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Nato a
Betlemme. Il calcio perduto di Gianni Rivera
La primavera del
calcio italiano. Quando il calcio cominciò a tornare grande a
livello internazionale con l’Olimpiade di Roma del 1960, proprio con
l’esordio azzurro del golden boy, il campionissimo del pallone, che
segnò quell’epoca irripetibile.
Quando ancora non erano arrivati gli eccessi miliardari.
Quando un campione si identificava con una maglia e con quella
soltanto (Rivera, per vent’anni, con la maglia del Milan, ha vinto
tutto in Italia e nel mondo). Quando il geniale giocatore rossonero
scriveva i suoi elzeviri calcistici (come li definiva Pasolini) e
combatteva le sue battaglie dialettiche con i grandi avversari
dell’epoca (dall’arbitro Lo Bello al critico Gianni Brera. Una
polemica, con quest’ultimo, che divise l’Italia intera).
Quando il calcio era ancora a umana dimensione. Nasceva all’oratorio
o in un quartiere povero di Alessandria (El cantòn di russ), e
finiva, magari in compagnia dello stesso Brera, davanti a una
bottiglia di barbaresco, con la benedizione dell’amato paròn Nereo
Rocco. |