|
|
“La gente
vuol far
parte di una
squadra.
Vuole far
parte di
qualcosa di
più grande
di loro
stessi.”
Coach K.
Premessa
Il ruolo
degli
allenatori,
istruttori o
maestri, è
strategicamente
molto
importante
in quanto
occupa una
posizione di
snodo delle
principali
relazioni
che si
vengono a
formare
all’interno
delle
società
sportive. Il
potere del
tecnico è
molto alto a
livello
simbolico:
“il potere
di fare o
non fare
giocare, di
aprire o
chiudere le
porte
d’accesso al
divertimento”.1
L’allenatore
è il leader
istituzionale
della
squadra
sportiva; il
suo ruolo è
caratterizzato
da funzioni
e attività
varie e
complesse
che
richiedono
competenze
in campo
tecnico,
psicologico,
e
presuppongono
un grande
equilibrio
emozionale.
Egli
all’interno
della
squadra è la
figura –
perno su cui
si
incentrano e
intorno a
cui ruotano
tutte le
attività
della
squadra e la
vita
sportiva dei
singoli. La
sua funzione
principale è
sicuramente
quella di
utilizzare
al meglio le
risorse in
suo possesso
e col tempo
a
disposizione
portare gli
atleti ai
massimi
livelli di
prestazione.
In quanto
guida della
squadra deve
darsi degli
obiettivi
generali2,
il cui
raggiungimento
richiede da
parte sua
non solo
doti
tecniche, ma
anche
requisiti di
personalità,
quali
intelligenza
e capacità
di stabilire
rapporti
sociali.
Stabiliti
gli
obiettivi,
l’allenatore
deve
individuare
gli
strumenti
adatti per
raggiungerli.
Allenare
significa
assumere
nello stesso
momento le
funzioni di
educatore -
formatore,
di tecnico -
organizzatore
e di leader.
In quanto
educatore
quindi egli
ha il
compito di
formare
atleti
maturi
fisicamente
e
psicologicamente,
il più
possibile
completi sul
piano
tecnico. Ad
ogni
allenamento
sarà suo
compito
cercare di
sviluppare e
migliorare
le abilità
cognitive
come
percezione e
memoria di
selezione
della
risposta.
La sua
funzione di
“docente” è
quindi la
caratteristica
più
importante
del ruolo
che ricopre.
Per un
allenatore è
importante
che gli
atleti
conoscano
bene la
tecnica, e
poiché non
può
gareggiare
al loro
posto, egli
ha il
compito di
preparare il
singolo e la
squadra a
prendere
proprie
decisioni.
Allenare,
infatti,
vuol dire
incrementare
l’indipendenza,
portare gli
atleti a
pensare
oltre che ad
agire da
soli.
Il modello
ideale di
giocatore è
una persona
capace di
pensare, di
fare delle
scelte, non
un giocatore
imbottito di
nozioni,
costruito
per essere
telecomandato.
Fra i
compiti
chiave di un
allenatore
vi è quello
di occuparsi
della
motivazione,
una volta
veniva
chiamata
passione,
intesa come
stimolo che
muove e
dirige il
comportamento
dei suoi
atleti.
Senza
motivazioni
non vi è
partecipazione
né tanto
meno
apprendimento.
Anche in
campo
sportivo si
parla di
motivazioni
primarie e
secondarie:
le prime
attengono
principalmente
alla sfera
emotiva e
sono il
gioco e
l’agonismo,
mentre le
seconde
fanno
riferimento
alla sfera
sociale e
culturale, e
comprendono
i bisogni
affiliativi,
estetici e
di
successo.3
Le
responsabilità
di cui un
allenatore
si fa carico
durante la
gestione di
una squadra
sono
molteplici.
Sarà suo
compito
sviluppare
un senso di
appartenenza,
utilizzando
il “noi” per
far si che
gli atleti
si sentano
una forza
unica con
lui, inoltre
dovrà
definire i
ruoli e i
compiti del
singolo; è
fondamentale
infatti che
ogni
giocatore
sappia come,
e per grosse
linee quanto
sarà
impiegato. È
importante
fargli avere
una precisa
identità
tecnica
all’interno
della
squadra che
lo motivino
all’allenamento
e lo
facciano
identificare
nel suo
ruolo.
L’allenatore
non dovrà
dimenticare
di fissare
obiettivi
comuni e
chiari,
regole da
rispettare,
orari per
esempio,
fattori
questi che
favoriscono
la coesione
del gruppo e
prevengono
eventuali
conflitti.
