Aggregatore di contenuti per Allenatori di Calcio

CANALI TEMATICI

     Alimentazione e diete

     Divisione Calcio a 5

     Formazione Tecnica

     Medicina e Psicologia

     Organizzazione Tattica

     Moduli di gioco

     Prep. Precampionato

     Prep. Fisica

     Proposte di Mesociclo

     Prepariamo i Portieri

     Recupero Infortunati

     Settimana Tipo

     Settore Giovanile

     Video didattici

CANALI INFORMAZIONI

     AIAC   

     Cambi di guida tecnica   

     Come diventare Allenatori

     Comunicati ed Eventi

     Agenda Corsi ed Eventi  

     Corsi ed aggiornamenti  

     Fair Play ...

     Libri di Calcio

     Magazine

     Profili

     Solidarietà Sportiva

     Settore Tecnico F.I.G.C.

CANALI SERVIZI

     Allenatori

     Download Documenti

     Feed contenuti proposti

     Link club ed indirizzi utili

     Mappa Sito

     Ultimi articoli inseriti

CANALI VIDEO

     Home Video

     Video Abilità Tecniche

     Video Calcio a Cinque

     Video Preparazione Fisica

     Video Settore Giovanile

     Video Training Club Prof.

     Schemi e palle inattive

     Video Storici e Profili

BUONE FREQUENTAZIONI

     Radio Olanda

     Calciopassioni

     Generazione Talenti

     Todo sobre mi fútbol

     Silvio Fede blogspot

     It's not just about football

     Calcio spagnolo

     Football Poets Society

     Il Pallone racconta

WIDGET A.COM

MAIL RSS Condizioni del sito Home

  

