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In questo primo articolo
da allenatore voglio trattare un argomento che mi appassiona da
qualche anno, ovvero l’aggressività nel calcio. Lo spunto per
riflettere sull’aggressività mi è stato dato durante un
aggiornamento tenutosi nel fantastico centro tecnico federale di
Coverciano, in cui si parlò di relativismo e settore giovanile.
Anche se non si affrontò direttamente il tema dell’aggressività,
credo di aver ricavato da quel seminario alcuni suggerimenti
metodologici davvero illuminanti.
Cercando in alcuni dizionari la parola aggressività trovo le
seguenti definizioni (psic., etol.): “impulso che provoca
comportamenti minacciosi o violenti” oppure “inclinazione a
manifestare comportamenti che hanno lo scopo di causare danno o
dolore”.
Si evince che nel linguaggio comune l’aggressività venga spesso
accostata al termine violenza, sottendendo un doppio legame tra i
due comportamenti. Senza soffermarsi troppo sull’aspetto
sociologico, occorre precisare che talvolta l’aggressività è intesa
come tendenza a imporsi con efficacia e determinazione, soprattutto
in contesti lavorativi. Tuttavia anche su questa cognizione aleggia
sempre l’idea che si tratti di una condotta scorretta e prepotente
(forse non a torto).
Nel calcio l’aggressività non è un comportamento coercitivo, anzi è
una qualità molto importante a livello individuale e di squadra.
Volendo dare una definizione di aggressività calcistica (o
agonistica o sportiva), questa potrebbe essere:
" Qualità insita nello spirito di un individuo o di un collettivo in
cui si concentrano le seguenti virtù: determinazione, generosità,
sacrificio, correttezza, nitidezza degli obiettivi, rispetto delle
regole.
Nella sua accezione calcistica l’aggressività è un elemento
estremamente positivo. Tuttavia è doveroso fare alcune precisazioni.
Il significato di aggressività appena enunciato deriva da una
interpretazione quasi dottrinale del gioco del calcio. Questo per
sottolineare che la parte sana del mondo calcistico vede
l’aggressività come ingrediente virtuoso ed essenziale per innalzare
il livello di spettacolarità di questo sport. Tutte le altre
interpretazioni condite di violenza e intimidazione non ci
riguardano perché non hanno nulla in comune con il calcio vero.
Fatta questa premessa nozionistica, si può osservare e analizzare
l’aggressività come requisito. Perché un calciatore è più aggressivo
di altri e, più in generale, cosa porta un calciatore a manifestare
la propria aggressività agonistica? Non credo che sia semplice
spiegare da cosa possa scaturire l’aggressività, ciò nonostante
vorrei dire la mia su alcuni punti abbastanza oscuri agli occhi di
molti calciofili.
L’opinione di molti è che l’aggressività sia riconducibile a due
fattori. Il primo è la motivazione, che incide in modo determinante
sull’aggressività. La motivazione è quell’agente psicologico,
fisiologico, e cognitivo che guida il comportamento individuale
verso uno scopo (definizione tratta dal libro L’allenatore psicologo
di Massimo Cabrini). Nel calcio la motivazione determina
l’atteggiamento dell’atleta (io oserei dire del gruppo) nei
confronti di un obiettivo. Quando si parla di motivazione occorre
fare distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. I
calciatori intrinsecamente motivati hanno un bisogno innato di dare
il massimo di se stessi. Viceversa il calciatore estrinsecamente
motivato è una persona più dipendente dal mondo esterno e necessita
spesso di nuovi stimoli. Fatta questa distinzione, a mio parere non
così netta nella realtà, è chiaro che i giocatori con una grande
motivazione intrinseca siano facilmente propensi all’aggressività,
ma non è detto che questa attitudine si manifesti nel modo corretto
e utile per la squadra.
Il secondo fattore è l’incitamento. Incitare significa esortare,
stimolare in qualche modo i propri atleti al raggiungimento del
successo finale. Sull’incitamento c’è molta confusione. Troppo
spesso mi capita di percepire nelle persone la convinzione che
dall’incitamento dipenda tutto, in particolare l’aggressività in una
competizione. Durante una partita di calcio giovanile, mi ricordo
che un genitore (o pseudo-tale) criticava aspramente l’allenatore di
suo figlio perché non incitava la squadra con urla e rimproveri come
l’allenatore avversario. Sono convinto che un allenatore debba
essere il primo tifoso della propria squadra, ma ciò non significa
che sia necessario fare la “danza della pioggia” in panchina.