Un buon
maestro di
sport deve
evitare
inoltre
punizioni
eccessive
che
rischiano di
far
aumentare la
paura di
incorrere
nell’errore.
1 Mantegazza
R., Con la
maglia
numero
sette,
Unicopli,
Milano 1999,
p. 39
2
L’individuazione
di obiettivi
è un
elemento
imprescindibile
di ogni
azione
educativa.
Anche nel
contesto
sportivo si
è rivelata
una
strategia
valida per
influenzare
positivamente
la
prestazione,
a patto di
individualizzare
gli
obiettivi
rendendoli
significativi,
misurabili
difficili ma
realistici e
di
progettare
strategie di
raggiungimento
e di
sostegno per
gli atleti.
Cfr. C.
Robazza, L.
Bortoli, G.
Gramaccioni,
La
preparazione
mentale
nello sport,
Pozzi, Roma
1994.
La
leadership
Il concetto
di
leadership è
strettamente
connesso
all’influenza
sociale,
infatti
nonostante
quest’ultima
sia un
processo
reciproco,
appare più
esatto dire
che i leader
influenzano
gli altri
membri del
gruppo più
di quanto
essi possano
essere
influenzati.
Nei gruppi
non tutti i
ruoli hanno
lo stesso
valore,
quindi vi
sono
differenziazioni
di status
nella
maggior
parte dei
casi.4
Turner
afferma che
il leader è
colui che
esercita
maggiore
influenza
sul gruppo,
mostrando
più
iniziativa,
occupando
una
posizione
più alta
nella
gerarchia e
più centrale
nella rete
di
comunicazione
del gruppo.
Le
definizioni
di
leadership
che sono
state date
nel tempo
sono
numerose ma
in sostanza
è quel
processo
volto ad
influenzare
un individuo
o un gruppo
che mira al
conseguimento
di uno o più
obiettivi in
una
determinata
situazione.
Sicuramente
la
differenza
che va
sottolineata
è quella tra
il leader
democratico,
pronto alla
comunicazione
anche sul
piano
personale
con i membri
del gruppo,
e quello
autocratico,
che prende
le decisioni
autonomamente
senza
confrontarsi
con alcuno.
Mentre il
primo è
attento alle
esigenze
altrui il
secondo
s’interessa
esclusivamente
allo
svolgimento
del compito.
“Sono rari
gli
allenatori
capaci di
sollecitare
i propri
giocatori al
punto di
passare la
vita
agognando la
loro
approvazione”.5
Quando il
leader è
benvoluto
dal gruppo,
non viene
messa in
discussione
la sua
autorità e
il compito è
ben
definito,
egli non
deve
preoccuparsi
del morale e
può
concentrarsi
sul compito;
quando
invece non è
ben accetto,
dispone di
poco potere
e il compito
è ambiguo,
egli non è
in grado di
intervenire
sul morale.
L’allenatore
deve essere
il centro di
unità e
coesione per
il gruppo,
colui che si
assume il
peso delle
responsabilità,
quindi
spetta a lui
il ruolo di
leader,
assieme a
quello di
educatore e
tecnico.
Egli deve
rappresentare
un modello,
creare uno
stato
d’animo
sereno,
assumendosi
il peso
delle
responsabilità.
Per
analizzare i
rapporti
interni fra
allenatore e
atleti è
stato messo
a punto un
modello
multi
dimensionale
per lo
studio della
leadership
in ambito
sportivo.
Questo
modello
sottolinea
come la
prestazione
e la
soddisfazione
della
squadra
siano
strettamente
connesse al
comportamento
del leader.6
Gli stili
decisionali
dell’allenatore
possono
variare da
quello
autocratico,
dove le
scelte
vengono
prese senza
consultare
nessuno, a
quello
delegante,
in cui
vengono
delegati
alcuni
atleti per
le
decisioni, e
ancora a
quello
consultivo o
di gruppo
dove le
scelte
vengono
prese di
comune
accordo con
gli atleti.
Gli stili
decisionali
sono parte
portante del
comportamento
infatti in
base alle
scelte prese
per la
squadra si
instaurano
determinati
tipi di
rapporti.
Gli
allenatori
considerano,
il favorire
l’affiatamento
tra gli
atleti, lo
stabilire
norme di
comportamento
e il
sostenere la
motivazione,
caratteristiche
comportamentali
importanti
per lo
svolgimento
del proprio
lavoro. La
sfera
socio-affettiva
quindi è
ritenuta più
importante
rispetto
all’aspetto
strettamente
tecnico,
legato alle
tattiche di
gioco.