  + -   MEDICINA E PSICOLOGIA DELLO SPORT
   L'Allenatore leader
   Autore: Giorgio Ambrosetti | Fonte: psymedisport.com
    “La gente vuol far parte di una squadra. Vuole far parte di qualcosa di più grande di loro stessi.” Coach K.
Premessa
Il ruolo degli allenatori, istruttori o maestri, è strategicamente molto importante in quanto occupa una posizione di snodo delle principali relazioni che si vengono a formare all’interno delle società sportive. Il potere del tecnico è molto alto a livello simbolico: “il potere di fare o non fare giocare, di aprire o chiudere le porte d’accesso al divertimento”.1
L’allenatore è il leader istituzionale della squadra sportiva; il suo ruolo è caratterizzato da funzioni e attività varie e complesse che richiedono competenze in campo tecnico, psicologico, e presuppongono un grande equilibrio emozionale. Egli all’interno della squadra è la figura – perno su cui si incentrano e intorno a cui ruotano tutte le attività della squadra e la vita sportiva dei singoli. La sua funzione principale è sicuramente quella di utilizzare al meglio le risorse in suo possesso e col tempo a disposizione portare gli atleti ai massimi livelli di prestazione.
In quanto guida della squadra deve darsi degli obiettivi generali2, il cui raggiungimento richiede da parte sua non solo doti tecniche, ma anche requisiti di personalità, quali intelligenza e capacità di stabilire rapporti sociali.
Stabiliti gli obiettivi, l’allenatore deve individuare gli strumenti adatti per raggiungerli.
Allenare significa assumere nello stesso momento le funzioni di educatore - formatore, di tecnico - organizzatore e di leader.
In quanto educatore quindi egli ha il compito di formare atleti maturi fisicamente e psicologicamente, il più possibile completi sul piano tecnico. Ad ogni allenamento sarà suo compito cercare di sviluppare e migliorare le abilità cognitive come percezione e memoria di selezione della risposta.
La sua funzione di “docente” è quindi la caratteristica più importante del ruolo che ricopre.
Per un allenatore è importante che gli atleti conoscano bene la tecnica, e poiché non può gareggiare al loro posto, egli ha il compito di preparare il singolo e la squadra a prendere proprie decisioni. Allenare, infatti, vuol dire incrementare l’indipendenza, portare gli atleti a pensare oltre che ad agire da soli.
Il modello ideale di giocatore è una persona capace di pensare, di fare delle scelte, non un giocatore imbottito di nozioni, costruito per essere telecomandato.
Fra i compiti chiave di un allenatore vi è quello di occuparsi della motivazione, una volta veniva chiamata passione, intesa come stimolo che muove e dirige il comportamento dei suoi atleti. Senza motivazioni non vi è partecipazione né tanto meno apprendimento.
Anche in campo sportivo si parla di motivazioni primarie e secondarie: le prime attengono principalmente alla sfera emotiva e sono il gioco e l’agonismo, mentre le seconde fanno riferimento alla sfera sociale e culturale, e comprendono i bisogni affiliativi, estetici e di successo.3
Le responsabilità di cui un allenatore si fa carico durante la gestione di una squadra sono molteplici.
Sarà suo compito sviluppare un senso di appartenenza, utilizzando il “noi” per far si che gli atleti si sentano una forza unica con lui, inoltre dovrà definire i ruoli e i compiti del singolo; è fondamentale infatti che ogni giocatore sappia come, e per grosse linee quanto sarà impiegato. È importante fargli avere una precisa identità tecnica all’interno della squadra che lo motivino all’allenamento e lo facciano identificare nel suo ruolo. L’allenatore non dovrà dimenticare di fissare obiettivi comuni e chiari, regole da rispettare, orari per esempio, fattori questi che favoriscono la coesione del gruppo e prevengono eventuali conflitti.
Un buon maestro di sport deve evitare inoltre punizioni eccessive che rischiano di far aumentare la paura di incorrere nell’errore.
1 Mantegazza R., Con la maglia numero sette, Unicopli, Milano 1999, p. 39
2 L’individuazione di obiettivi è un elemento imprescindibile di ogni azione educativa. Anche nel contesto sportivo si è rivelata una strategia valida per influenzare positivamente la prestazione, a patto di individualizzare gli obiettivi rendendoli significativi, misurabili difficili ma realistici e di progettare strategie di raggiungimento e di sostegno per gli atleti. Cfr. C. Robazza, L. Bortoli, G. Gramaccioni, La preparazione mentale nello sport, Pozzi, Roma 1994.
