare protettiva per quanto riguarda i pericoli di
traumi a carico del tessuto connettivo (M. Zito, 1999), tanto più
gli esercizi, scelti nelle ultime fasi, sono orientati nella forma
verso la gestualità specifica che sarà realizzata nel proseguo della
seduta o della gara. Ancora per ciò che riguarda lo stiramento
acuto, gli stessi intendimenti possono essere perseguiti con la già
citata proposta studiata da Jim Wharton. Questo metodo, con il quale
si otterrebbero dei risultati eccellenti, penso non sia di facile
applicabilità nel mondo del calcio in quanto, ogni esercizio va
affrontato con un'attenzione e costanza, ed una sensibilità
percettiva nei confronti delle sensazione del proprio corpo, che i
giocatori non sono abituati ad affrontare. Sono esercitazioni,
infatti, da vivere in termini di esperienza soggettiva e non come
una esercitazione di gruppo in cui, troppo spesso, il tipo di
esercizio, il suo inizio o la fine sono ordinati dal tecnico o,
peggio, da un compagno che detta agli altri i tempi dei movimenti
seguendo le sue personali sensazioni. Se le esercitazioni suggerite
da J. Wharton sono ripetute più volte nella giornata, si raggiungono
degli strabilianti risultati che, fra l'altro, possono essere
mantenuti costanti nel tempo (vedi in seguito il paragrafo
sull'allungamento cronico). A questo scopo, gli atleti che Wharton
segue personalmente, tutti sportivi di altissima caratura mondiale,
seguono le sue procedure due o tre volte al giorno a seconda delle
necessità personali. Coloro che abbisognano solo di stiramenti
acuti, praticano esercizi individuali la mattina, durante il
riscaldamento per prima la seduta quotidiana e la sera, durante il
defaticamento, al termine della seconda seduta. Nel primo
pomeriggio, nel mezzo fra le due sedute di allenamento, gli atleti
che hanno invece la necessità di forzare lo stimolo per ottenere
allungamenti cronici, si recano nell'Istituto in cui Wharton ed i
sui collaboratori lavorano per effettuare, con la loro assistenza
un'ulteriore, più approfondita e proficua, terapia specifica.
* L'allungamento cronico
Nel perseguire questo obiettivo, i problemi per il tecnico si
complicano notevolmente in quanto, un programma che preveda
specifici interventi, deve necessariamente tenere conto delle
trasformazioni strutturali a cui il sistema muscolo-connettivale va
incontro. Ecco perché una prospettiva così complessa ed importante
non si può pensare possa far parte dell'allenamento quotidiano, ma
deve rientrare in un progetto di rieducazione solo per quegli atleti
che presentano delle anomalie nella morfologia dei muscoli tali che
determinino una limitazione dell'ampiezza articolare. Gli esercizi
che sollecitano un allungamento cronico sono applicati con dei
metodi diversi rispetto a quelli che determinano uno stiramento
acuto in quanto, per far "capire" ai muscoli la necessità di
allungarsi (processi di sintesi di proteine contrattili in serie) la
stimolazione deve essere prolungata e ripetuta nel tempo. Questa
modalità, prevista dagli esercizi specifici, determina nelle
terminazioni sensoriali dei muscoli (fusi neuro-muscolari e
corpuscoli muscolo-tendinei del Golgi) delle informazioni centripete
anomale che, ricevute inconsciamente dal Sistema Nervoso possono
causare, se eseguite subito prima di esercitazioni tecniche od
atletiche, una risposta motoria involontaria non consona alle
esigenze di un'ottimale sincronizzazione fra contrazione e
rilassamento. A questo proposito, il prof. M. Zito afferma che, al
contrario di quello che si può pensare, gli esercizi orientati verso
l'allungamento cronico, se non sono inseriti in un sistema di
allenamento adeguato, possono favorire gli infortuni muscolari
anziché prevenirli. Per perseguire l'allungamento cronico sono
normalmente utilizzati lo stretching classico proposto Bob Anderson,
le facilitazioni neuromuscolari propriocettive (PNF), nonché i
metodi di Mézières e di Souchard. L'esperienza personale da
terapista della rieducazione mi permette di affermare, a questo
proposito che, affinché qualunque metodo applicato sia veramente
efficace a produrre gli adattamenti muscolari previsti, è necessario
che l'intervento su ogni singolo muscolo duri per oltre 30", e sia
ripetuto almeno 5 o 6 volte per seduta, continuativamente per almeno
tre sedute a settimana, per un totale di 5 - 6 settimane. Proprio
perché, quelli indicati, sono interventi molto mirati ad un
obiettivo specifico, per evitare disturbi alla motricità, se non vi
è la possibilità di intervenire sugli atleti in un altro momento
della giornata, questi metodi devono essere applicati alla fine
della seduta di allenamento.
| Conclusioni
Lascio, a questo punto, che il lettore faccia le proprie
considerazioni relative ai metodi da utilizzare ed in quale
occasione (per maggiori approfondimenti, R.Capanna "Riflessioni e
proposte per i gioco del calcio" - ed. Nuova Prhomos - Citta' di
Castello, 2000.N.d.R.) Personalmente, riferendomi ad atleti sani
muscolarmente, per non perdere tempo e raggiungere i migliori
risultati, non ho dubbi nel suggerire, sia durante il riscaldamento
che nel defaticamento, l'applicazione del metodo della flessibilità
dinamica. Credo sia meglio evitare, quindi, esercizi che se eseguiti
nel riscaldamento disturbano dal punto di vista neuromotorio, e se
effettuati durante il defaticamento non favoriscono il recupero, in
quanto un muscolo stirato per molti secondi è meno irrorato dal
sangue, che non quando è sollecitato da contrazioni e da
rilassamenti continui. Reputo indispensabile, perciò, ridimensionare
la pratica di determinate esercitazioni di stretching, ed invito i
tecnici a considerare seriamente se sia giusto proporle
indiscriminatamente sia ai ragazzi delle scuole calcio che ai
giocatori professionisti, se non sussiste una reale necessità.
| L'Autore
Riccardo Capanna: Preparatore Atletico presso Settore Giovanile
F.C.Genoa |
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