Le maggiori
difficoltà
che un
istruttore
si trova a
dover
affrontare
sono
problemi
scolastici,
di lavoro,
famigliari e
non ultimo
la gestione
di atleti
convinti di
non avere
più bisogno
di
direttive.
Un buon
allenatore
deve quindi
disporre di
qualità
interpersonali
superiori
alla media,
poiché se si
trova in
situazioni
difficili da
gestire,
rischia, se
non è in
grado di
automotivarsi,
di incorrere
nel fenomeno
del Burn –
out; quando
infatti
l’allenatore
esaurisce le
sue energie
va incontro
ad un crollo
psicologico
e
motivazionale,
non
riuscendo
più a far
fronte alle
onerose
esigenze
della sua
attività.
Definire
quindi il
comportamento
ideale che
deve avere
un
allenatore
non è
compito
facile,
sicuramente
sarà
importante
da parte sua
fare sentire
tutti gli
atleti
importanti,
senza
esasperare
la squadra
ai fini
della
vittoria.
3 Cfr. Dino
Giovannini,
Laura
Savoia,
Psicologia
dello sport,
Carocci
Editore,
Roma 2002,
p. 43
4 Dino
Giovannini,
Laura
Savoia,
Psicologia
dello sport,
Carocci
Editore,
Roma 2002,
p. 129.
5 Tratto dal
romanzo di
John
Grisham,
L’allenatore,
Arnoldo
Mondatori
Editore,
Milano 2003,
p. 130.
L’autore ci
porta in
questo caso
nel cuore
dell’America
ma anche nel
cuore delle
questioni
semplici ed
eterne che
ci
riguardano
tutti:
l’amicizia e
l’amore.
6 Cfr. la
Leadership
Scale for
Sports di
Chelladurai
nell’opera
di Dino
Giovannini,
Laura
Savoia,
Psicologia
dello sport,
Carocci
Editore,
Roma 2002,
p. 138
La
comunicazione
La
comunicazione
tra un
allenatore
ed i suoi
atleti
riguarda un
ambito
relazionale
di prima
importanza,
è in questo
spazio che
si colloca
la
contrattazione
tra le due
volontà:
quella
dell’atleta
e quella del
suo coach.
In questo
spazio si
delinea il
profilo di
un rapporto
che può
andare dal
totale
affidamento
alla
pregiudiziale
sfiducia.
Un
allenatore
quando
comunica con
un atleta,
deve sempre
ricordare
che la sua
parola, il
suo
atteggiamento
devono
influenzare
non solo il
gesto
tecnico, ma
tutto il
comportamento,
dalla fase
di
preparazione
fino a
quella
agonistica o
amatoriale
che sia.
Comunicare
bene
significa
insegnare
meglio, che
determina un
maggior
apprendimento,
e migliorare
la
relazione,
sia a
livello
individuale
sia di
gruppo;
entrambi gli
aspetti
favoriscono
una migliore
prestazione.
Nessun
allenatore è
istituzionalmente
allenato a
comunicare
bene. La
comunicazione
è un’abilità
e così come
le capacità
motorie sono
allenabili,
lo è anche
la
comunicazione.
Così come un
giocatore
lavora per
migliorare
la sua
tecnica,
anche un
istruttore
può
apprendere
stili
comunicativi
più
funzionali
nella
trasmissione
di
informazioni
ai
giocatori.
Allenando
non si
finisce mai
di
apprendere,
in quasi
tutti i casi
il processo
di
apprendimento
non è mai
terminato,
un
allenatore
va ad
ascoltare un
Clinic anche
se sa che
può
apprendere
un solo
concetto
nuovo. Può
capitare di
assistere a
un Clinic o
ad una
seduta di
allenamento
di un
collega,
anche solo
per decidere
se si è
d’accordo
con ciò che
viene
proposto o
meno.
Le diverse
funzioni a
cui deve
assolvere un
allenatore
sono: il
professionista
(la
professionalità
riguarda le
idee, i
programmi, i
progetti);
l’insegnante
(è la
persona che
aiuta il
giocatore a
parlare a
livello
sportivo);
l’educatore
(deve
trasmettere
lezioni di
sport e di
vita ai
giocatori
per formare
la loro
personalità);
lo psicologo
(deve capire
i ragazzi e
dare loro
gli stimoli
giusti per
ogni
situazione);
il genitore
(deve saper
sostenere
quando è
necessario
ed essere
severo
quando è
indispensabile)
e
l’allenatore
(deve saper
integrare
queste
diverse
funzioni).