La leadership
Il concetto di leadership è strettamente connesso all’influenza sociale, infatti nonostante quest’ultima sia un processo reciproco, appare più esatto dire che i leader influenzano gli altri membri del gruppo più di quanto essi possano essere influenzati. Nei gruppi non tutti i ruoli hanno lo stesso valore, quindi vi sono differenziazioni di status nella maggior parte dei casi.4 Turner afferma che il leader è colui che esercita maggiore influenza sul gruppo, mostrando più iniziativa, occupando una posizione più alta nella gerarchia e più centrale nella rete di comunicazione del gruppo.
Le definizioni di leadership che sono state date nel tempo sono numerose ma in sostanza è quel processo volto ad influenzare un individuo o un gruppo che mira al conseguimento di uno o più obiettivi in una determinata situazione. Sicuramente la differenza
che va sottolineata è quella tra
il leader democratico, pronto alla comunicazione anche sul piano personale con i membri del gruppo, e quello autocratico, che prende le decisioni autonomamente senza confrontarsi con alcuno. Mentre il primo è attento alle esigenze altrui il secondo s’interessa esclusivamente allo svolgimento del compito.
“Sono rari gli allenatori capaci di sollecitare i propri giocatori al punto di passare la vita agognando la loro approvazione”.5
Quando il leader è benvoluto dal gruppo, non viene messa in discussione la sua autorità e il compito è ben definito, egli non deve preoccuparsi del morale e può concentrarsi sul compito; quando invece non è ben accetto, dispone di poco potere e il compito è ambiguo, egli non è in grado di intervenire sul morale.
L’allenatore deve essere il centro di unità e coesione per il gruppo, colui che si assume il peso delle responsabilità, quindi spetta a lui il ruolo di leader, assieme a quello di educatore e tecnico. Egli deve rappresentare un modello, creare uno stato d’animo sereno, assumendosi il peso delle responsabilità. Per analizzare i rapporti interni fra allenatore e atleti è stato messo a punto un modello multi dimensionale per lo studio della leadership in ambito sportivo. Questo modello sottolinea come la prestazione e la soddisfazione della squadra siano strettamente connesse al comportamento del leader.6
Gli stili decisionali dell’allenatore possono variare da quello autocratico, dove le scelte vengono prese senza consultare nessuno, a quello delegante, in cui vengono delegati alcuni atleti per le decisioni, e ancora a quello consultivo o di gruppo dove le scelte vengono prese di comune accordo con gli atleti.
Gli stili decisionali sono parte portante del comportamento infatti in base alle scelte prese per la squadra si instaurano determinati tipi di rapporti.
Gli allenatori considerano, il favorire l’affiatamento tra gli atleti, lo stabilire norme di comportamento e il sostenere la motivazione, caratteristiche comportamentali importanti per lo svolgimento del proprio lavoro. La sfera socio-affettiva quindi è ritenuta più importante rispetto all’aspetto strettamente tecnico, legato alle tattiche di gioco.
Le maggiori difficoltà che un istruttore si trova a dover affrontare sono problemi scolastici, di lavoro, famigliari e non ultimo la gestione di atleti convinti di non avere più bisogno di direttive. Un buon allenatore deve quindi disporre di qualità interpersonali superiori alla media, poiché se si trova in situazioni difficili da gestire, rischia, se non è in grado di automotivarsi, di incorrere nel fenomeno del Burn – out; quando infatti l’allenatore esaurisce le sue energie va incontro ad un crollo psicologico e motivazionale, non riuscendo più a far fronte alle onerose esigenze della sua attività.
Definire quindi il comportamento ideale che deve avere un allenatore non è compito facile, sicuramente sarà importante da parte sua fare sentire tutti gli atleti importanti, senza esasperare la squadra ai fini della vittoria.
3 Cfr. Dino Giovannini, Laura Savoia, Psicologia dello sport, Carocci Editore, Roma 2002, p. 43
4 Dino Giovannini, Laura Savoia, Psicologia dello sport, Carocci Editore, Roma 2002, p. 129.
5 Tratto dal romanzo di John Grisham, L’allenatore, Arnoldo Mondatori Editore, Milano 2003, p. 130. L’autore ci porta in questo caso nel cuore dell’America ma anche nel cuore delle questioni semplici ed eterne che ci riguardano tutti: l’amicizia e l’amore.