L’allenatore deve farsi sentire e incitare la propria squadra, ma
deve avere soprattutto la sensibilità di capire il momento giusto
per farlo, non può trasformarsi in un’attrazione circense come
purtroppo spesso accade. Per la cronaca l’allenatore criticato dal
genitore ha vinto con la sua squadra rimontando un 2 a 0 e
terminando la partita 3 a 2 fuori casa… alla faccia del pessimo
incitatore.
Motivazione e incitamento fanno parte del calcio e sono fattori
importantissimi, ma non si può credere che dipenda tutto da essi, in
particolare l’aggressività. Per quanto l’aggressività sia una
manifestazione della propria indole, non ritengo giusto pensare che
solo giocatori dal carattere determinato e/o incitati assiduamente
possano essere aggressivi in partita. L’aggressività si può allenare
lavorando sul campo con una metodologia appropriata. Anche la
motivazione può essere “allenata”, ma su questo ci concentreremo
un’altra volta.
Ma come si può allenare l’aggressività? Ho sempre creduto che con
esercitazioni mirate si possa incidere fortemente sull’aggressività
della squadra, ma le idee migliori sono arrivate da un aggiornamento
federale in cui per la prima volta ci spiegarono un concetto
apparentemente scontato come il relativismo.
In breve, il relativismo parte dal seguente presupposto: il
comportamento del giocatore è in relazione all’istruzione ricevuta
durante la settimana. Non bisogna dire al giocatore, ma far fare per
far capire. In altre parole, nulla va lasciato al caso, ma tutto è
relativo al lavoro eseguito sul campo e alla comunicazione. Saper
comunicare è una cosa importantissima, farsi capire, riuscire a
entrare nella testa dei giocatori. Se il mio giocatore riesce a
capire cosa gli sto dicendo (con il lavoro sul campo), allora può
migliorare. Così anche se abbiamo giocatori che tendono a rendere
solo se stimolati o richiamati a voce alta, non servirà urlare in
caso di errore, perché se alleniamo bene il nostro calciatore capirà
da solo lo sbaglio.
Estendendo il concetto di relativismo, si possono inserire delle
proposte che allenano i giocatori per migliorare aspetti che
generalmente si affidano all’estemporaneità o alle doti innate del
calciatore. Proprio in quest’ottica l’aggressività può essere
allenata per avere un riscontro sul campo che permetta
all’allenatore di non torturare le proprie corde vocali e
soprattutto dare un notevole contributo al miglioramento della
squadra e del singolo. Naturalmente è necessario proporre contenuti
adatti ai giocatori a disposizione e saper leggere i risultati delle
esercitazioni per programmare le proposte successive.
Da quando mi interesso di aggressività sportiva, ho elaborato una
serie di esercitazioni per allenare questa qualità. Spiegarle e
rappresentarle tutte richiederebbe troppo spazio, quindi mi limiterò
a illustrarne solo una, probabilmente la più semplice. Nell’immagine
a sinistra (cliccarci sopra per ingrandirla) si trova lo schema
dell’esercitazione e di una sua variante (è disponibile anche il
PDF).
Cominciamo con una semplice descrizione del gioco. I giocatori si
dividono in due gruppi (rossi e blu). Ogni gruppo è provvisto di un
portiere che si piazza dietro una linea ideale che congiunge due
cinesini (la distanza tra i cinesini è a scelta). I due gruppi, o
meglio le linee, distano tra loro 20 metri (in realtà la distanza di
partenza dipende molto dalle caratteristiche dei giocatori).