Allenatori
non si
nasce, si
diventa!
Molti si
trovano a
passare da
un ruolo di
atleta a
quello di
istruttore
per diversi
motivi, dove
la voglia e
la passione
per lo sport
magari sono
le stesse,
ma ciò che
cambia è il
modo di
esprimerli.
Comunicare
letteralmente
significa
far comune
ad altri,
ciò che è
nostro, vuol
dire
trasmettere
dei
contenuti,
condividere.
Prima di
comunicare è
necessario
pensare per
sapere cosa
si vuol
comunicare.
Quindi le
regole per
giungere ad
una
comunicazione
efficace,
sono
essenzialmente:
il sapere
“cosa” si
comunica, a
“chi” e
“come” lo si
fa. Questo
vuol dire
che prima di
trasmettere
degli
insegnamenti
di sport, è
importante
sapere che
idea si ha
di quello
sport che
viene preso
in
considerazione.
Quando un
allenatore
insegna una
nuova
tecnica o un
nuovo schema
non può
prescindere
dall’idea di
gioco che
ha, e di
conseguenza
la sua
metodologia
di
insegnamento,
e dalla sua
idea di
giocatore,
ovvero quale
tipo di uomo
meglio si
adatta alla
sua
filosofia di
gioco.
Per una
comunicazione
efficace è
quindi
importante
conoscere i
valori di
fondo e le
idee che
ogni
allenatore
ha e che
tecnicamente
si traducono
su come
funzionano
le due
identità
allenatore-allievo
e che
determinano
il tipo di
relazione
che si va ad
instaurare.
I valori
antropologici7
ci possono
servire per
capire quali
sono i
nostri
valori di
riferimento,
come
funzioniamo
con gli
altri, come
sono fatte
le persone
con cui
interagiamo.
È importante
che ogni
allenatore
abbia chiari
i valori su
cui
costruisce
la squadra,
questa
chiarezza
gli darà
sicuramente
più
stabilità.
Per arrivare
ad una
comunicazione
efficace è
importante
avere chiari
i propri
valori, la
propria
filosofia
che permette
di fissare e
avere ben
delineati
gli
obiettivi da
perseguire.
È
importante,
oltre a
sapere il
compito da
svolgere,
anche con
“chi” si va
a svolgerlo
e “come”. Il
chi richiama
il concetto
d’identità.
La
comunicazione
implica una
relazione in
cui due
identità,
nel caso
specifico un
istruttore e
un allievo,
si
incontrano,
interagiscono
attraverso
il
linguaggio
verbale e il
linguaggio
non verbale.
Queste
identità non
sono in un
rapporto
statico ma
dinamico, il
che
significa
che si
influenzano
reciprocamente.
Essere
consapevoli
di “come” si
esprimono i
contenuti e
le idee
attraverso
la
comunicazione,
non è meno
importante
del
conoscere i
valori che
spingono
verso gli
obiettivi e
del sapere
con chi si
interagisce.
“Non si può
non
comunicare”,
ogni
comportamento,
infatti, è
comunicazione.
È un
messaggio la
parola, il
silenzio, il
gesto e il
contesto.
Ogni volta
che entriamo
in relazione
con qualcuno
o qualcosa
il nostro
corpo
reagisce
(comunica),
prestare
attenzione
alle nostre
reazioni
emotive e
corporee,
aiuta ad
avere
consapevolezza
del modo di
relazionarsi.
Nessuno è
perfettamente
identico
nelle
diverse
relazioni.
Quando si
incontra una
persona
nuova, già
dal primo
impatto si
incomincia a
provare
qualcosa; è
importante
che prima di
pensare e
parlare si
impari a
sentire e
guardare.
Nella
comunicazione
si possono
distinguere
un aspetto
di fondo,
valori
antropologici,
e un aspetto
tecnico,
composto da
comunicazione
verbale e
non verbale.
Per quanto
riguarda il
secondo
aspetto
nella
comunicazione
verbale è
importante
ciò che
esprimiamo
con le
parole,
quindi i
concetti
devono
essere
chiari,
precisi e
comprensibili;
nella
comunicazione
non verbale
è importante
ciò che
esprime il
nostro corpo
attraverso
gli
atteggiamenti,
ossia le
posture e le
reazioni
somatiche.
