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La rivoluzione dei Tulipani
Cento anni di
calcio olandese, dall’estate 1879 (fondazione dell’Harleemsche Fc)
fino all’allenatore Co Adrainsee, quello che, a chi gli chiedeva se
non fosse possibile giocare un calcio più difensivo, rispose: "Non
potete chiedere a Rembrandt di dipingere come Van Gogh". E poi la
rivoluzione, il calcio totale che tutti abbiamo ammirato: la saga
del Grande Ajax e della Grande Olanda.
Ei fu, il calcio. Perché da lì in poi, una rivoluzione. Un nuovo
modo di intendere e volere, di considerare e concepire, di giocare.
La rivoluzione olandese. Correre con il pallone, soprattutto correre
senza il pallone. Avanti e indietro. Stantuffi, pistoni, bielle.
Tutti. Perfino il portiere. Perché da quella rivoluzione il portiere
avrebbe conosciuto l’uso non solo delle mani ma anche dei piedi, e
non se ne stava più nella sua area di porta, ma abitava in quella di
rigore e poi sconfinava, a volte lo si scorgeva esploratore a metà
campo. Perché da quella rivoluzione i terzini si trasformarono in
ali e le ali in terzini, il centravanti in centromediano e il
centromediano in centravanti, e i centrocampisti si triplicavano e
stavano dappertutto. Movimento totale. Raddoppi, scambi e incroci,
come in una stazione ferroviaria. E decolli e atterraggi, come in un
aeroporto. E stazze, come in un porto di mare. CATECHISMO - Adesso, che tutto è stato osservato e studiato,
capito e copiato, la rivoluzione olandese è diventata come il
catechismo olandese, o come l’olandese volante: un modo di dire. Ma
allora era un vento, una novità, uno scisma. Muscoli e fiato,
tattica e tecnica, fisico e fisica. Una schiera di gutturali, un
esercito di doppie vocali, una famiglia di Van. L’Ajax valeva i
Beatles. Anche nei capelli, nelle basette, nelle barbe. Era il «We
can work it out», era il «Magical mystery tour», era lo «Strawberry
fields forever». Ci mancava solo il periodo indiano, con il sitar e
il guru. Anzi, il guru c’era. Ma olandese pure lui. In questo
lavoro, Alec Cordolcini racconta cento anni di calcio olandese,
dall’estate 1879 quando Pim Mulier e altri 15 studenti fondarono l’Harleemsche
Football Club fino all’allenatore Co Adrainsee, quello che, a chi
gli chiedeva se non fosse possibile giocare un calcio più difensivo,
ha risposto: «Non potete chiedere a Rembrandt di dipingere come Van
Gogh». Dentro c’è la saga del Grande Ajax e della Grande Olanda, e
di quell’undici, metà preghiera e metà poesia, che corrisponde al
nostro Sarti-Burgnich-Facchetti. Vale a dire:
Jongbloed-Suurbier-Rijsbergen (respiro), Haan-Krol-Jansen (respiro),
(poi tutto d’un fiato) Van Henegem-Neeskens-Rep-Cruijff-Rensenbrink.
E quando toccava scriverlo, si era vittime dell’eterno dubbio su
dove sistemare la «i» e la «j» del dio Cruijff. CARTELLINO ROSSO - Cordolcini sembra aver impegnato la
propria esistenza, fin da subito (è nato nel 1976, in piena epoca «orange»),
nel cercare, raccogliere, collezionare, sviscerare, recuperare
storie sul calcio olandese. Anche la testimonianza dell’arbitro
Clive Thomas, che in una partita osò cacciare prima Neeskens, poi
Van Hanegem: «Erano tutte primedonne, e ogni decisione che prendevo
contro di loro mi veniva contestata con un atteggiamento del tipo
"ma tu hai solo una vaga idea di CHI siamo noi?"». Così, quando
Thomas mostrò il cartellino rosso a Van Hanagem, questi si rifiutò
di uscire. «Esasperato, decisi di raccogliere la palla e avviarmi
negli spogliatoi». Lo fermò, appena in tempo, un guardalinee:
l’olandese, finalmente, se ne stava andando. E chi poteva immaginare
che Rijsbergen il duro voleva fare il professore di ginnastica, «ma
il suo vero sogno era diventare archeologo»? E chi se lo ricordava
che Marco Van Basten, a casa, quando studiava, continuava a «fissare
fuori dalla finestra quel messaggio scritto con la bomboletta spray
sul muro di un edificio del quartiere: "Dopo me stesso, sono il
migliore"»? E chi lo sapeva che quando Gullit da bambino giocava nei
Meerboys, «i marcatori neppure si scrivevano, tanto i gol li segnava
tutti Ruud»?
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