L’obiettivo dell’esercitazione è impedire all’avversario di
calciare. Infatti, il gioco comincia con la consegna del pallone da
parte del portiere rosso al proprio giocatore che si pone davanti a
lui rivolto verso il gruppo opposto. Nel momento in cui il portiere
dà la palla, il giocatore dei blu parte dalla propria linea verso il
rosso cercando di non farlo calciare verso il portiere o inducendolo
all’errore (non importa fare gol, ma solo centrare la porta
delimitata dai due cinesini). Ovviamente l’obiettivo del rosso sarà
quello di calciare correttamente prima che sopraggiunga il blu (fig.
1). Dopo che il rosso ha calciato (o non è riuscito a farlo per
l’intervento del giocatore blu) si riparte dal portiere blu che darà
la palla al suo compagno e stavolta sarà il rosso ad aggredire. Onde
evitare che i giocatori tocchino pochi palloni, si possono prevedere
più stazioni di gioco e consentire la formazione di gruppi con pochi
elementi.
L’esercitazione può essere arricchita in molti modi. A titolo
esemplificativo, ma ognuno può sbizzarrirsi come vuole, riporto
alcune varianti:
Il giocatore che dovrà calciare parte con le spalle rivolte alla
porta avversaria, quindi sarà costretto a girarsi per poi calciare.
Il giocatore che dovrà calciare può dribblare l’avversario e poi
calciare.
Anche il giocatore deputato all’aggressione parte di spalle alla
porta avversaria.
Inserire dei gesti tecnici preliminari al tiro, ad esempio
controllare la palla con una parte del piede, girarsi e calciare,
girarsi senza toccare il pallone e calciare, etc.
Inserire un giocatore sponda che può aiutare il compagno a saltare
l’avversario e calciare. La sponda può essere solo da un lato o da
entrambi i lati.
Nel caso di una o più sponde, possono partire due giocatori per
impedire il tiro dell’avversario.
Possibilità di proteggere la palla e scaricare a un compagno che può
calciare in porta o ripassare la palla.
Se il giocatore che tira centra la porta totalizza 1 punto, se
riesce anche a segnare 2 punti, altrimenti 0 punti. Se l’avversario
riesce a indurlo in errore totalizza 1 punto, se intercetta la palla
2 punti, se la conquista 3 punti. Vince la squadra che accumula più
punti.
I tempi dipendono da diversi fattori: categoria, distanze, numero di
giocatori per squadra, seduta della settimana, etc. Questa
esercitazione è molto dispendiosa, soprattutto se fatta con il
giusto ritmo, quindi consiglio sempre di non eccedere oltre i 10-15
minuti complessivi.
Le altre esercitazioni vengono svolte principalmente con partite a
tema e sono a disposizione degli interessati su richiesta.
Conclusioni
L’aggressività non è solo una peculiarità di difensori e mediani,
anzi nel calcio moderno non è affatto così. Un esempio è dato dal
giocatore che reputo il miglior rappresentante dell’aggressività
calcistica, l’attaccante del Manchester United Wayne Rooney
(emblematico quando nel primo tempo contro la Roma lotta e corre
come un forsennato nella metà campo giallorossa per mettere la palla
in rimessa laterale anziché farla andare sul fondo, consentendo così
alla propria squadra di poter alzare il pressing). In Italia abbiamo
esempi illustri di aggressività come De Rossi, Gattuso, Iaquinta e,
anche se molto sottovalutato, Maccarone.
Che l’aggressività non sia prerogativa di difensori, lo capiamo
anche pensando a una frase tipica del gergo calcistico come
“aggredire gli spazi” (ma ci sono anche altri esempi), che indica
l’attacco allo spazio di uno o più giocatori in fase di possesso
palla.
Sull’aggressività ci si potrebbe dilungare ancora per molto. Una
trattazione completa esula dagli scopi di questo articolo, anche
perché prima di approfondire l’argomento mi piacerebbe avere il
vostro feedback. In base alle mie esperienze da allenatore, agli
aggiornamenti federali e alle “riflessioni notturne” ho redatto una
serie di esercitazioni volte ad allenare l’aggressività, come quella
descritta prima. Ho testato molte di queste esercitazioni con le mie
squadre e ho sempre ottenuto esiti soddisfacenti. Sarò lieto di
rispondere a tutti coloro che volessero contattarmi, anche per
fornire il documento con tutte le mie esercitazioni
sull’aggressività. |
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