C’è una
forte
correlazione
tra
comunicazione
verbale, che
riguarda più
il livello
razionale e
la
comunicazione
non verbale,
che invece è
relativa al
linguaggio
emotivo e
corporeo.
Quest’ultimo
si coglie in
modo più
immediato ed
è spesso il
messaggio
più forte.
Se la
comunicazione
non verbale
non è
consapevole,
ci può
essere
un’incongruenza
con il
linguaggio
verbale; si
può
contraddire
il messaggio
verbale con
atteggiamenti
non consoni,
il messaggio
verbale sarà
inefficiente
perché
arriva in un
clima
confuso; si
avrà in
questo caso
una
distorsione
della
comunicazione.
Oltre a
trasmettere
contenuti,
informazioni
la
comunicazione
tende a
definire la
relazione
esistente
tra gli
interlocutori.
Il
comunicare
non è
sufficiente,
occorre
comunicare
bene. Vi
sono infatti
dialoghi
inadeguati,
caratterizzati
da mancanza
di ascolto e
da tentativi
di
sopraffare
l’altro. La
consulenza
nel concetto
comune
sembra
essere la
forma di
dialogo più
equa nel
rapporto tra
atleta ed
allenatore.
L’assistenza
infatti ha
già in Sé un
carattere
squilibrato,
che inoltre
potrebbe
esprimere
una certa
sottomissione.
Nell’intervento
è possibile
riconoscere
un’azione di
impronta
militare,
che guida
gli atleti
in maniera
autoritaria,
rischiando
però di
interrompere
il dialogo
amichevole.
Si rivelano
quindi, di
grande
utilità
incontri di
gruppo fra
atleti con
allenatore e
coach, fra
allenatore e
dirigenti,
fra atleti
di uno
stesso team
con qualche
problema di
dialogo fra
loro. Sono
necessari a
volte
colloqui con
il singolo
per
richiamare
la sua
attenzione
ad un errore
ricorrente.
Questo tipo
di
intervento
viene fatto
lontano
dagli altri
membri del
gruppo, per
evitare che
nel
giocatore
nasca un
senso di
vergogna.
Ci sono
diversi modi
di
comunicare,
si può
distinguere
una
comunicazione
empatica e
una
congruente.
La prima
avviene
mettendosi
nei panni
della
persona a
cui ci si
relaziona,
considerando
il suo stato
emotivo e il
suo punto di
vista, la
seconda,
quella
congruente,
consiste nel
comunicare
quello che
si sente e
si prova.
L’importanza
di
percepirsi e
percepire
persone e
non cose,
permette
all’allenatore
di
accorgersi
che
un’informazione
o un
comportamento
tecnico non
influenza
solo l’area
tecnico-motoria
del
giocatore,
ma la sua
intera
personalità
che appare
nelle
risposte
emozionali,
cognitive e
corporee.
Avere
contatto con
il proprio
se, aiuta
l’allenatore
ad
apprendere
come le
risposte del
giocatore
provocano in
lui reazioni
e come lo
influenzano:
può essere
arrabbiato o
contento del
comportamento
del
giocatore;
può aver
minore o
maggiore
disponibilità
nell’entrare
in rapporto,
a seconda
delle
risposte e
dei
comportamenti
dei
giocatori
(feedback).
La
comunicazione
consiste
nella
trasmissione
di un
determinato
messaggio da
una sorgente
emittente ad
un
ricevente,
pronto a
recepirlo e
ad
elaborarlo.8
Durante la
comunicazione
è utile
accorgersi
di cosa sta
succedendo
nell’interlocutore
e in se.
Questo
aspetto,
viene
definito
comunicazione
a doppio
feedback:
ogni
messaggio
viene
continuamente
verificato
sulla base
della
reazione che
produce su
chi lo invia
e
sull’interlocutore.
In questo
tipo di
comunicazione
a doppio
feedback si
può
distinguere
il feedback
che arriva
dall’interno
(intrapsichico),
che riguarda
la risonanza
che il
messaggio ha
nell’emittente,
e il
feedback
esterno
(interpersonale)
quando è
legato alle
reazioni che
l’inviante
“legge” sul
ricevente.
Questo
atteggiamento
di auto
ascolto e di
auto
percezione
facilita la
costruzione
di una
relazione
funzionale.
La squadra
rispecchia
sempre il
carattere e
il tipo di
persona che
è
l’allenatore.