6 Cfr. la Leadership Scale for Sports di Chelladurai nell’opera di Dino Giovannini, Laura Savoia, Psicologia dello sport, Carocci Editore, Roma 2002, p. 138
La comunicazione
La comunicazione tra un allenatore ed i suoi atleti riguarda un ambito relazionale di prima importanza, è in questo spazio che si colloca la contrattazione tra le due volontà: quella dell’atleta e quella del suo coach. In questo spazio si delinea il profilo di un rapporto che può andare dal totale affidamento alla pregiudiziale sfiducia.
Un allenatore quando comunica con un atleta, deve sempre ricordare che la sua parola, il suo atteggiamento devono influenzare non solo il gesto tecnico, ma tutto il comportamento, dalla fase di preparazione fino a quella agonistica o amatoriale che sia.
Comunicare bene significa insegnare meglio, che determina un maggior apprendimento, e migliorare la relazione, sia a livello individuale sia di gruppo; entrambi gli aspetti favoriscono una migliore prestazione.
Nessun allenatore è istituzionalmente allenato a comunicare bene. La comunicazione è un’abilità e così come le capacità motorie sono allenabili, lo è anche la comunicazione. Così come un giocatore lavora per migliorare la sua tecnica, anche un istruttore può apprendere stili comunicativi più funzionali nella trasmissione di informazioni ai giocatori. Allenando non si finisce mai di apprendere, in quasi tutti i casi il processo di apprendimento non è mai terminato, un allenatore va ad ascoltare un Clinic anche se sa che può apprendere un solo concetto nuovo. Può capitare di assistere a un Clinic o ad una seduta di allenamento di un collega, anche solo per decidere se si è d’accordo con ciò che viene proposto o meno.
Le diverse funzioni a cui deve assolvere un allenatore sono: il professionista (la professionalità riguarda le idee, i programmi, i progetti); l’insegnante (è la persona che aiuta il giocatore a parlare a livello sportivo); l’educatore (deve trasmettere lezioni di sport e di vita ai giocatori per formare la loro personalità); lo psicologo (deve capire i ragazzi e dare loro gli stimoli giusti per ogni situazione); il genitore (deve saper sostenere quando è necessario ed essere severo quando è indispensabile) e l’allenatore (deve saper integrare queste diverse funzioni).
Allenatori non si nasce, si diventa!
Molti si trovano a passare da un ruolo di atleta a quello di istruttore per diversi motivi, dove la voglia e la passione per lo sport magari sono le stesse, ma ciò che cambia è il modo di esprimerli.
Comunicare letteralmente significa far comune ad altri, ciò che è nostro, vuol dire trasmettere dei contenuti, condividere. Prima di comunicare è necessario pensare per sapere cosa si vuol comunicare.
Quindi le regole per giungere ad una comunicazione efficace, sono essenzialmente: il sapere “cosa” si comunica, a “chi” e “come” lo si fa. Questo vuol dire che prima di trasmettere degli insegnamenti di sport, è importante sapere che idea si ha di quello sport che viene preso in considerazione.
Quando un allenatore insegna una nuova tecnica o un nuovo schema non può prescindere dall’idea di gioco che ha, e di conseguenza la sua metodologia di insegnamento, e dalla sua idea di giocatore, ovvero quale tipo di uomo meglio si adatta alla sua filosofia di gioco.
Per una comunicazione efficace è quindi importante conoscere i valori di fondo e le idee che ogni allenatore ha e che tecnicamente si traducono su come funzionano le due identità allenatore-allievo e che determinano il tipo di relazione che si va ad instaurare.
I valori antropologici7 ci possono servire per capire quali sono i nostri valori di riferimento, come funzioniamo con gli altri, come sono fatte le persone con cui interagiamo. È importante che ogni allenatore abbia chiari i valori su cui costruisce la squadra, questa chiarezza gli darà sicuramente più stabilità. Per arrivare ad una comunicazione efficace è importante avere chiari i propri valori, la propria filosofia che permette di fissare e avere ben delineati gli obiettivi da perseguire. È importante, oltre a sapere il compito da svolgere, anche con “chi” si va a svolgerlo e “come”. Il chi richiama il concetto d’identità.