Il giocatore
è frutto del
modello
dell’istruttore
allenatore.
Il vero
insegnamento
apprendimento
deve essere
fatto di
idee chiare,
spiegazioni
semplici,
dopo è
importante
la
dimostrazione
del gesto,
osservare e
capire dove
ci sono
problemi,
provare a
risolverli;
invece di
demonizzare
gli
eventuali
errori
analizzarli
e prima di
proporre
nuove
soluzioni
trovarle con
i giocatori,
questo
stimola la
curiosità e
porta più
risultati, e
poi ripetere
anche
all’infinito,
fino a
quando ce
n’è bisogno.
La voce
dell’insegnante
nella
conduzione
dell’allenamento
è una cosa
importante,
deve avere
autorità
senza essere
autoritaria.
L’allenatore
deve
continuare a
stimolare le
funzioni
cognitive
facendo
domande,
conducendo
alla scelta
più giusta
rispetto
alle
situazioni
specifiche.
La
conduzione
dell’allenamento
migliora se
l’allenatore
ricorda i
tre motivi
che portano
il ragazzo
da lui e che
devono
essere
sempre i
suoi tre
principi:
imparare,
divertirsi e
giocare. Più
sarà in
grado di
realizzare
questi tre
principi più
sarà il suo
successo
come
insegnante.
Un buon
allenatore è
colui che ha
certi
principi
educativi,
lo stimolo
giusto per
ogni ragazzo
e ogni
situazione,
una parola,
un cenno, ma
anche quando
occorre, sa
alzare la
voce. Deve
avere la
capacità di
guardare,
vedere e
riflettere
prima di
agire.
Fondamentale
anche tra i
giocatori la
volontà e la
capacità di
comunicare,
che spetterà
all’allenatore
insegnare a
comunicare
bene,
riflettendo
su se
stessi,
guardando i
compagni di
squadra. I
giocatori di
una squadra
sono
avvantaggiati
se nel
gruppo è
presente una
coesione
elevata. La
coesione è
definibile
come il
grado con il
quale i
membri del
gruppo
desiderano
rimanere nel
gruppo
stesso, è un
fattore
legato alla
struttura
affettiva
del gruppo,
al successo.
Questa
sembra
facilitare
la capacità
di scambio
comunicativo
tra i membri
che tendono
ad essere
sintonizzati
sia in
termini
emotivi, sia
in termini
motivazionali.
Un obiettivo
dell’allenatore
deve essere
quindi
quello di
creare una
buona
coesione tra
i membri del
gruppo
“squadra”.
7
L’antropologia
è la scienza
che studia
l’uomo,
l’idea di
uomo (chi
sono e chi è
la persona
che ho di
fronte): il
modello
comportamentista
ha una
visione
dell’uomo
come di un
oggetto. Il
soggetto è
un
registratore
che coglie
l’oggetto
per quello
che è; il
modello
cognitivista,
vede l’uomo
come
soggetto
attivo che
interagisce
con
l’oggetto
che stimola
la sua
consapevolezza
senza subire
alcuna
modifica
dalla
relazione;
la
conoscenza
dipende
unicamente
dai suoi
preconcetti,
il soggetto
costruisce
l’oggetto;
il modello
strutturale
integrato
considera
l’uomo come
un organismo
fisico e
mentale che
condiziona e
si lascia
condizionare
da altri
organismi;
vi è
un’influenza
reciproca
tra oggetto
e soggetto.
8 Cfr.
modello
matematico
dell’informazione
(1949)di
Shannon e
Weaver
nell’opera
di Carlo
Grassi,
Sociologia
della
comunicazione,
Paravia
Bruno
Mondadori
Editori,
Roma, 2002,
p. 82
Testi
consultati
Mike
Krzyzewski e
Philips
Donald T.,
“Le
strategie di
Coach K.
Strategie di
successo per
il basket,
gli affari e
la vita”,
Edizioni
Libreria
dello Sport,
Milano 2002.
C. Robazza,
L. Bortoli,
G.
Gramaccioni,
La
preparazione
mentale
nello sport,
Pozzi
Editore,
Roma 1994.
Dino
Giovannini,
Laura
Savoia,
Psicologia
dello Sport.
Carocci,
Roma 2002.
Mantegazza
R., Con la
maglia
numero
sette,
Unicopli,
Milano 1999.
Romanzo di
John
Grisham,
“L’allenatore”,
Arnoldo
Mondadori
Editore,
Milano 2003.
|
|