La comunicazione implica una relazione in cui due identità, nel caso specifico un istruttore e un allievo, si incontrano, interagiscono attraverso il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale. Queste identità non sono in un rapporto statico ma dinamico, il che significa che si influenzano reciprocamente.
Essere consapevoli di “come” si esprimono i contenuti e le idee attraverso la comunicazione, non è meno importante del conoscere i valori che spingono verso gli obiettivi e del sapere con chi si interagisce. “Non si può non comunicare”, ogni comportamento, infatti, è comunicazione. È un messaggio la parola, il silenzio, il gesto e il contesto. Ogni volta che entriamo in relazione con qualcuno o qualcosa il nostro corpo reagisce (comunica), prestare attenzione alle nostre reazioni emotive e corporee, aiuta ad avere consapevolezza del modo di relazionarsi. Nessuno è perfettamente identico nelle diverse relazioni. Quando si incontra una persona nuova, già dal primo impatto si incomincia a provare qualcosa; è importante che prima di pensare e parlare si impari a sentire e guardare. Nella comunicazione si possono distinguere un aspetto di fondo, valori antropologici, e un aspetto tecnico, composto da comunicazione verbale e non verbale.
Per quanto riguarda il secondo aspetto nella comunicazione verbale è importante ciò che esprimiamo con le parole, quindi i concetti devono essere chiari, precisi e comprensibili; nella comunicazione non verbale è importante ciò che esprime il nostro corpo attraverso gli atteggiamenti, ossia le posture e le reazioni somatiche. C’è una forte correlazione tra comunicazione verbale, che riguarda più il livello razionale e la comunicazione non verbale, che invece è relativa al linguaggio emotivo e corporeo. Quest’ultimo si coglie in modo più immediato ed è spesso il messaggio più forte. Se la comunicazione non verbale non è consapevole, ci può essere un’incongruenza con il linguaggio verbale; si può contraddire il messaggio verbale con atteggiamenti non consoni, il messaggio verbale sarà inefficiente perché arriva in un clima confuso; si avrà in questo caso una distorsione della comunicazione.
Oltre a trasmettere contenuti, informazioni la comunicazione tende a definire la relazione esistente tra gli interlocutori. Il comunicare non è sufficiente, occorre comunicare bene. Vi sono infatti dialoghi inadeguati, caratterizzati da mancanza di ascolto e da tentativi di sopraffare l’altro. La consulenza nel concetto comune sembra essere la forma di dialogo più equa nel rapporto tra atleta ed allenatore. L’assistenza infatti ha già in Sé un carattere squilibrato, che inoltre potrebbe esprimere una certa sottomissione. Nell’intervento è possibile riconoscere un’azione di impronta militare, che guida gli atleti in maniera autoritaria, rischiando però di interrompere il dialogo amichevole. Si rivelano quindi, di grande utilità incontri di gruppo fra atleti con allenatore e coach, fra allenatore e dirigenti, fra atleti di uno stesso team con qualche problema di dialogo fra loro. Sono necessari a volte colloqui con il singolo per richiamare la sua attenzione ad un errore ricorrente.
Questo tipo di intervento viene fatto lontano dagli altri membri del gruppo, per evitare che nel giocatore nasca un senso di vergogna.
Ci sono diversi modi di comunicare, si può distinguere una comunicazione empatica e una congruente. La prima avviene mettendosi nei panni della persona a cui ci si relaziona, considerando il suo stato emotivo e il suo punto di vista, la seconda, quella congruente, consiste nel comunicare quello che si sente e si prova.
L’importanza di percepirsi e percepire persone e non cose, permette all’allenatore di accorgersi che un’informazione o un comportamento tecnico non influenza solo l’area tecnico-motoria del giocatore, ma la sua intera personalità che appare nelle risposte emozionali, cognitive e corporee.
Avere contatto con il proprio se, aiuta l’allenatore ad apprendere come le risposte del giocatore provocano in lui reazioni e come lo influenzano: può essere arrabbiato o contento del comportamento del giocatore; può aver minore o maggiore disponibilità nell’entrare in rapporto, a seconda delle risposte e dei comportamenti dei giocatori (feedback).
La comunicazione consiste nella trasmissione di un determinato messaggio da una sorgente emittente ad un ricevente, pronto a recepirlo e ad elaborarlo.8
Durante la comunicazione è utile accorgersi di cosa sta succedendo nell’interlocutore e in se. Questo aspetto, viene definito comunicazione a doppio feedback: ogni messaggio viene continuamente verificato sulla base della reazione che produce su chi lo invia e sull’interlocutore. In questo tipo di comunicazione a doppio feedback si può distinguere il feedback che arriva dall’interno (intrapsichico), che riguarda la risonanza che il messaggio ha nell’emittente, e il feedback esterno (interpersonale) quando è legato alle reazioni che l’inviante “legge” sul ricevente.
Questo atteggiamento di auto ascolto e di auto percezione facilita la costruzione di una relazione funzionale.
La squadra rispecchia sempre il carattere e il tipo di persona che è l’allenatore. Il giocatore è frutto del modello dell’istruttore allenatore. Il vero insegnamento apprendimento deve essere fatto di idee chiare, spiegazioni semplici, dopo è importante la dimostrazione del gesto, osservare e capire dove ci sono problemi, provare a risolverli; invece di demonizzare gli eventuali errori analizzarli e prima di proporre nuove soluzioni trovarle con i giocatori, questo stimola la curiosità e porta più risultati, e poi ripetere anche all’infinito, fino a quando ce n’è bisogno. La voce dell’insegnante nella conduzione dell’allenamento è una cosa importante, deve avere autorità senza essere autoritaria. L’allenatore deve continuare a stimolare le funzioni cognitive facendo domande, conducendo alla scelta più giusta rispetto alle situazioni specifiche.
La conduzione dell’allenamento migliora se l’allenatore ricorda i tre motivi che portano il ragazzo da lui e che devono essere sempre i suoi tre principi: imparare, divertirsi e giocare. Più sarà in grado di realizzare questi tre principi più sarà il suo successo come insegnante.
Un buon allenatore è colui che ha certi principi educativi, lo stimolo giusto per ogni ragazzo e ogni situazione, una parola, un cenno, ma anche quando occorre, sa alzare la voce. Deve avere la capacità di guardare, vedere e riflettere prima di agire.
Fondamentale anche tra i giocatori la volontà e la capacità di comunicare, che spetterà all’allenatore insegnare a comunicare bene, riflettendo su se stessi, guardando i compagni di squadra. I giocatori di una squadra sono avvantaggiati se nel gruppo è presente una coesione elevata. La coesione è definibile come il grado con il quale i membri del gruppo desiderano rimanere nel gruppo stesso, è un fattore legato alla struttura affettiva del gruppo, al successo.
Questa sembra facilitare la capacità di scambio comunicativo tra i membri che tendono ad essere sintonizzati sia in termini emotivi, sia in termini motivazionali. Un obiettivo dell’allenatore deve essere quindi quello di creare una buona coesione tra i membri del gruppo “squadra”.
7 L’antropologia è la scienza che studia l’uomo, l’idea di uomo (chi sono e chi è la persona che ho di fronte): il modello comportamentista ha una visione dell’uomo come di un oggetto. Il soggetto è un registratore che coglie l’oggetto per quello che è; il modello cognitivista, vede l’uomo come soggetto attivo che interagisce con l’oggetto che stimola la sua consapevolezza senza subire alcuna modifica dalla relazione; la conoscenza dipende unicamente dai suoi preconcetti, il soggetto costruisce l’oggetto; il modello strutturale integrato considera l’uomo come un organismo fisico e mentale che condiziona e si lascia condizionare da altri organismi; vi è un’influenza reciproca tra oggetto e soggetto.
8 Cfr. modello matematico dell’informazione (1949)di Shannon e Weaver nell’opera di Carlo Grassi, Sociologia della comunicazione, Paravia Bruno Mondadori Editori, Roma, 2002, p. 82
Testi consultati
Mike Krzyzewski e Philips Donald T., “Le strategie di Coach K. Strategie di successo per il basket, gli affari e la vita”, Edizioni Libreria dello Sport, Milano 2002.
C. Robazza, L. Bortoli, G. Gramaccioni, La preparazione mentale nello sport, Pozzi Editore, Roma 1994.
Dino Giovannini, Laura Savoia, Psicologia dello Sport. Carocci, Roma 2002.
Mantegazza R., Con la maglia numero sette, Unicopli, Milano 1999.
Romanzo di John Grisham, “L’allenatore”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2003.        
 

Alleniamo.com |  Aggregatore di contenuti per Allenatori di Calcio prodotto da Developer Sport  - Condizioni di utilizzo - Tutti i diritti sono riservati | Sito ottimizzato per I. E.

Portale per Allenatori di Calcio